06 ottobre 2021

Shimamoto: dai buchi alle esplosioni-monumento al colore, al CIAC di Foligno

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Al CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, a pochi chilometri da Perugia, l'antologica "Shōzō Shimamoto. Grandi Opere". Fino al 9 gennaio 2022

Shōzō Shimamoto, Bottle Crash, Punta Campanella, 2008 - photo Fabio Donato © Fondazione Morra
“Shōzō Shimamoto. Grandi Opere”, è una mostra che congiunge impatto visivo e scientificità. Il merito va alla curatela di Italo Tomassoni e alla Fondazione Morra di Napoli – tra i primi supporter dell’artista in Italia –, nonché al connubio con l’Associazione Shōzō Shimamoto.
La retrospettiva, inaugurata da un mini-happening con 1.000 palline “sganciate” da un sacco sospeso, vale la visita, entro il 9 gennaio 2022, al CIAC di Foligno (aperto nel 2009 con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio della città). A maggior ragione poiché il biglietto comprende l’ingresso al nuovo allestimento della Calamita Cosmica di Gino de Dominicis all’ex Chiesa SS. Trinità dell’Annunziata.
La nascita del gruppo “Gutai – Movimento d’Arte Concreta”, di cui Shimamoto (Ōsaka 1928–2013) fu uno dei principali animatori, è ben contestualizzata dal percorso espositivo, che inserisce la nouvelle vague nello spaccato coevo dell’arte giapponese e nei fenomeni europei e americani contemporanei: Astrazione lirica, Informale (un nome su tutti Georges Mathieu), Action Painting, rappresentata dal nascente Azionismo viennese, ma soprattutto da Pollock negli Stati Uniti.
Shōzō Shimamoto, Grandi opere, Installation view al CIAC di Foligno. Foto BB
È dunque possibile ricostruire la parabola completa del “Samurai acrobata dello sguardo” –la definizione è di Achille Bonito Oliva –, grazie agli apparati video-fotografici, ai saggi critici, nonché ai testi, tra cui Per una messa al bando del pennello dello stesso Shimamoto e il Manifesto Gutai, tratti dal Bollettino n.6 (Ōsaka, 1957), che verranno inseriti nel catalogo previsto per questo novembre.
Il tracciato parte dalla metà degli Anni Cinquanta, quando il gruppo si costituì attorno al maestro Jiro Yoshihara, e passa per lo spartiacque della sua morte nel 1972, fino dall’interesse di Shimamoto per la Mail-Art. Il punto d’arrivo sono le performance italiane degli Anni Duemila, tra cui Un’arma per la Pace nella storica Piazza Dante di Napoli nel 2006, quando, sospeso da una gru, l’artista che ci ha “liberato dal peso gravitazionale” –la definizione è sempre di ABO –, bombardò di colore con il suo bottle crash la grande tela e il pianoforte sottostanti, da cui si libravano le note di Charlemagne Palestine.
Shōzō Shimamoto, Grandi opere, Installation view al CIAC di Foligno. Foto BB
«Dobbiamo all’artista americano Allan Kaprow – ricorda Giuseppe Morra – il fatto di aver riconosciuto nel fenomeno Gutai l’anticipatore del rinnovamento: non più un lavoro sulla tela bensì sullo spazio, uno spazio di partecipazione collettiva, dove ogni spettatore diventa un artista». Questa la vera rivoluzione copernicana dell’Happening, innescata da Kaprow, su ispirazione di John Cage: il pubblico diviene testimone attivo dell’evento. Tuttavia, ciò si compie soltanto dopo aver attuato un’altra rivoluzione, quella dell’automatismo, che avvicina l’autore allo spettatore: entrambi assistono alla nascita dell’opera.
La mostra al CIAC racconta efficacemente la spontaneità del lavoro che si forma spargendo il colore su tele dai 4 ai 10 metri, con tecniche innovative, tra cui l’uso di scope che di lì a poco adotterà anche l’austriaco Hermann Nitsch, pur se le principali invenzioni estetiche di Shimamoto restano le cosiddette opere a scoppio. «Rompendo flaconi di vetro pieni di pittura, ottiene dipinti risultanti dai getti e dagli schizzi che ne derivano – si legge nel Manifesto Gutai –, o ancora usa una specie di cannone in miniatura caricato di colore che fa esplodere ricorrendo all’acetilene».
Shōzō Shimamoto, Bottle Crash, Punta Campanella, 2008 – photo Fabio Donato © Fondazione Morra
È evidente una volontà di riconversione pacifista di artiglieria, molotov e bombe (l’atomica su Hiroshima e Nagasaki risale solo a un decennio prima), ma il sostrato di Shimamoto è ben più denso. Il giapponese anticipa i “raffinati” buchi di Lucio Fontana con i suoi “rozzi” fori su carta o su latta, gli Ana degli anni ‘40, che concepirà a partire dai freudiani buchi neri nel subconscio, mischiati al teatro sperimentale, all’automatismo surrealista e alla giocosità Dada (la Tonsure di Duchamp si convertirà in messaggi pacifisti sul cranio rasato di Shōzō), da cui si distanzierà, però, in nome di una più accentuata spiritualità di matrice filosofica orientale.
Ecco l’origine scientifica dello screziato magma del vulcano Shimamoto, strumento di pittura per esaltare la bellezza della materia originaria.

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