15 luglio 2023

T.J Wilcox, Trace of Life

di

Sino al 2 settembre, la Galleria Raffaella Cortese ospita il quarto capitolo della collaborazione con l’artista multidisciplinare T. J. Wilcox

Vedute della mostra, T. J. Wilcox, Galleria Raffaella Cortese, via A. Stradella 7 e 4, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri

Trace of Life di T. J. Wilcox (1965, Seattle, WA) si compone di un lavoro video, Trace of Life (2022), visibile nello spazio della Galleria Raffaella Cortese in via Stradella 4 e un’installazione di disegni, Edie (2023), esposti in via Stradella 7. Si tratta della prima presentazione di questo corpus di opere al di fuori degli Stati Uniti. Realizzato con l’assemblaggio di diverse tecniche cinematografiche, il film si divide in tre atti. Il primo, che Wilcox ha realizzato durante e dopo l’esperienza della pandemia a New York, è dedicato agli erratici glaciali, grandi massi che si trovano lungo la costa di Long Island. Il secondo atto è incentrato invece sulla vita dell’attrice e modella americana Edie Sedgwick (1943- 1971), figura iconica che gravitava nella galassia di Warhol e prematuramente scomparsa. 

Vedute della mostra, T. J. Wilcox, Galleria Raffaella Cortese, via A. Stradella 7 e 4, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri

Quando Wilcox ha scoperto che un suo amico risiedeva nello stesso appartamento in cui aveva vissuto la donna, ha avviato un’indagine su una traccia nascosta della sua esistenza: un’immagine di lei tratta dalla rivista Vogue dell’agosto 1965, mentre posava su un pouf di fronte a un grande disegno di un cavallo, realizzato direttamente sulla parete. È questa fotografia a costituire la pietra angolare dell’installazione di disegni esposti nello spazio di via Stradella 7. Nelle opere, Wilcox ritaglia e rimuove parti dell’immagine, lasciando solo le pareti monocromatiche dell’appartamento e il cavallo a simboleggiare la presenza di Sedgwick dopo la sua tragica morte. Coprendo la sua immagine con foglia d’argento, l’artista trasforma la donna in un vestigio, accentuando la natura effimera della scena e il carattere fugace della memoria. Infine, nella terza e conclusiva parte di Trace of Life, Wilcox sposta l’attenzione sui pontili e i sentieri che si snodano attraverso Fire Island, santuario della comunità queer di New York e simbolo di spensierata indulgenza, prima che dilagasse l’epidemia di AIDS.

Vedute della mostra, T. J. Wilcox, Galleria Raffaella Cortese, via A. Stradella 7 e 4, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri

Vorrei cominciare dal titolo del film, dalla parola “traccia” che è strettamente connessa al tema della memoria. Che ruolo ha svolto nell’architettura di questo progetto?

«Mi interessava questa parola che apparentemente è molto semplice, ma in realtà in lingua inglese presenta una molteplicità di sfumature. La sua complessità si può rinvenire leggendo le diverse definizioni che il vocabolario Webster riporta: una quantità o un’indicazione minuscola e spesso appena rilevabile, un segno o una linea lasciata da qualcosa che è passato, un tracciato ad opera di uno strumento di registrazione, ma è anche un percorso che si segue. Tutte queste accezioni del sostantivo “traccia” sembravano in qualche modo ricollegarsi nella mia mente alla storia che stavo cercando di raccontare. In altre parole: volevo scoprire le prove, andando a ritroso passo dopo passo, seguire le orme di qualcuno. Tutti i soggetti che tratto nel film generano sicuramente dei racconti, ma questi sono creati con una pratica che si avvicina di più al disegno. Le narrazioni sono costruite tracciando, vale a dire disegnando, su un supporto diverso dalla carta o dalla tela. Sono, forse, disegni lasciati nella mente o scritti nel tessuto stesso della storia, sia essa geologica, naturale o personale. Ero interessato a questa confluenza, espressa nei tre episodi che coesistono nel film, perché da qui si può cominciare a comprendere il contorno della propria memoria e della propria vita interiore».

Vedute della mostra, T. J. Wilcox, Galleria Raffaella Cortese, via A. Stradella 7 e 4, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri

Legato al tema della memoria c’è anche quello del tempo. Vincenzo Agnetti sosteneva: “Dobbiamo deviare dal concetto di tempo come stato a sé stante. Il tempo infatti non è altro che il lavoro di formazione e di consumazione delle cose. In ogni cosa c’è un correre trascorrere che chiamiamo tempo”. Ti ritrovi in questa definizione? E qual è la tua nozione di tempo?

«Più tempo passa nella mia vita e più sento di accumularne. Andando avanti con l’età, quello del tempo mi sembra sia un concetto sempre meno concreto e stabile, ma credo che questa sia una sensazione comune a chi sperimenta il fluire dell’esistenza. Lo scorrere del tempo mi fa venire in mente l’immagine di un letto sgualcito, con le lenzuola tutte in disordine, come quando ti svegli la mattina e le trovi tutte ammassate. Arrivato a questo punto della mia vita non potrei immaginarmi in un letto ordinato e ben fatto. Se è questo il senso del tempo, astratto e certamente non lineare, a cui si riferisce la citazione, allora sì, certo, è qualcosa con cui mi piace relazionarmi». 

Vedute della mostra, T. J. Wilcox, Galleria Raffaella Cortese, via A. Stradella 7 e 4, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri

È interessante notare come l’uso del linguaggio sia pervasivo nel film. Il tuo metodo narrativo, che deriva da un’equilibrata combinazione di parole e immagini, costringe lo spettatore a rallentare il suo processo di visione e a guardare le cose da prospettive differenti. 

«È una condizione insolita quella in cui si trovano queste parole, una specie di gioco o di sfida, perché non sto scrivendo un romanzo, una commedia o un monologo. Sono consapevole che lo spettatore potrebbe iniziare a guardare il lavoro in un momento qualsiasi del suo sviluppo, perciò spero sempre che ogni fotogramma, corredato dalla relativa porzione di testo, oltre a essere parte di una storia più ampia, funzioni anche come racconto a sé stante. Il che rende la scrittura abbastanza complicata e densa, sebbene non voglia che risulti pesante, appesantendo così il clima durante la visione. Mi piace che i miei film vengano proiettati in ambienti espositivi non completamente bui, in modo che lo spettatore possa muoversi liberamente. Rimangano così attivi due portali: quello dello spazio e quello del luogo narrativo del film». 

Vedute della mostra, T. J. Wilcox, Galleria Raffaella Cortese, via A. Stradella 7 e 4, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri

Considerando che è dagli inizi degli anni Novanta che lavori con il video, come si è evoluto nel tempo il tuo rapporto con questo medium?

«Nel corso degli anni ho progressivamente visto diminuire la quantità di tempo che le persone sono disposte a dedicare non solo a un video, ma direi in generale a qualsiasi oggetto d’arte. Quindi è una sfida interessante per me interagire con i comportamenti altrui, anche se sta diventando complicato. Quando ho iniziato, un video della durata di dodici minuti era un cortometraggio di cui il pubblico fruiva con facilità. Ora credo di non poter catturare l’attenzione di nessuno per più di quattro o cinque minuti. È diventato più difficile, ma forse anche per questo mi sento onorato quando qualcuno presta attenzione al mio lavoro. La scrittura, distillata lungo il percorso delle immagini, attira il pubblico, che magari inizia a guardare il film in un punto imprecisato della narrazione, ma poi attende l’inizio e poi riguarda, proprio perché il linguaggio in qualche modo cattura la sua attenzione. Questa generosità, intendo dire il fatto che qualcuno offra il dono del proprio tempo, è ciò che trovo sempre gratificante nel mio fare arte».

Vedute della mostra, T. J. Wilcox, Galleria Raffaella Cortese, via A. Stradella 7 e 4, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri

In Trace of Life gli erratici glaciali, i grandi massi che si trovano lungo la costa di Long Island, paiono quasi una metafora della condizione umana. Anche noi, come quegli imponenti macigni, siamo esposti al carattere transitorio e caduco che caratterizza la nostra vicenda esistenziale.

«Ho iniziato a lavorare a questo film durante il periodo del Covid e in quel tempo irrisolto, quando tutto sembrava andare alla deriva, la mia mente, come quella di tante altre persone credo, cercava automaticamente rifugio in cose che sembravano stabili. Per me lo erano quelle enormi pietre sulla spiaggia. Quando ho cominciato a interessarmene, ho scoperto che non erano sempre state lì, ma erano state spinte per migliaia di miglia dai ghiacciai che, durante l’era glaciale, si erano spostati dal Polo Nord verso sud. Ho iniziato ad apprezzare quelle enormi creature, a prima vista oggetti inanimati e incredibilmente solidi, ma in realtà instabili anche loro, come tutti noi, sballottati dal vento e portati in giro dal mare come fossero foglie, nonostante le loro dimensioni monumentali. Penso che la parte bella del processo di invecchiamento sia, almeno per me, trovare un modo se non per godere del carattere effimero e casuale della vita, almeno per abbracciarlo, per pacificarmi con la condizione di caos e continuo cambiamento che determina la nostra esistenza». 

Vedute della mostra, T. J. Wilcox, Galleria Raffaella Cortese, via A. Stradella 7 e 4, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri

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