29 febbraio 2020

Tutti per Kafka alla Fondazione Prada

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“Kafka oggi può essere compreso perché abbiamo più consapevolezza di cosa è andato storto nel mondo”, spiega Udo Kittelmann, curatore di “K” che indaga con Kippenberger, Tangerine Dream e Orson Welles la “trilogia della solitudine” dello scrittore

K fondazione prada
“K. Martin Kippenberger’s The Happy End Of Franz Kafka’s ‘Amerika’ Accompanied By Orson Welles’ Film The Trial And Tangerine Dream’s Album The Castle “

“Il gran teatro dell’Oklahoma vi chiama! Lo fa solo oggi, e una volta soltanto!”. Sembra riecheggi questa frase, estratta da America di Franz Kafka, nel Podium di Fondazione Prada, che dal 21 febbraio al 27 luglio, ospita “K” a cura di Udo Kittelmann.

La mostra, dal titolo frammentario, presenta tre opere disseminate in diversi spazi della Fondazione. L’intenzione di Kittelmann è di creare un trittico multidisciplinare, una sorta di gesamtkunstwerk minima, dove il fil-rouge è ovviamente la narrativa umbratile e conturbante del grande scrittore boemo. Tuttavia, rimarrà deluso chi immagina che “K” sia un’esegesi dei romanzi della trilogia della solitudine, Il Castello, Il Processo e America, su cui si basa la mostra. Siamo invece davanti a un’operazione di affiancamento di efflorescenze in diverse forme artistiche da una comune radice: l’analisi cruda e impietosa della società effettuata da Kafka.

K fondazione prada
“K. Martin Kippenberger’s The Happy End Of Franz Kafka’s ‘Amerika’ Accompanied By Orson Welles’ Film The Trial And Tangerine Dream’s Album The Castle “

Le intuizioni di Kafka e Kippenberger

“K” ci accoglie nel Podium con la grande installazione di Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994, dove un campo da calcio con tanto di spalti, presenta circa una cinquantina di scrivanie ciascuna con due sedie. Dai banali tavoli ai pezzi di design di Memphis, fino al celebre Action Office, prototipo originario di ogni cubicle moderno. Kippenberger invita a immaginare, in un’ambientazione da teatro del grottesco, tutti i colloqui affrontati da Karl Rossmann, giovano ed errabondo protagonista di America, e, per sineddoche, quelli di tutti coloro che cercano un lavoro, e sono perciò sottoposti a continue disamine. Nell’installazione, così come nel libro, riaffiora in modi diversi la sottile critica al capitalismo e agli Stati Uniti, da parte di Kafka, che tuttavia non ha mai messo piede in America, e da Kippenberger, che pure non lesse mai il libro in questione. Ciononostante, entrambi hanno intuito come l’incessante competizione cui siamo spinti, e la progressiva cupidigia intrinseca al sistema, tenda infine a premiare i disonesti e chi maggiormente si adatta, o meglio, si disumanizza.

K fondazione prada
“K. Martin Kippenberger’s The Happy End Of Franz Kafka’s ‘Amerika’ Accompanied By Orson Welles’ Film The Trial And Tangerine Dream’s Album The Castle “

Welles & le musiche dei Tangerine Dream

 

Rimanendo cauti sull’idea di lieto fine avanzata da Kippenberger, ci spostiamo nell’oscurità del Cinema, dove scorrono le scene de Il Processo, 1962, di Orson Welles, frutto dell’alleanza fra due turbatori, come fu definita dai critici dell’epoca. Il Processo si può forse considerare il miglior film nella carriera di Welles. Basato sull’omonimo romanzo in cui si traccia la confusa discesa di Josef K. vessato da poteri opprimenti e imperscrutabili attraverso un processo giudiziario; la pellicola di Welles modernizza le circostanze dell’evento, lasciando però intatto il nucleo di aporetica disperazione che permea l’opera dello scrittore boemo.

Infine troviamo la parte più impalpabile della mostra: le dieci tracce dell’album Franz Kafka The Castle, 2013, dei Tangerine Dream, gruppo d’avanguardia elettronica tedesca, che riempiono gli spazi ariosi della Cisterna. Il tentativo di trasporre in musica il romanzo è scartato già in partenza da Edgar Froese, frontman del gruppo, che afferma nel libretto dell’album: “È impossibile trasformare Il Castello in musica. Per questo non sarà mai nulla di più di un tentativo incompiuto e abortito”. Gli artisti presenti in “K” sono, dunque, accomunati dalle loro sperimentazioni antesignane, audaci, forse fallimentari; ma non possiamo che concordare con Kittelmann quando conclude affermando che “Kafka può essere compreso meglio oggi che in qualunque altra epoca, perché, probabilmente, abbiamo più consapevolezza oggi di cosa è andato storto nel mondo”.

 

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