-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Water’s Soul: la quieta forza del vetro di Jaume Plensa risuona nello storico Negozio Olivetti
Mostre
Water’s Soul, curata da Jean Blanchaert e realizzata in collaborazione con Fondazione Berengo, si configura come un dispositivo sensibile, un corpo trasparente che si innesta in un altro corpo storico, quello progettato da Carlo Scarpa. Il risultato è una tensione luminosa, un ambiente in cui il vetro di Murano – materia viva, mutevole, instabile – entra in risonanza con la laguna che lambisce la città e con la memoria industriale e poetica dello spazio.
Jaume Plensa dispone le sue diciassette sculture nei due piani del negozio come presenze che infiltrano di un respiro lento le superfici che le accolgono. È una mostra fondata su un dialogo implicito tra luce e silenzio, tra corpo e parola, tra la storia dell’architettura e la fragilità del gesto. Qui il vetro è pelle, riflesso, eco.

La scelta di collocare le sculture di mani accanto alle antiche macchine da scrivere Olivetti è forse l’intuizione più critica e radicale dell’allestimento. Lì dove un tempo la parola veniva composta attraverso il peso dei tasti, ora riposa la leggerezza trasparente delle mani, scolpite con una precisione quasi epidermica. Plensa ricrea le pieghe più minute, quelle creste cutanee che raccontano un’identità più del volto stesso. È un ribaltamento simbolico in cui la mano – strumento della scrittura – diventa, nel vetro, la pagina stessa. La sua fragilità amplifica quella della parola, mettendo in crisi l’idea di permanenza che la scrittura prometteva. Metallurgia del pensiero e vulnerabilità del corpo si sfiorano, trasfigurando il luogo in un archivio rispecchiante e poroso.
Questo accostamento genera una dissonanza fertile: il negozio che un tempo esibiva tecnologia, efficienza, linearità del gesto meccanico, oggi accoglie fragilità, trasparenze, superfici che non imprimono ma lasciano filtrare. Il vetro diventa ciò che resta quando la funzione si dissolve; diventa memoria del luogo come la pelle è memoria del corpo. È un gesto che rilegge la delicatezza come strumento interpretativo.

Al piano superiore, il volto che affiora da un ventaglio di mani apre un’altra traiettoria di senso. Non è solo un’immagine di cura, bensì una polifonia del toccare, dove un orbitare di mani che consolano e sorreggono esercita allo stesso tempo un potere tattile che può anche soffocare. L’opera oscilla tra accudimento e invadenza, tra protezione e vulnerabilità; è un monumento alla complessità dei legami umani. In un tempo che tende alla semplificazione emotiva, Plensa costruisce invece una monumentalità dell’ambivalenza.
Al piano terra, la grande lastra Laguna, esposta in vetrina e visibile dall’esterno, estende la soglia tra ciò che accade dentro e ciò che scorre fuori. I due volti che emergono dalla superficie vitrea sembrano contemplarsi attraverso un’acqua solida, un piano immobile che rievoca la celebre vasca retrostante progettata dall’architetto. È come se Plensa avesse voluto intercettare la logica di Scarpa e portarla in superficie, trasformando la vetrina in uno specchio pubblico della laguna interiore del negozio. Il passante diventa così parte dell’opera, osserva ed è osservato, attraversa e viene attraversato.

La scultura che dà il titolo alla mostra, Water’s Soul, realizzata con la tecnica del casting, porta con sé la lentezza del processo che la genera: due mesi di solidificazione, un tempo geologico nel cuore della fornace che si traduce in una forma quieta, meditativa, quasi sospesa. È un tempo che resiste alla frenesia contemporanea, aprendo allo spettatore una soglia di rallentamento in cui il vetro smette di essere materia per farsi esperienza temporale. La curatela di Blanchaert – che da sempre indaga il vetro come linguaggio – trova nel Negozio Olivetti una risonanza ideale. Il FAI mantiene e valorizza il luogo rispettandone la vocazione originaria, non una galleria neutra quanto uno spazio in cui arte, tecnologia e architettura si intrecciano inseparabilmente. Il dialogo con le macchine da scrivere, lungi dall’essere un semplice effetto scenografico, è un atto critico che riflette sul rapporto tra memoria operativa e memoria poetica, tra produzione e contemplazione.
Water’s Soul è una mostra rizomatica, fatta di diramazioni sottili. Nulla è frontale o univoco, tutto si sdoppia, riflette, si reinscrive. Jaume Plensa non impone un significato ma apre una costellazione di possibilità. L’acqua che dà titolo all’esposizione non è qui solo metafora, diventa grammatica, logica del flusso, trasparenza instabile, confine tra ciò che è visibile e ciò che resta sommerso. Alla fine ciò che rimane è una qualità dell’aria, una sospensione. Water’s Soul restituisce a Venezia un’anima liquida, una meditazione sulla fragilità come forma di conoscenza e al Negozio Olivetti un ruolo che va oltre l’esposizione, quello di un luogo in cui la memoria continua a trasformarsi come luce sull’acqua.












