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Wo-man: da New York a Milano, il viaggio di Thomas De Falco
Mostre
Il lavoro di Thomas De Falco nasce come se fosse un cordone ombelicale, come un organo che cresce, come arterie e vene che diramano. Comprendere una simile immagine è possibile riconoscendo nella sua scultura tessile una natura morta che parla attraverso la sua performance – intesa come rito che alimenta un messaggio. Non è un gioco di parole, è anzi la più generosa chiave di lettura che l’artista ci offre: «la performance non esiste senza scultura tessile, la scultura tessile non esiste senza il corpo del performer». Il suo eseguire artistico ha un tratto essenziale, ovvero la capacità di condurre l’azione nel margine più o meno stretto, ma densamente ricco di possibilità, che si apre tra il preordinato, ovvero la partitura, e il contingente, ovvero l’occasione concreta di ogni singola azione.
Data questa premessa e volendo tornare all’immagine della natura morta, nel 2010 Thomas De Falco agì la sua prima performance, in Triennale a Milano, intitolandola W – Natura morta. W. Wo-man (2023) è invece il titolo della performance che ha seguito il periodo di studio di ricerca che De Falco ha trascorso presso il Metropolitan Museum of Art di New York esplorando la relazione tra il corpo e le sue forme con il mondo animale e assumendo tre opere che fanno parte della collezione permanente del museo come termini di confronto (l’arazzo Creazione e caduta dell’uomo – datato prima del ‘500 – un tappeto iraniano, probabilmente Kirman, del periodo safavide – 1501/1722 – e il frammento tessile copto che raffigura l’immagine di una dea – Egitto, III/IV secolo). Oggi, di nuovo e di passaggio a Milano, Thomas De Falco presenta Wo-man, un arazzo di 2×2 metri, realizzato a tecnica mista unendo i tessuti donati da Maison Valentino a Vogue Italia per “The Vogue Closet” in occasione della Milano Design Week.
W di Woman, W di Wrapping. La lettera W racchiude da sempre la natura madre, la donna, immaginaria, femminile, pilastro e albero, ma anche la tecnica dell’intreccio manuale, che lega i corpi, che avvolge e si espande come un fungo ovunque trovi spazio, che è sviluppo, evoluzione e movimento. Un fare ossessivo e insieme terapeutico.
Il nuovo arazzo di Thomas De Falco combina differenti tonalità di rosso. Non solo nella performance W – Natura morta compariva un piccolo particolare di questo colore, ma De Falco, da sempre appassionato studioso, ancora prima del suo esordio artistico era solito sottolineare parole chiave con il rosso e creare nei suoi quaderni delle linee che nell’opera esposta sono andate materializzandosi nella forma del wrapping. «All’inizio del mio percorso – racconta De Falco – scelsi il rosso perché volevo far capire che dietro la facciata impeccabile del bianco e del nero si nascondeva un senso di dolore costante. Poi man mano, e talvolta anche per caso, il rosso è diventato una presenza fondamentale».
La ricerca di De Falco, che ha le sue radici nella pittura del ‘500 e del ‘700, raggiunge Marx Ernest, da cui proviene lo studio del colore rosso, e in quest’occasione coinvolge Michel Pastoureau, autore del libro “Rouge: Histoire d’une couleur”, e le opere Therese di Balthus e Madame Camus en rouge di Edgar Degas. Fondando la sua trattazione sul fatto che un colore non esiste mai da solo ma assume un senso e funziona, dal punto di vista sociale, artistico o simbolico, solo quando viene accostato o contrapposto a uno o più colori, e dunque inquadrando il colore come un fatto sociale e non come una sostanza, né come un frammento di luce o tanto meno una sensazione, Pastoureau considera il rosso il primo colore comparso nell’uso pratico e, inevitabilmente, in quello parlato. Nella simbologia cristiana il rosso ricopre il ruolo di fuoco ora purificatore e ora distruttore, simbolo dell’amore, della gloria e della bellezza, ma anche della lussuria e del peccato. La sociologia lo condanna in quanto colore dei vizi capitali, ma la storia della moda e della cosmetica lo fanno apparire non soltanto come il primo dei colori, ma anche come il colore per eccellenza.
Che sia fuoco, sangue, violenza, o amore, passione e importanza, Thomas De Falco sceglie il rosso per la sua drammaticità, intesa come un’intensa emotività culminante in un fatto o in una situazione, della vita reale come di quella rappresentata. Therese per esempio, la modella dipinta da Balthus nella penombra di una stanza senza tempo abbandonata su di un largo cuscino con fare sognante, con la sua gonna rossa e le sue scarpette rosse, non è che la traduzione pittorica di un momento effimero che oscilla tra innocenza ed erotismo. Madame Camus invece, in rosso per mano di Degas, sembra metafora della condizione umana femminile nella sua interezza. Nel mito di Sisifo si legge: «Un mondo che possa essere spiegato, sia pure con cattive ragioni, è un mondo familiare; ma viceversa, in un universo di colpo spogliato d’illusioni e di luci, l’uomo si sente uno straniero, e tale esilio è senza rimedio, perché privato dei ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa».
Nutrendosi delle proprie esperienze di vita Thomas De Falco scopre il silenzio che avvolge un malessere, un disagio, per farsene portavoce. «Elogio il corpo femminile per mostrarne la sofferenza, che posso percepire ma non posso definire», dice lui che ha forgiato la figura della donna albero che assiste al divenire, a volte immobile altre piegando le sue fronde, come un gigante in catene, affrancandosi alle sue radici per non soccombere. La donna, madre e natura, pilastro e albero, si apre e si chiude al respiro dell’esistenza, elevandosi dalla sofferenza e dalla materialità per fare ritorno alla volontà, alla vita, alla terra. A lei, alla sua sensibilità, Thomas De Falco dà voce, e fiato.