29 aprile 2020

I 15 anni della Fondazione Merz. Intervista a Beatrice Merz

di

Oggi la Fondazione Merz festeggia i quindici anni di attività, in attesa delle riapertura con la mostra "Push the Limits". L'intervista a Beatrice Merz

Christian Boltanski "Dopo" @ Fondazione Merz, Torino, 2015

Oggi, 29 aprile, la Fondazione Merz di Torino festeggia quindici anni di attività, iniziata nel 2005 con una grande mostra dedicata a Mario Merz.
Negli anni successivi la Fondazione ha realizzato settanta progetti espositivi, di cui nove fuori sede e tredici collaborazioni internazionali, e ha istituito il Mario Merz Prize, aperto anche alla musica.

Gli spazi della Fondazione hanno ospitato mostre e progetti site specific di oltre 170 artisti tra cui Massimo Bartolini, Elisabetta Benassi, Fatma Bucak, Christian Boltanski, Mattew Barney, René Burri, Carlos Garaicoa, Petrit Halilaj, Alfredo Jaar, Sol LeWitt, Masbedo, Mona Hatoum, Emilio Prini, Wael Shawky, Simon Starling, Kara Walker, Lawrence Weiner.

Beatrice Merz, Presidente e Direttrice della Fondazione, ci ha raccontato la Fondazione Merz di oggi e i progetti per il futuro, dalle dirette Instagram dal 3 maggio con “Scusi non capisco” fino alla prossima mostra, “PUSH THE LIMITS”, con diciassette artiste.

Veduta della mostra “”Petrit Halilaj. Shkrepëtima, Un progetto espositivo del vincitore della 2° edizione del Mario Merz Prize, 29 ottobre 2018 – 3 febbraio 2019, Photo Renato Ghiazza, courtesy Fondazione Merz
L’importante traguardo dei quindici anni si colloca in una situzione impensabile fino a poche settimane fa. Che cosa avevate previsto, in origine, per festeggiare?

«Il 2020 è per la Fondazione un anno importante. Festeggiamo i 15 anni di apertura dello spazio espositivo. Il lockdown ci ha colti nel pieno dell’allestimento della mostra che abbiamo scelto per festeggiare il compleanno, “PUSH THE LIMITS”. Il 18 maggio quando si potrà riaprire riprendere l’allestimento aspettando anche la riapertura delle frontiere per poter far arrivare le artiste. Presumo che non potremo aprire prima di settembre».

Un tuffo nel passato: come è nata, quindici anni fa, la decisione di aprile la Fondazione Merz?

 «L’idea di istituire una Fondazione è nata a seguito di diverse conversazioni con mio padre Mario, anni prima del 2005, già verso la fine degli anni Novanta. Il progetto girava intorno all’intenzione di rendere visibili le sue opere chiuse nei magazzini e di invitare artisti a esporre le proprie. Mio padre ha sempre perseguito l’idea di costruire una casa per l’arte. Una casa per gli artisti. Avevamo in mente un luogo di ricerca, di studio, di progettazione e di condivisione».

Come avete scelto la sede della Fondazione? Che legame si è creato tra l’ex centrale termica Officine Lancia e le attività della Fondazione?

«Cercavamo uno spazio particolare non usuale, certamente industriale, e soprattutto in una zona della città non centrale, un edificio con radici profonde nel cuore industriale della vecchia Torino. È stato facile individuarlo. All’epoca, come ancora oggi, con la crisi industriale della città, molti edifici cercavano e cercano una nuova destinazione d’uso.
Lo spazio della centrale termica è certamente complesso. Non essendo uno spazio nato per l’arte, gli artisti invitati a esporre sfidano se stessi. E questa è anche la nostra sfida».

anniversari macte pomodoro merz
Fondazione Merz, foto Paolo Pellion, courtesy Fondazione Merz
Quali erano le principali differenze del sistema dell’arte internazionale di allora rispetto a quello esistente fino all’emergenza sanitaria?

«La situazione che è esplosa nel mondo era nell’aria. Il sistema dell’arte è andato troppo oltre. Dovremo porci delle domande. È esplosa la bolla che ci eravamo costruiti, negli anni il sistema era diventato una macchina avviata a una velocità folle. È necessario riprendere una giusta misura del tempo e dello spazio. Il ruolo dell’arte e della cultura in generale è un ruolo cardine e di responsabilità. Venisse a mancare cadrebbero tutti i presupposti dell’autodeterminazione. Il ruolo che deve giocare ora è quello di far sentire il peso della democrazia, e tenere alta l’attenzione del pensiero critico. È il momento di lasciare da parte personalismi, autoincensamenti, provocazioni arbitrarie, ma con serietà cercare di dar vita e visibilità a quella cultura capace di guardare il mondo su più piani e direzioni, solo questa cultura ci può aiutare».

Veduta della mostra “Alfredo Jaar. Abbiamo amato tanto la rivoluzione”, 5 novembrer 2013 – 9 marzo, 2014, Photo Andrea Rossetti, courtesy Fondazione Merz
Come è cambiata la scena torinese nel tempo?

 «Il capoluogo piemontese è stato e resta uno tra i più importanti centri di analisi e sviluppo della contemporaneità. Nell’arco di poco tempo sono cresciute realtà pubbliche e private che hanno saputo e continuano a raccogliere le istanze internazionali del momento. È e resta una vetrina e un esempio; oggi è molto importante che non sia l’unica e questo è quello che sta accadendo in Italia».

Christian Boltanski. DOPO, Fondazione Merz 03.11.2015 | 31.01.2016, Photo Renato Ghiazza, courtesy Fondazione Merz
Come avete deciso di istituire il Mario Merz Prize, a cadenza biennale, e perché avete scelto di aprirlo anche alla musica?

 «Il premio è un’idea di Marisa. Volevamo commemorare il decennale della morte di Mario con un progetto nuovo.
Abbiamo deciso di allargare il premio anche alla composizione musicale come omaggio doveroso a un’arte che è sempre stata protagonista nelle famiglie di origine, sia di Mario che di Marisa.
Il premio si compone di diversi momenti. Si inizia con una call biennale alla quale gli addetti ai lavori delle due aree sono invitati a nominare. Dopo questo passaggio una giuria di selezione individua le short list costituite da 5 artisti per la sezione arte e 5 compositori per la sezione musica. Agli artisti è dedicata una mostra e ai compositori un concerto. Una seconda giuria insieme al voto del pubblico decreta i vincitori. All’artista vincitore organizziamo una mostra personale e al compositore commissioniamo una partitura».

Veduta della mostra “Wael Shawky. Al Araba Al Madfuna“, Un progetto espositivo del vincitore della 1a edizione del Mario Merz Prize, 2 novembre 2016 – 5 febbraio 2017, courtesy Fondazione Merz
Come è cambiata la Fondazione in questi quindici anni? Ha modificato i suoi obiettivi?

«Non essenzialmente modificati ma certamente ampliati. Ritengo la Fondazione una realtà in evoluzione. Dopo anni intensi di attività, stiamo aprendo una nuova fase. Il luogo delle opere, passato da essere “casa dell’artista” a “casa per gli artisti”, ha maturato il proprio ruolo “nato da un impulso di sopravvivenza” e si è resa attrice consapevole e presente di nuove opportunità: programmi che hanno iniziato a vedere la luce oltre che a Torino in altre città e altri luoghi».

Igloo
Mario Merz, Spostamenti della terra e della luna su un asse, 2003, triplo igloo: strutture metalliche, vetro, pietra, neon, morsetti, creta, con Simon Starling 1,1,2, 2011, 1 blocco con taglio grezzo e 2 blocchi di marmo di Carrara tagliati con CNC (controllo numerico computerizzato), imbracatura, sistema di pulegge, corda, cavo, ceppi, courtesy Fondazione Merz
Secondo Lei qual è il ruolo delle fondazioni private nel panorama delle arti contemporanee, non solo visive? Che ruolo potranno avere per far ripartire il sistema dopo l’emergenza sanitaria e nel sostegno agli artisti?

«Il mondo delle arti è complesso e per fortuna articolato, i privati, che siano essi fondazioni, gallerie, collezionisti, hanno da sempre supportato gli artisti. Questa spinta dei soggetti privati ha accelerato il riconoscimento pubblico. È fondamentale che questo ruolo si mantenga. Sarà forse più ridimensionato dal punto di vista economico, ma certamente reattivo sul piano di incoraggiamento culturale».

Quali sono, secondo Lei, le più urgenti necessità del sistema dell’arte italiano in questo momento? 

«Il riconoscimento pubblico delle professionalità. Dagli artisti ai tecnici e a tutto il comparto sommerso».

Wolfgang Laib
Wolfgang Laib, Without Beginning and Without End, 2003, Photo Andrea Guermani, courtesy Fondazione Merz
Nel comunicato stampa si legge questa Sua dichiarazione: «È il momento di porsi domande, l’arte non può infondere certezze ma può aiutare a far cambiare il ritmo della ruota. Sarà necessario uscire dai nostri gusci senza personalismi e spogliati dall’invincibilità, offrendo contenuti per riavvicinare un pubblico che dovrà fare i conti con la necessaria elaborazione di un lutto collettivo. Gli artisti sono esperti nel porre in tempo reale importanti questioni poste dalla condizione umana, mettendo a nudo le strutture sociali e rivelandone la vera natura».
Che contributo può dare, “concretamente”, l’arte per far ripartire la società?

«Sicuramente ampliare il dibattito partendo dagli stessi protagonisti, gli artisti. Si va al passo con la storia, bisogna non dimenticare il tempo e i luoghi in cui si vive e gli argomenti affiorano evidenti, anche quelli più intimi. L’arte può fare la differenza concretamente se concretamente avviene il riconoscimento».

Alfredo Jaar, Che cento fiori sboccino, 2015, fiori, neon, Foto Andrea Guermani, courtesy Fondazione Merz
Come sarà la mostra per l’anniversario, “PUSH THE LIMITS”?

«Il progetto scelto per il compleanno e oggi per la riapertura, dal titolo “PUSH THE LIMITS”, indaga la capacità dell’arte di porsi costantemente al limite per spostare l’asse del pensiero, della percezione e del discorso, immettendo nuovi elementi nel sistema. Si racconta senza sforzo, finalismi e sovrastrutture che non siano quelli del pensiero e della creatività dell’arte contemporanea, un percorso di ricerca per trovare un linguaggio consapevole e capace di raccontare il presente. Abbiamo invitato a partecipare al progetto diciassette artiste – Rosa Barba, Sophie Calle, Katharina Grosse, Shilpa Gupta, Mona Hatoum, Jenny Holzer, Emily Jacir, Bouchra Khalili, Barbara Kruger, Cinthia Marcelle, Shirin Neshat, Maria Papadimitriou, Pamela Rosenkranz, Chiharu Shiota, Fiona Tan, Carrie Mae Weems, Sue Williamson – una polifonia di segni ed esperienze la cui immaginazione ci parla della capacità di far transitare sulle soglie del pensiero tutte quelle realtà che sono ‘oltre’».

Bramini, Rito del Fuoco
Dal 1 al 7 giugno 2009 45 Bramini officiano il Rito del Fuoco alla Fondazione Merz, Photo Claudio Cravero, courtesy Fondazione Merz
La prossima settimana inizierà il progetto online “Scusi non capisco”. Come è nato?

«In attesa della riapertura abbiamo attivato sui nostri canali social un ciclo di otto appuntamenti, dialoghi a due in diretta Instagram, la domenica pomeriggio che inizierà il 3 maggio dal titolo “Scusi non capisco” a cura di Maria Centonze e Agata Polizzi.
Interverranno personalità conosciute nel mondo italiano: critici d’arte, giornalisti, attori, accademici, imprenditori, avvocati che anche con un pizzico di ironia si metteranno in gioco. I temi che saranno affrontati in questi dialoghi saranno principalmente incentrati sull’arte contemporanea e sul ruolo che la cultura può ricoprire in un momento in cui sembra che la concretezza sia legata ad altre necessità».

Torino
Mario Merz, “La Natura è l’equilibrio”, Fondazione Mario Merz, Torino, 2016, courtesy Fondazione Merz
Perchè avete scelto di proporre questo progetto?

«Crediamo che l’arte, come ha sempre fatto, possa continuare a essere presente nella vita personale e sociale di noi tutti e, perché ciò continui a essere, cerchiamo di mantenere vivo il dibattito. La situazione che ci vede chiusi nelle nostre case se, da un lato, non ci consente i contatti fisici, da un altro non ci impedisce di ragionare sul presente, sulle persone, sul concetto stesso di “bene necessario” “utile” o sul concetto di “dovere” che, spesso nel nostro Paese trova scarsa penetrazione.
Vorremmo riflettere in questo senso partendo dalle diverse esperienze delle persone invitate a dialogare. Partendo con un giusto atteggiamento le diverse personalità ci proporranno un confronto chiaro e una visione plurale dell’espressione artistica».

In cantiere ci sono anche i progetti per il 2021…

«Stiamo lavorando ai programmi del prossimo anno: due mostre personali, una dell’artista israeliana Michal Rovner e l’altra della giovane Bertille Bak, vincitrice della terza edizione del Mario Merz Prize».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui