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Cristina Valente, intervista all’artista musicale che vede attraverso il suono
Musica
Abbiamo conversato con Cristina Valente, musicista e compositrice, artistic producer a tutto tondo di stanza a New York. Valente viene da Bra. Cresciuta tra le chiese del Barocco piemontese, ha alle spalle una solida formazione classica fin da bambina in pianoforte, canto e composizione, dagli studi in Conservatorio in Italia. Ma la sua vera scuola sono stati il palcoscenico e l’ascolto: ci ha raccontato che durante gli anni delle superiori suonava e cantava con sei formazioni diverse conoscendo perfettamente le parti di tutti – dai cori più variegati, la big band in cui suonava il basso, gli ensemble da camera orchestrali e i gruppi soul-funk e rock-blues in cui cantava e suonava ogni sera. Mentre i coetanei vivevano l’adolescenza, lei attraversava già la musica come una scelta di vita, oltre alla scuola, il basket e l’impegno come rappresentante d’istituto scolastico. L’occasione della nostra conversazione è il suo imminente TED Talk, un TEDx della serie L’Uomo, il Genio.

Parlaci del tuo rapporto con la musica.
«La musica è sempre stata una presenza giocosa nella mia vita, un linguaggio naturale che mi ha permesso di esplorare il mondo fin da piccola. Giocavo con la voce, imitavo i suoni, i personaggi televisivi, ripetevo le risposte degli strumenti dai miei pezzi preferiti, e questa curiosa capacità mi ha condotta a sviluppare un orecchio straordinariamente versatile. Potevo passare con naturalezza dai cori classici alle parti orchestrali, dal pop al progressive rock, dal gospel all’R&B, al soul-funk, assorbendo ogni esperienza come parte di un grande mosaico in cui mi plasmavo.
È tuttora così: infatti, è difficile per me riconoscermi in un solo genere. Da bambina percepivo la musica come se mi parlasse. Fu mia nonna paterna a spingere perché studiassi pianoforte – e, anche se io sognavo di studiare violino, capii presto che il pianoforte mi permetteva di unire studio e versatilità. E poi volevo suonare tutti gli strumenti, e in un certo senso, ci sono riuscita. Le note, gli strumenti, ogni elemento sonoro mi comunicava chi era, qual era il suo ruolo, la sua essenza e la sua assenza (!), permettendomi di trascrivere a orecchio anche dalle formazioni più complesse.
Il mio è stato un percorso formativo involontario, che mi ha insegnato a vedere con le orecchie. Questa sensibilità mi ha dato la certezza, già a 12 anni in orchestra giovanile, che la musica sarebbe stata il mio destino. Alla fine, la mia storia è una fusione tra fato e scelta consapevole, quella di seguire una direzione che, in fondo, mi stava chiamando fin da bambina, con determinazione e fiducia nel mio percorso».
Di cosa ti occupi ora a New York?
«Mi occupo principalmente di arrangiamento, produzione vocale e produzione artistica (o direzione musicale come la chiamano negli USA), attraversando generi e formazioni molto diversi tra loro. Questo comporta un ascolto e uno studio costante delle discografie di riferimento per fondermi con l’identità artistica che ogni progetto richiede. Credo che la credibilità di una produzione musicale derivi proprio da questa coerenza profonda, dal suo essere umana e viva, anche nei contesti più raffinati di post-produzione.
Il mio lavoro si apre a ventaglio nel mondo musicale da oltre vent’anni. A diciassette anni, senza alcuna esperienza precedente in orchestrazione, mi spinsero a scrivere un’opera musicale per voci soliste, ensemble da camera, coro, pianoforte a quattro mani e percussioni. Nonostante le resistenze istituzionali, quel progetto vinse due premi.
Da allora, il mio percorso si è evoluto fino a includere clienti internazionali, che vanno dai cori/gruppi vocali agli artisti solisti, studi di produzione che mi chiamano come turnista lead vocale dei cori e degli arrangiamenti, vocal e choral coach, vocal engineer, editori per forniture di partiture, produzioni teatrali, televisive e privati».

Per quali vie sei arrivata a New York?
«Fin da ragazza sognavo di vivere e lavorare negli Stati Uniti come musicista, con un’attrazione particolare per Boston e New York. Tra il 2012 e il 2014 ho vissuto a Boston grazie alla borsa di studio ottenuta al Berklee College of Music, periodo in cui ho ricevuto premi e riconoscimenti per le capacità vocali, di produzione e composizione, tra cui il Berklee “Excellence in Vocal Writing Award 2014”.
Nel 2022, ho avuto l’opportunità di trasferirmi a New York per frequentare un Master in al BerkleeNYC (Berklee College of Music – NYC Campus), dove sono stata Students Tutor di canto e composizione e ho avuto modo di scrivere a far suonare i miei arrangiamenti dai musicisti di Broadway nella classe di Orchestration per Musical Theatre raccogliendo i consensi di tutti e la soddisfazione di vedere le mie partiture usate come esempio di scrittura per tutti i laurendi».
In che cosa consiste la tua teoria musicale?
«La mia teoria musicale, che intendo pubblicare in volumi separati dal prossimo settembre, è un’opera multidisciplinare che parte dalla conoscenza della voce come non è mai stata esplorata prima (con il mio doppio punto di vista di voce e vocal engineer, oltre alla conoscenza armonica), attraversando la musica nei secoli, ed invece di dividere ulteriormente ciò che la matematica (o la politica) ha già diviso nei secoli precedenti, questa teoria nasce con l’idea di unione e ri assestamento in un’unica forma sferica dove tutto è connesso ed esiste già.
Appena ventenne ebbi una specie di visione dopo una prova in “big band” che mi vide sostituire occasionalmente per una sera l’allora direttrice, e ricordo che tornai a casa sbigottita ed entusiasta. Mi misi a scrivere concretamente solo dal 2016 quando, dopo tutte le esperienze vissute nei 15 anni precedenti (i cori, i concerti, le composizioni, i dischi per i Grammy-professionals come leading bgv voice, arranger and engineer, l’orchestrazione per il cartone animato, il lavoro di blending con il mio sestetto vocale a Boston), iniziai a scrivere questa visione teorica.
Punto di partenza: lo studio del suono in 4D dal punto di vista della musica e della fisica acustica e da qui abbiamo modo di esplorare l’identità, lo spazio ed il peso nell’intenzione e nell’esecuzione musicale, partendo da un profondo lavoro sul suono vocale e di ri-educazione muscolare – questo è soggettivo –dalla scrittura vocale ad hoc ed all’immediata esecuzione. Il lavoro vocale e strumentale viene affrontato come pratica di integrità, con la scrittura intesa non come strumento tecnico, ma come via di conoscenza e consapevolezza artistica, in cui è necessario parlare di qualità e non di quantità. L’esatto contrario di ciò che ad oggi (2025) possiamo già fare con le AI.
Nella mia tesi di Master nel 2023 ho condotto una ricerca scientifica sulla vocalità delle AI, analizzandone possibilità e limiti. Questo, per dimostrare e sostenere la necessità di preservare ed elevare il livello della creatività umana in un contesto sempre più automatizzato».

In pratica, cosa apprendono gli artisti e i clienti con cui lavori?
«Non amo la parola “studenti”, perché insegno pochissimo, non in modo tradizionale e non ho attualmente classi o programmi. Il mio lavoro nasce per essere al servizio di ciò che serve per portare l’artista al next level. Lavoro con artisti, professionisti e interpreti che vogliono migliorare il proprio suono o il loro modo di scrivere/produrre. Alcuni vengono da me per lavorare sulla voce, altri per scrivere un arrangiamento o un’orchestrazione, una produzione, altri ancora per costruire una direzione sonora che li rappresenti.
Ma il filo rosso è sempre lo stesso: li accompagno a riconoscere cosa stanno cercando davvero, lavoriamo sulla ricerca del suono, su quale parte della loro identità artistica vogliono portare in primo piano, e su come farlo in modo autentico, realizzando delle produzioni qualitativamente al massimo delle loro possibilità. Non si tratta di correggere l’esecuzione o “dare un’opinione”, ma di risvegliare un ascolto più profondo: di sé, del suono, delle intenzioni, offrendo uno specchio sonoro in cui riflettersi con più nitidezza — e capire come muoversi.
Aver imparato a lavorare con i Grammy-professionals mi ha formato nella ricerca della Bellezza e nella cura al dettaglio. Sono grata per i mentori che ho avuto».
Che cosa ti ha dato New York? Cosa rappresenta per te?
«New York rappresenta per me un punto di svolta. È una città che mette alla prova, ma che, proprio per questo, ti permette di scoprire il tuo vero livello.
È qui che ho approfondito la mia ricerca sulla vocalità, sull’identità sonora e sul ruolo dell’intenzione musicale nella scrittura. Qui ho avuto accesso a risorse e collaborazioni che mi hanno permesso di consolidare un percorso già avviato nel mercato discografico internazionale, integrando anche nuove tecnologie e strumenti avanzati.
Ho scritto e discusso la mia tesi sulla vocalità delle intelligenze artificiali proprio a New York, e nel 2024 ho ricevuto il Lilia Bloom Award per il mio lavoro di scrittura e arrangiamento vocale, con performance ufficiale dei miei brani al Lincoln Center.
Metaforicamente, la Statua della Libertà è sempre stata un’immagine simbolica per me: tiene una fiaccola accesa per chi arriva da lontano, e guarda verso il futuro. New York mi ha offerto esattamente questo: la possibilità di scegliere e perseguire la mia luce. Qui ho trovato uno spazio dove la chiarezza dell’idea, la qualità della scrittura e la coerenza del suono sono riconosciute e rispettate.
È anche per questo che continuo a lavorare da qui: perché ogni progetto, ogni collaborazione, ogni nota scritta, trova in questa città un terreno fertile per trasformarsi in qualcosa di reale».

Veniamo al TEDx. Di cosa parlerai nel tuo intervento?
«Il prossimo progetto che mi vedrà coinvolta è un intervento ufficiale al TEDx, dove porterò al pubblico una riflessione che mi sta particolarmente a cuore: l’intonazione, il blending e dell’intenzione musicale come strumenti di connessione, non solo artistica ma anche umana.
Il titolo dello speech sarà probabilmente Stay Human! Intonation is in the Air! Sarà un’occasione per presentare ufficialmente la mia teoria (o almeno la prima parte), e posso dire che sarà il primo momento pubblico in cui la mia visione — nata sul campo, tra studi di registrazione, arrangiamenti vocali, concerti e ricerche — comincerà a prendere forma anche fuori dal mio ambiente professionale. È un passo importante, e rappresenta per me una nuova modalità di condivisione: più ampia, più consapevole e, soprattutto, più connessa».