16 giugno 2003

decibel dal vivo Nobukazu Takemura Init – Roma

 
Con una musica elettronica molto particolare, instabile e allo stesso tempo rassicurante, e con un immaginario visivo esageratamente pop, Takemura ha saputo interpretare un’estetica più occidentale che orientale. Fondendo elementi diversi e generi contrastanti…

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Quello che colpisce di più, nel lavoro di Nobukazu Takemura (1968, Osaka), è la capacità di comporre elementi d’origine diversa in un quadro dai contorni confusi e spesso contrastanti. A Roma, nello spazio dell’Init, Takemura si è esibito in un live set difficilmente definibile, ma proprio per questo indicativo dei suoi lavori più recenti. Da qualche tempo, infatti, la sua musica mette insieme ritmiche elettroniche spigolose a melodie semplici e rotonde, così da restare a metà strada fra le atmosfere più sperimentali e quelle tipiche dell’elettronica pop.
Il live, legato essenzialmente a 10th (CD, Thrill Jokey 2003), il suo ultimo album, si è aperto con una serie di pezzi cantati da Aki Tsuyuko (cantante e videoperformer) su una musica dai picchi melodici leggermente dissonanti che, pur mantenendo un sapore modernista, si richiamava in qualche modo alla musica tradizionale giapponese. Nella seconda parte del concerto Takemura ha proposto una miscela tagliente di suoni Nobukazu Takemura concreti e gravi, di rotolanti incidenze ritmiche e di voci robotiche distorte, dimostrando un gusto musicale ancora non ben definibile, ma in ogni modo di ritorno verso un suono più sporco di quello delle sue ultimissime produzioni. Lo abbiamo sentito muoversi fra le atmosfere reiteranti ed elettroniche di Scope (1999), il suo primo album, e le gommose linee di synth di Sign (2001), il disco che lo ha portato alla consacrazione su vasta scala, ma Takemura è un artista da sempre in movimento: sin dalla fine degli anni ottanta ha sviluppato uno stile che s’ispira idealmente alle teorie di John Cage tanto quanto al pragmatismo dei grandi nomi del jazz americano. Ha inoltre collaborato con molti musicisti occidentali, quali Tortoise, Dj Spooky, Steve Reich, Jim O’Rourke e in generale con gran parte della vivacissima scena musicale di Chicago, acquisendo, in questo senso, delle influenze molto diverse fra loro, soprattutto nell’approccio alla musica.
Takemura è da qualche tempo impegnato a curare anche l’aspetto visivo delle sue performance, cercando un’interazione fra immagini e musica più diretta e coinvolgente possibile . Se all’inizio sullo schermo ci sono state immagini che si susseguivano senzaAki Tsuyuko un ordine narrativo, facendo da tappeto visivo alla prima parte del concerto, quando la musica si è spinta verso i suoni robotici e rotolanti di cui prima parlavamo, sullo schermo sono apparsi dei goffi ed innocui robot che Aki Tsuyuko ha fatto cantare sulle note del vocoder, controllando l’animazione in tempo reale dalla tastiera di un computer portatile. Vivace ed accattivante grazie ai disegni realizzati dal regista, illustratore e graphic designer Katsura Moshino (autore anche della particolarissima animazione della traccia video che accompagnava il singolo di Sign), la sezione video ha fatto da sfondo ad una performance che non può essere valutata che nel suo complesso. Un modo in più insomma, quello di creare un’iconografia semplice e diretta, di fondere linguaggi, percorsi e memorie di diversa provenienza, mantenendo sempre vivo quello scontro sostanziale che vive in tutta la sua produzione, sia musicale che visiva.

link correlati
thrilljockey.com

valerio mannucci
concerto visto l’8 maggio 2003

Decibel – Sound Art & Musica Elettronica è un progetto editoriale a cura di Marco Altavilla

[exibart]

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