06 novembre 2007

decibel Geotagging audio

 
Le scienze ambientali se ne occupano già da alcuni decenni mentre oggi, sulla Rete, si moltiplicano i progetti che offrono un'esperienza acustica del pianeta. Etichettando la registrazione di eventi sonori con il riferimento alla loro posizione geografica. E Google ci ha già messo le mani...

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Geotag è l’assegnazione di coordinate geografiche a un determinato media, come una foto o una registrazione, in modo da poterlo fruire con l’idea della sua localizzazione fisica. Attribuire un tag geografico a un campione significa mettere a disposizione di un network la registrazione di un punto di vista (o di udito) determinato dalla scelta del tempo e del luogo, dalla posizione e dagli obiettivi del soggetto, dalla strumentazione utilizzata e così via. Il progetto Freesound dell’Università di Barcellona, ad esempio, raccoglie già una parte delle numerose registrazioni audio disponibili sulle mappe di Google, offrendo la possibilità di ascoltare e scoprire acusticamente piccole porzioni di mondo e, per chi lo desidera, di contribuire con il proprio materiale alla mappatura acustica del pianeta. Allo stesso modo, collegandosi al sito web di Soundtransit, progettato dal collettivo olandese Umatic, si può pianificare un piccolo viaggio acustico nel globo, scegliendo il punto di partenza e la destinazione.
Se questo tipo di progetti focalizza l’attenzione più sull’elemento visivo, dal momento che il suono vi entra in gioco come un elemento spazializzato, per così dire “fotografico” e decontestualizzato rispetto alla propria produzione naturale, il laboratorio di ricerca Locus Sonus degli istituti d’arte di Aix-en-Provence e Nice Villa Arson ha realizzato invece un progetto basato sul monitoraggio in tempo reale dello spazio acustico, attraverso lo streaming ininterrotto da determinati punti del pianeta. Tra le poche risorse al momento disponibili, è possibile ascoltare il viavai in un vicoletto dello Jordaan, ad Amsterdam, o le onde del mare che si infrangono su un punto della costa francese, in prossimità di Marsiglia, fino all’attività elettrica dei componenti di una piccola cucina in Quebec; il software che raccoglie sul web i vari contenuti sonori permette inoltre di connettersi contemporaneamente a più sorgenti, scegliere quali ascoltare e ottenere un’ipermediazione unica e irripetibile di spazi e tempi diversi.
Freesound e Google Earth
Per le scienze ambientali, la rilevanza di monitorare acusticamente aree diverse del pianeta non è cosa nuova. Immaginiamo di riprendere sempre la stessa porzione acustica della foresta nebulare ecuadoregna, in periodi diversi dell’anno, per alcuni anni consecutivi. Sulla base delle registrazioni, potremmo ottenere alcune informazioni utili sul variare di una certa popolazione animale e sul ciclo dei cambiamenti climatici. Già dai primi anni ’70 del secolo scorso i ricercatori adottarono la coppia cuffie/microfono per documentare le trasformazioni dell’ambiente o studiare la comunicazione animale (da questo punto di vista, tuttavia, davvero poco è stato fatto rispetto a quella umana, che sembra invece volersi sottrarre in ogni modo alla sua riduzione acustica) e, d’altra parte, settori specialistici come la bioacustica devono gran parte dei loro risultati a questo tipo di tecnologia.
L’orizzonte che si apre oggi con il geotagging audio, basato principalmente sul web, funziona invece come un termometro sociale del successo di una pratica in via di diffusione, oppure come una forma di intrattenimento culturale o, ancora, come strumento di sensibilizzazione del sentire comune verso i problemi derivati dall’interazione dannosa dell’essere umano con l’ambiente. È presumibile che in tempi brevi il tagging audio e video sarà integrato ai comuni motori di ricerca testuali, con il duplice risultato di aumentare l’immersività della navigazione da un lato, coinvolgendo reattivamente la percezione, e stimolare l’interattività dell’utenza dall’altro, con la richiesta continua di aggiornamento open source delle mappe. E forse per il suono, più che per l’immagine, le possibilità in questo senso sono pressoché illimitate, dal momento che la varietà dei fenomeni registrabili dall’orecchio umano è di gran lunga maggiore di quella dei fenomeni visivi. Google, naturalmente, ha già messo le mani sulla cosa ed è presumibile che stia studiando il modo di integrare il geotag audio nelle mappe di Google Earth e, perchè no, anche sul più recente Google Sky, affiancando ai magnifici scatti del telescopio spaziale Hubble anche le numerose registrazioni di segnali udibili provenienti dai centri di ricerca radiospaziale.
Il logo di Locus Sonus
Ma c’è già chi discute delle possibili implicazioni estetiche del fenomeno, per l’arte e la tecnologia. Tra gli interventi reperibili sui numerosissimi forum e blog di musica e cultura digitale, si parla delle nuove soluzioni che il geotagging potrebbe offrire alla pratica compositiva del found sound, immaginando di poter conservare le informazioni contenute nel tag anche al di fuori della Rete e concependolo cioè come uno strumento autonomo. Al contrario, rimanendo all’interno del network, si discute di come l’uso dei tag potrebbe implementare gli esperimenti di performance collettiva a distanza con riprese della posizione spazio-temporale dell’ambiente in cui si trova coinvolto il performer stesso. Altrove, si cerca di far luce sulle inevitabili trasformazioni connesse con il problema dell’autoralità e dei suoi presunti diritti economici. Intanto, dal punto di vista degli strumenti, si cerca il software in grado di gestire in sincrono i metadata audio e video di un ambiente, definendo verosimilmente anche il prossimo limite dei telefonini e della tecnologia mobile in generale.

link correlati
http://freesound.iua.upf.edu/
http://www.soundtransit.org/
http://locusonus.org/

alessandro massobrio


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 43. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]

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