10 novembre 2004

decibel_ascoltati Akira Rabelais, Björk, Rosy Parlane

 
Tre album legati fra loro dalla densità emotiva del suono. Tre grandi musicisti contemporanei, stilisticamente distanti ma concettualmente appartenenti a quella “cultura sonora” che non conosce generi e distinzioni. Tra utilizzo della voce, field recordings e drone abbacinanti…

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Dopo Blemish ed il singolo World Citizen con Ryuichi Sakamoto, David Sylvian pubblica per la sua Samadhi Sound l’ultimo lavoro di Akira Rabelais, già uscito nel 2002 per la Cube. La materia prima di cui Rabelais si è avvalso per la realizzazione di Spellewauerynsherde è costituita da field recordings di canti acappella islandesi, registrati tra la fine degli anni Sessanta ed i primi Settanta. Rabelais, dopo aver accuratamente restaurato queste fonti sonore – che in qualche frammento ascoltiamo “ripulite” e al naturale – le filtra, sovrappone e mescola delicatamente attraverso il software da lui sviluppato ed utilizzato già nei precedenti lavori (in Eisoptrophobia, uscito nel 2001 su Ritornell/Mille Plateaux, aveva manipolato opere per pianoforte di Satie, Bartók e Carté), fino ad ottenere una tessitura armonica e timbrica nuova, eppure così vicina alle qualità evocative della tradizione sacra medievale. È come se questa perdesse i suoi contorni precisi per collocarsi al di là del tempo e delle coordinate geografiche, nonostante Rabelais adoperi grande sensibilità nel non dissolvere mai completamente le caratteristiche intrinseche dei malinconici canti originali. I criptici titoli delle sette tracce sembrano nascondere riferimenti ad eventi significativi per la storia dell’arte e del pensiero, in una sorta di crosy parlane, iris odice alchemico che rende ancora più misterioso ed interessante questo lavoro.
Anche Björk, l’islandese più celebre del mondo della musica, si avvale nel suo ultimo disco della preziosa collaborazione di voci della sua Terra, quelle straordinarie dell’Icelandic Choir. Ed ospita inoltre, tra gli altri, i contributi vocali di Robert Wyatt, Mike Patton e Tagaq, e quelli “elettronici” di Rahzel e Mark Bell, mentre merita una menzione a parte Valgeir Sigurdsonn, già noto per il suo lavoro con i Múm, che come ingegnere del suono non riesce purtroppo a valorizzare pienamente le caratteristiche timbriche della voce di Björk: un piccolo difetto del quale ci accorgiamo inevitabilmente poiché si tratta della protagonista assoluta di tutti i pezzi. Medúlla (Polydor/Universal) è un lavoro forse un po’ discontinuo ma di grande suggestione, certamente più raffinato ed insieme “intimista” dei suoi precedenti, anche per il più pacato utilizzo dei suoni digitali, qui esibiti in modo palese soltanto in alcuni episodi e comunque senza mai travolgere le meravigliose tessiture vocali. Dunque, l’ennesima sorpresa di un’artista in continua crescita come autrice (anche nella scrittura dei testi), performer e arrangiatrice.
I principali materiali utilizzati dal neozelandese Rosy Parlane –proveniente dal trio avant-rock Thela– nel suo Iris (Touch/Demos) sono invece field recordings, suoni campionati, pianoforte e chitarre, elaborati al computer fino a diventare quasi sempre irriconoscibili e spesso montati in loop. Il risultato è un affascinante paesaggio sonoro (“invernale”, come suggerito dalle fotografie dalle dominanti azzurre del solito Jon Wozencroft) che pur nella sua quiete, ottenuta attraverso un drone cangiante fatto di glitches densi e mai troppo spigolosi (e certamente più morbidi che in Fennesz), ci viene presentato come un organismo vivente, con i suoi mutamenti di clima, di luce e di presenze transitorie. Ciascuno dei tre “movimenti” in cui è divisa l’opera invita a stati contemplativi diversi, ma con il minimo comun denominatore del senso di armonia suscitato dalla strutturata imprevedibilità di madre natura.

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samadhisound.com>sito della Samadhi Sound di David Sylvian
bjork.com>sito di Björk
touchmusic.org.uksito della Touch

francesco bergamo

decibel – sound Art e musica elettronica è un progetto editoriale a cura di marco altavilla

[exibart]


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