30 maggio 2018

Musica

 
Una “Butterfly” semplice ma non semplificata, al Teatro Lirico di Cagliari
di Luigi Abbate

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Da anni ormai il Teatro Lirico di Cagliari presenta titoli di repertorio associati a preziosità di raro ascolto, solo opacizzate dalla patina del tempo e rispolverate per l’occasione. Questo non solo all’interno del cartellone stagionale, ma anche nella stessa serata. Opera meritoria – e, va detto, più volte premiata da riscontri di critica e pubblico – che rompe con
certa omologazione delle proposte che caratterizza anche
istituzioni di grande tradizione. Proprio in apertura della corrente
stagione per esempio sono state accostate secondo la formula del
dittico Turandot di Ferruccio Busoni e la pucciniana Suor Angelica, e proprio in questo periodo si dà un altro particolare accoppiamento, Sancta Susanna di Paul Hindemith e Cavalleria rusticana di Mascagni, consolidando così una singolare liaison fra teatro musicale tedesco di primo Novecento e coeve esperienze italiane. Qui invece si parla di una delle opere più popolari, Madama Butterfly di Puccini, in un allestimento la cui semplicità, che non fa necessariamente rima con banalità, una volta tanto s’è messa al completo servizio della musica. La storia dell’ingenua e disgraziata Cio-cio-san, illusa, impalmata e turlupinata dal cinico “gringo” Pinkerton, e perciò inevitabilmente destinata all’harakiri, non è oggetto di improbabili decontestualizzazioni, di narcisismi e ghiribizzi registici, ma, come detto, è “semplice”. Come possono esserlo un tenue impianto scenografico e luci mai aggressive, costumi in stile e coreografie in un allestimento del Teatro del Giglio di Lucca ripreso da Rosanna Monti. Operazione che ricostruisce spazio e contesto domestico di una geisha (la protagonista del titolo) di inizio ‘900, secondo le intenzioni del regista Aldo Tarabella, che firma l’allestimento nel 2004, per celebrare il secolo dalla contestata prima assoluta alla Scala, e che crea una situazione caratterizzata da costanti rimbalzi fra oriente e occidente. Tarabella è musicista, e sa benissimo che la partitura di Puccini non chiede altro che di essere “messa in scena”, quindi non fa salti mortali per, dice lui, “raggiungere il cuore e i pensieri di Cio-cio-san e poter raccontare così degnamente al pubblico la sua storia”. Tutto succede come deve succedere, senza sovrastrutture, ma non senza che manchino leggere, quasi impercettibili sfumature giocate come su una carta (giapponese…) acquerellata. 
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Madama Butterfly – Rossana Rinaldi (Suzuki), Amarilli Nizza (Cio Cio San), Massimiliano Pisapia (Pinkerton), Filippo Polinelli (Sharpless) – Coro del Teatro Lirico di Cagliari

Come il ritratto di Lady Pinkerton (Vittoria Lai), moglie vera e vera intrusa, sgradita sorpresa per la giovane geisha; ritratto delineato con particolare garbo e sensibilità. O il commovente gesto del piccolo Dolore, il figlio di Butterfly, sull’istantanea finale: di fronte alla tragedia, materna e propria, non resta immobile ma si getta istintivamente fra le braccia di Sharpless, intuendone l’umana pietà, e non fra quelle del padre fedifrago ed inetto, o della matrigna. La musica. Donato Renzetti, direttore di grande esperienza, che nutre un amore profondo per il repertorio operistico italiano d’Ottocento, e in particolare per questa temperie, possiede un talento che gli permette di plasmare dal podio il suono di una già ottima orchestra come quella di Cagliari, di infonderle quel quid che rende seducente – e viatico per inevitabili reazioni larmoyant ben percebibili in sala – il risultato complessivo. Seduce l’orchestra di Renzetti, e del pari seducente il momento del celebre coro a bocca chiusa – preparato da Donato Sivo – che suggella il magico finale del secondo atto. Karina Flores che ricopriva il ruolo della protagonista nel secondo cast e subentrava in extremis all’indisposta Amarilli Nizza, dipinge sia nella prova vocale che nella presenza scenica una Butterfly tutt’altro che semplificata, anzi psicologicamente sfumata, graziosa nei modi ma risoluta e intensa nella sostanza. Convincenti anche le prove del Pinkerton di Massimilano Pisapia, e soprattutto dello Sharpless di Filippo Polinelli. 
Uno spettacolo la cui coesione fra musica e scena si auspica di incontrare con più frequenza nei teatri d’opera.
Luigi Abbate

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