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Una nuova frontiera del gotico, un rock noir da cattedrale; nato dall’improvvisazione del momento, dalla narrazione di storie di vita del gruppo: “Just wanted to go into the studio for a few days with our acoustic guitars and see what happened”, frase di Layane Staley, cantante e frontman della band, riassume l’anima di questo acoustic-based EP degli Alice in Chains. Registrato nella settimana tra il 7 ed il 14 settembre del 1993 al London Bridge Studio di Seattle, rilasciato dalla Columbia Records il 25 gennaio del 1994; scritto e registrato in una settimana, Jar of Flies, è ciò che è, la sua sostanza è quella di essere un “attimo” e come tale è unico, irripetibile, viscerale; un attimo che può pure vantarsi d’esser stato il primo EP della storia a raggiungere la posizione numero uno nella classifica statunitense Billboard 200.
Tappeti di chitarre grunge imbevono l’album nel suo complesso, lo annegano anzi. Rotten Apple è lo sporco zerbino d’ingresso in questo mondo, pianeta marziano arrugginito con chitarre che affondano e riemergono a prendere boccate di fiato, lamentose, agonizzanti. Nutshell è solo essenza libera del soggetto spoglia del suo guscio protettivo, del suo carapace, paura, angoscia, essenza sputata in faccia dalla voce affilata di Staley in questa traccia che è l’indiscusso capolavoro dell’EP. A tratti estivo, a tratti strisciante a tratti epico questo e molto altro I Stay Away con i suoi archi e giri di chitarra elettrica. Continuando la perlustrazione di questo mondo interno e sconosciuto, a tratti inospitale, a tratti profumato di casa vengono poi No Excuses, pezzo musicalmente più sbarazzino e Whale & Wasp instrumentale di grunge che par medievale, di cacce hai draghi e castelli di assoli adatta giusto a riprendere fiato prima di tuffarci nella struggente Don’t Follow e ammarare sulla goliardica Swing on This.
Fabio Gagliandi