28 luglio 2021

Virtuosismi e rodei al Festival di Verbier, con le star della musica classica

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I migliori nomi della musica classica internazionale si incontrano in Svizzera, al Festival di Verbier, che ritorna dopo la pausa forzata causa Covid, con rinnovato vigore e tanto spettacolo

Francesco Piemontesi

La voragine che lo scorso anno ha fatto ovunque precipitare nel nulla – o quasi – molti festival musicali ha riguardato anche quello, importante e longevo, di Verbier. Dopo aver raccontato l’edizione del 2019, prevista e totalmente cancellata quella di un 2020 che doveva celebrare alla grande i 250 anni dalla nascita di Beethoven, siamo tornati nello svizzero Canton Vallese per seguire le prime due giornate dell’edizione di quest’anno, 15 giorni (dal 16 luglio all’1 agosto) di musica a raffica, dalle 11 del mattino alle 10 sera (ma non oltre).

Il covid, seppur ridotta, continua la sua azione devastatrice, ma il fondatore e direttore del Verbier Festival, Martin T:son Engstroem, e tutte le sue collaboratrici e collaboratori son riusciti a tener dritta la barra, mantenendo una formula consolidata lungo i 28 anni di vita della rassegna: programmare in convivenza star del concertismo internazionale e giovani musicisti, solisti e componenti della VFO – Verbier Festival Orchestra, governata fra le altre da una fra le più prestigiose bacchette, quella del russo Valerij Gergev, che ormai è ospite fisso della manifestazione.

Quest’anno ha concentrato le presenze il giorno dell’inaugurazione, due concerti (18 e 20:15) in una Salle des Combins, la grande struttura destinata agli ascolti per ampio organico, adattata alla perdurante emergenza sanitaria. Pubblico distanziato e dimezzato, un’affluenza non paragonabile all’epoca pre-covid, e non tanto per il costo dei biglietti (siamo in Svizzera), ma per un mix di timore e apatia: questo del riportare il pubblico a teatro e al concerto dal vivo è un tema assai complesso, una ferita ancora aperta che avrà bisogno di tempo per essere rimarginata. Anche perché, sia chiaro, non mancano le difficoltà, e non da poco. Cancellazioni o modifiche di programma con drastiche riduzioni d’organico dei concerti che han visto impegnata la VFO, la Sinfonica del Festival, la più importante delle quali è senza dubbio l’esecuzione in forma di concerto del Secondo atto dal Tristan und Isolde di Wagner, con Daniele Gatti sul podio.

Per esempio, poche settimane prima dell’inaugurazione, un focolaio ha costretto alla quarantena decine di giovani strumentisti in preparazione dei concerti, riducendo l’originaria sinfonica in un’orchestra da camera, e inevitabilmente obbligando a modificare in corsa i programmi. Così l’originaria accoppiata di concerti del 16 luglio che prevedeva un lavoro del novantenne Rodion Schedrin, già presente al Festival due anni fa, il celebre Primo e il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Ciaikovskij, solista Denis Matsuev, e la Quinta Sinfonia di Prokofev, quasi per incanto si trasforma nel Concerto per pianoforte, tromba e archi di Sostakovich nel primo dei due programmi, il Terzo per pianoforte di Beethoven nel secondo, e, duplicata in entrambi i programmi, la Sinfonia classica sempre di Prokofev. Di quest’ultima Gergev offre una lettura sbarazzina e spumeggiante a un tempo, ma il mattatore della doppia prestazione è stato senza dubbio il pianista Matsuev: non solo per esser saltato in corsa, come in un rodeo, dai due concerti ciaikovskiani allo Sostakovich, affiancato dall’ottima tromba di Timur Martynov, e a Beethoven, ma per averli proposti con il gesto da funambolo che gli è proprio, che a volte sfiora il kitsch, a volte lo palpeggia pesantemente, come nel muscolare bis  “Nell’antro del re della montagna” di Grieg / Ginzburg (il “cameo” si trova anche in Youtube: vedere per credere).

Si diceva, i mattatori del podio e del solismo da una parte, i giovani emergenti dall’altra. Due sotto la lente per l’inizio della rassegna. Il pianista israeliano Tom Borrow si presenta con una dote già cospicua di vigore pianistico e convincente capacità di lettura del testo musicale, ma ancor più con l’intelligenza nell’impaginare il programma: Fantasia e Polacca-Fantasia di Chopin in apertura, virata russa nella poderosa Sonata n. 6 dell’onnipresente Prokofev, con aperitivo deliziosamente acido del Preludio e Fuga n. 15 op. 87, ancora di Sostakovich. Il violinista ceco Josef Spacek invece è solista nel concerto di Mozart K 216, accompagnato dall’ipergestuale Gabor Takacs (ipergestualità che comunque piace ai giovani dell’orchestra – bravissima la violinista di spalla – sia in Mozart che nell’Ottava di Beethoven che seguiva). Spacek esprime in Mozart un talento naturale non solo per virtuosità ma anche plasticità della cavata e per freschezza, quasi spontanea confidenza con il fraseggiare. Alla fine, bis a grande richiesta, entusiasma la Danza rustica dalla Sonata n°5 di Eugène Ysaÿe.

Verbier Festival, s’è detto, termina il 1 agosto. Mentre noi vi regaliamo questo resoconto, e voi forse lo leggete, arrivano e se ne vanno, opportunamente covid-free, top players come Pappano, Harding, I. Fischer sul podio, Kissin e Schiff alla tastiera, Bell e Jansen al violino, Maisky al cello. E insieme con loro le promesse di talento del concertismo che si fanno apprezzare nelle masterclass del festival e nei concorsi internazionali. Questa la “formula Verbier” che resiste alle sciagure e, speriamo, continui sulla sua strada.

Qui il programma completo.

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