15 dicembre 2019

Australia, il nuovissimo mondo dell’arte. Al PAC di Milano

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Al PAC di Milano la prima grande mostra dedicata all'arte contemporanea australiana realizzata al di fuori dell'Oceania, con la quasi totalità di opere mai esposta in Europa. Il curatore, Eugenio Viola, ci ha raccontato l'Australia delle arti visive contemporanee e la mostra

Maria Fernanda Cardoso Australia PAC Milano
Maria Fernanda Cardoso, Spiders of Paradise: Maratus speciosus from the Actual Size Series, 2018
deep focus microscopy pigment prints on premium photo paper, three elements, 152 cm x 152 cm x 4 cm, courtesy l’artista e PAC

Al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano “Australia. Storie dagli antipodi”, a cura di Eugenio Viola, «la più grande ricognizione sull’arte australiana contemporanea mai realizzata al di fuori del continente, una selezione di 32 artisti, sia emergenti che affermati, appartenenti a diverse generazioni e background culturali».

«Dipinti, performance, sculture, video, disegni, fotografie e installazioni – alcune site specific – tracciano un viaggio metaforico all’interno del panorama multiculturale dell’arte contemporanea australiana, influenzato da storie personali, lingue, origini etniche, religioni e tradizioni eterogenee: dagli artisti afferenti alle molte culture aborigene e ‘First Nations’ a quelli che sono arrivati dal Pacifico, dall’Europa, dai paesi asiatici e dalle Americhe», ha spiegato il PAC.

Dal 16 dicembre le tre performance della opening week, con Mike Parr, Marco Fusinato e il collettivo Soda_Jerk.

Eugenio Viola ci ha raccontato l’Australia delle arti visive contemporanee e la mostra.

Dal 2017 al 2019 sei stato Senior Curator al Perth Institute of Contemporary Arts (PICA), ora sei Chief Curator del Museo de Arte Moderna de Bogotá (MAMBO), in Colombia. Che cosa ti sei “portato via” dall’Australia? Quali aspetti specifici di quella realtà ritieni siano stati particolarmente interessanti, a livello lavorativo?

«Nel mio trasferimento dall’Australia alla Colombia ho portato con me un bagaglio di esperienze e di relazioni che hanno molto ampliato i miei orizzonti culturali, curatoriali e lavorativi.
L’Australia mi ha dato inoltre la possibilità di confrontarmi per la prima volta con la realtà complessa di una nazione nata da una ex-colonia, segnata da questioni legate a processi di colonizzazione e decolonizzazione. È un paese dall’identità nazionale complessa, caratterizzato da una serie di problemi che sono difficili da spiegare e rinegoziare.
Questa esperienza mi è tornata utile quando mi sono trasferito in Colombia, anch’essa, seppur con le debite differenze, nazione nata da un ex-colonia, analogamente abitata da discendenti dei colonizzatori e da popolazioni indigene, che il pregiudizio eurocentrico definisce ‘precolombiane’.
Ho complessivamente arricchito la mia visione dell’arte e della vita, esplorando un microcosmo di esperienze che a me era prima quasi del tutto sconosciuto. Per il mio lavoro al PICA ho viaggiato molto all’interno del continente, scoprendo molti artisti che non conoscevo e la loro ricerca. Molti di loro, tranne alcuni la cui presenza è consolidata, storicamente o sul piano internazionale, sono stati per me una scoperta».

Quale posto occupa l’Australia nello “scacchiere” dell’arte contemporanea? Quali sono i suoi interlocutori internazionali più diretti?

«La critica d’arte australiana per molto tempo si è interrogata su un supposto stato periferico dell’arte australiana, basato su una visione un po’ stereotipata legata ad una “tirannia della distanza”. Situazione che si è ribaltata da circa trent’anni, con l’emergere delle teorie post-coloniali, che hanno reso improvvisamente più interessanti, sul piano internazionale, gli artisti australiani. Alcuni di loro sono infatti regolarmente invitati nelle grandi rassegne internazionali, come biennali e Documenta.
Ritengo che gli interlocutori più diretti siano i paesi del sud-est asiatico. Non a caso si parla di “Australasia“, che etimologicamente significa, per l’appunto, “Asia del Sud”. Per questo motivo, avevo incentrato la mia programmazione al PICA esaltando questa vicinanza che non è solo geografica, ma anche culturale e legata ad i flussi migratori, inaugurando la mia attività lì con una collettiva di artisti pachistani ed indiani, pensata per ricordare i settant’anni della sanguinosa “Partizione” tra India e Pakistan, tra le più drammatiche diaspore del “secolo breve”, e proseguito presentando la prima personale in una istituzione australiana di Kimsooja, artista coreana il cui lavoro stimo profondamente, e proseguito avviando una partnership con Taiwan».

Come è nata la mostra al PAC?

«La mostra al PAC è nata dal dialogo con Diego Sileo, cui sono legato da un rapporto di stima che dura ormai da diversi anni. Il PAC presenta, a cadenza annuale, un focus su realtà geografiche specifiche. Negli anni scorsi hanno già presentato mostre sulla Cina, il Brasile, Cuba. Oltre un anno fa, quando ancora vivevo in Australia, Diego mi ha proposto di lavorare ad un progetto volto ad indagare il presente dell’arte in Australia».

Da dove provengono le opere, da istituzioni, collezioni private, artisti? Da quali aree geografiche? In mostra si trovano anche opere raramente o mai esposte in Europa?

«Tutte le opere selezionate non sono mai state esposte prima in Europa, con l’eccezione di Mother Tongue (2017) di Angelica Mesiti, presentato nella sua antologica al Palais de Tokyo di Parigi l’inverno scorso, e Rib Markings #1 e #14 (From Rules and Displacement Activities Part II, Identification No.1 – Rib Markings in Carnarvon Range, southeast-central Queensland, gennaio 1975), lavoro presentato dall’artista nella sua retrospettiva alla Kunsthalle di Vienna, nel 2012, ma qui ricontestualizzato da un dialogo intergenerazionale e interculturale con Dale Harding, e riattivato da una performance site-specific dell’artista, Towards An Amazonian Black Square, che sarà agita la sera dell’inaugurazione.

Le opere selezionate (e gli artisti invitati), provengono da tutti gli stati del paese (Western Australia, New South Wales, Victoria, Queensland, Tasmania) che è grande come un continente. Molte sono giunte a Milano direttamente dagli studi degli artisti, con la maggior parte dei quali ho un rapporto personale, altre dalle gallerie australiane che li rappresentano, e in alcuni casi da collezioni private e fondazioni australiane.
Alcune, infine, sono state realizzate espressamente per questa mostra».

La selezione degli artisti è transgenerazionale e multidisciplinare. In base a quali criteri li hai selezionati?

«Questa mostra è una ricognizione, senza alcuna pretesa di esaustività, ed è il risultato di un viaggio, personale e professionale, “Down Unde”. L’obiettivo è offrire un’istantanea, invitando alcuni degli artisti australiani più rappresentativi, ed è per l’appunto transgenerazionale, in quanto ho invitato alcuni ‘senior artists’, quali Fiona Hall, Jill Orr o Mike Parr, che è figura imprescindibile nella storia della performance art e non solo australiana. La maggior parte sono artisti middle-career, accompagnati da una selezione di artisti più giovani, di cui alcuni, tuttavia, già ben presenti nel panorama internazionale.
La metà degli artisti invitati sono di nazionalità aborigena, anche se hanno studiato nelle scuole d’arte delle città in cui vivono ed utilizzano lo stesso vocabolario plastico ed intermediale degli artisti australiani discendenti dagli europei.
Ho preferito artisti che indagano la realtà in maniera critica, politica e polemica. Questa scelta è sicuramente legata ai miei interessi curatoriali, che sono poi anche molto vicini alla linea che il PAC porta avanti ormai da molto tempo. Non è difatti un caso che io abbia collaborato più volte con Diego Sileo e con questa istituzione, tra le più coerenti, a mio avviso, sul territorio nazionale».

Come definiresti, in estrema sintesi, lo stato dell’arte contemporanea australiana?

«Multiculturale, competitivo, dinamico e aperto a confrontarsi, dialetticamente, con le contraddizioni e le lacerazioni della contemporaneità».

Le performance della opening week:

Lunedì 16 dicembre, alle 19.00 – Opening Performance
Mike Parr, Towards a Black Amazonian Square

Martedì 17 dicembre, dalle 15.00 alle 21.00 – Performance
Marco Fusinato, Spectral Arrows

Mercoledì 18 dicembre, alle 20.30 – Proiezione film
“Terror Nullius” del collettivo Soda_Jerk al MIC Museo Interattivo del Cinema di Milano

Giovedì 19 dicembre, alle 19.00 – Visita guidata con Eugenio Viola e Judith Blackall

Vernon Ah Kee, Tony Albert, Khadim Ali, Brook Andrew, Richard Bell, Daniel Boyd, Maria Fernanda Cardoso, Barbara Cleveland, Destiny Deacon, Hayden Fowler, Marco Fusinato, Agatha Gothe-Snape, Julie Gough, Fiona Hall, Dale Harding, Nicholas Mangan, Angelica Mesiti, Archie Moore, Callum Morton, Tom Nicholson (with Greg Lehman), Jill Orr, Mike Parr, Patricia Piccinini, Stuart Ringholt, Khaled Sabsabi, Yhonnie Scarce, Soda_Jerk, Dr Christian Thompson AO, James Tylor, Judy Watson, Jason Wing and Nyapanyapa Yunupingu

Australia. Storie dagli antipodi
A cura di Eugenio Viola
Dal 17 dicembre 2019 al 9 febbraio 2020
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro 14, Milano (MM1, Palestro)

Orari mostra: mercoledì, venerdì, sabato e domanica dalle 9:30 alle 19:30, martedì e giovedì dalle 9:30 alle 22:30 (lunedì chiuso)

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