16 marzo 2020

Donald Judd al MoMA

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Il MoMA rende omaggio, a quasi trent'anni dall'ultima retrospettiva in terra statunitense, a una delle figure chiave dell'arte del Novecento, ma a poche settimane dall'inaugurazione il museo chiude a causa dell'emergenza coronavirus

Donald Judd, exhibition view “Donald Judd”, MoMA - Museum of Modern Art, New York City, 2020, courtesy MoMA

A inizio marzo abbiamo visitato la mostra di Donald Judd al MoMA, allora appena inaugurata. Poco più di due settimane dopo, il 13 marzo, di fronte al diffondersi del coronavirus, il museo ha deciso di fermarsi, ancora prima dell’introduzione delle disposizioni governative, chiudendo anche il MoMA PS1 e i MoMA Design Store sulla 53rd Street e a Soho.
Pubblichiamo il testo come era stato scritto nei giorni dell’art week newyorchese.

Judd MoMA
Donald Judd, exhibition view “Donald Judd”, MoMA – Museum of Modern Art, New York City, 2020, courtesy MoMA

La mostra

Se mai aveste pensato a Donald Judd come il freddo scultore dei cubi di metallo che si vedono un po’ nelle collezioni permanenti dei musei più importanti del mondo vi invitiamo a ricredervi.

La bellissima mostra “Judd”, che ha inaugurato al sesto piano del MoMA lo scorso primo marzo è infatti uno spaccato, dal display allestitivo ineccepibile, dedicata alla carriera del grande artista (Missouri, 1928 – NYC, 1994).

“Judd” è una mostra sintetica, secca, lineare come solo le costruzioni di Judd hanno saputo essere, e che inizia non tanto con l’esposizione dell’attività pittorica dell’artista né tantomeno con i testi legati alla sua professione di critico: Judd infatti, dal 1959 al 1965 circa, scrisse qualcosa come più di 600 recensioni e saggi sull’arte, e a tal proposito – nel bookstore del MoMA – troverete uno splendido volume che raccoglie interamente questa produzione.

Judd MoMA
Donald Judd, exhibition view “Donald Judd”, MoMA – Museum of Modern Art, New York City, 2020, courtesy MoMA

Judd anti-scultore

“Judd” si apre con una serie di lavori che erano stati presentati in “Don Judd” la sua prima personale alla Green Gallery di New York, alla fine del 1963, e ripercorre senza sbavature una carriera di scultore in grado di rivoluzionare l’approccio al medium e alla sua poetica.

Incorporando nei suoi primi assemblaggi oggetti industriali, “senza cercare di oscurare il loro essere, ma rendendoli astratti”, come ha scritto Roberta Smith, Judd inizia un percorso che lo porterà a rendere i suoi pezzi sempre più perfetti, lavorando a fianco di imprese per la realizzazione delle opere, come la svizzera Alu Menziken AG, e usando come colore le tinte RAL (la scala di toni normalizzata e più precisa a livello industriale su scala globale).

Un passaggio fondamentale, che viene raccontato anche nella mostra, citando le stesse parole di Judd che descriveva come – nei primi anni ’60 – sentiva le sue sculture come oggetti imperfetti, ancora troppo visibilmente legate all’intervento umano.

Judd MoMA
Donald Judd, exhibition view “Donald Judd”, MoMA – Museum of Modern Art, New York City, 2020, courtesy MoMA

E così si parte, in un percorso verso quelle opere definitive che, al MoMA (da vedere ovviamente anche per il magnifico riallestimento della collezione permanente e per i nuovi spazi) si affacciano dalla seconda sala in poi.

“Ho sempre considerato il mio lavoro come una qualunque attività. Certamente non pensavo di fare sculture”, aveva dichiarato l’artista al quale fu affibbiato anche l’appellativo di “padre” dell’arte Minimale. Ma anche questa (lusinghiera) definizione era stata stretta all’artista per tutta la vita. In fin dei conti, Judd, non aveva intenzione di essere “minimale”: la sua, piuttosto, era la continua ricerca di un mutamento della forma oggettuale, dei materiali, dei metodi di lavoro che appartenevano al contemporaneo dell’area di New York nella metà del secolo scorso.

Quello che non vi potranno dire queste parole ve lo potrà raccontare una visita alla mostra, una collezione di “spazi reali” dove alluminio, acciaio, legno e plexiglas formano strutture che dialogano tra loro e con l’ambiente; per certi verse delle mise en abîme prospettiche, in una serie di combinazioni precise di colore e superfici.

Judd MoMA
Donald Judd, exhibition view “Donald Judd”, MoMA – Museum of Modern Art, New York City, 2020, courtesy MoMA

Un riconoscimento in ritardo

Una retrospettiva che arriva a quasi vent’anni di distanza dall’ultima mostra dedicata a Judd negli Stati Uniti, al Walker Art Center di Minneapolis nel 2001, e a più di trent’anni da quella che il Whitney gli aveva dedicato nel 1988.

“Uomo scomodo” venuto dal Sud, che già nel 1977 aveva lasciato New York e l’allora scena di SoHo – il suo studio a Spring Street oggi ospita la Judd Foundation, partner fondamentale anche per la mostra al MoMA – Judd si era trasferito a Marfa, nel Texas, accompagnato dall’idea di creare un ambiente per l’arte ancora una volta “real space”, dove nel corso degli anni sono state installate opere anche di Dan Flavin e John Chamberlain, l’Espressionista Astratto della scultura “made in US”. E dove Judd si è anche dedicarsi all’attività di designer. Anche in questo caso con un segno così netto e preciso da sopravvivere a qualunque moda ed epoca. Impresa non comune, nemmeno per un “minimalista”. Anche per questo “Judd” è una mostra da godersi opera per opera, anzi, pezzo per pezzo.

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