27 maggio 2002

Francesco Ciusa La Madre dell’Ucciso

 
I primi vagiti del secolo breve, provengono dall’Atene sarda il cui figlio prediletto, Francesco Ciusa, propone in gesso l’intima realtà di una regione…

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È il millenovecentosette quando un giovane pressoché sconosciuto, trionfa alla Biennale di Venezia con la Madre dell’ucciso.
Quel giovane è Francesco Ciusa, vent’anni appena compiuti, studente emigrato dalla Sardegna a Firenze con un sussidio di 300 lire. Nuoro, la sua città natale, che in quegli anni non ancora provincia, sembra essere fucina inesauribile di talenti, capace di forgiare futuri premi Nobel come Grazia Deledda, straordinari giuristi e poeti come Sebastiano Satta; tanto da meritarsi l’appellativo di Atene Sarda, incredibilmente lontana da tutto ma perfettamente in linea con la cultura contemporanea e che vede nelle arti figurative, il nome importante di Francesco Ciusa: Fidia dell’Atene Barbaricina.
La Madre dell’ucciso assurge a simbolo di quell’arte verista e regionalista che rappresenta il linguaggio artistico dell’Italia d’inizio secolo prodotto di un simbolismo che impera, non ancora travolto dagl’ideali spavaldi e macchinici dell’arte marinettiana. Temi ruralistici e populisti, di lotta operaia e questione meridionale, diventano punto di partenza di molte ideologie della fine del ‘800, impegnate nell’utopia di realizzare un’arte nuova di valore universale, capace per evitare l’anonimato, di attingere alle diverse realtà regionali ed etniche, purché non interpretate in senso pittoresco o folcloristico.
Ma torniamo a Ciusa. Qualche anno prima dell’epifania veneziana [1904], l’artista lascia Firenze per far ritorno in Sardegna, prima a Sassari, ospite di Giuseppe Biasi, poi a Nuoro. Il suo ritorno nell’isola è segnato dallo sconforto nel constatare che la ricerca artisticaFrancesco Ciusa, particolare antiaccademica è portata avanti da pochi artisti, non ancora consapevole del fatto che, proprio la condizione periferica della sua terra, la situazione socio-culturale, insieme alle esperienze maturate oltre il Tirreno, saranno la forza di quella ‘febbre creatrice’ che plasmò in creta la Madre dell’Ucciso. Ciusa racconta: «La Barbagia di Nuoro era insanguinata; il cuore dell’isola più per mancanza di virtuosa giustizia che per ironica avversità del destino, era funestato da episodi di sangue… l’anima stanca di vagare nel tormento s’abbandonava alla via del destino: era un soffrire, un naufragare nell’abisso più nero» eppure continua Ciusa «Splendeva l’isola in notte tanto nera». Prodotto e simbolo di quel clima, è una donna le cui mani, segnate dal tempo, stringono le ginocchia al petto, simulando una protezione contro il dolore, che è forte, si sente, travolge. Una corazza dalla forma semifetale, serrata e inaccessibile, appare come unica reazione di una madre che ha visto morire il proprio figlio e che ora, seduta in terra davanti al focolare spento, esegue il rito nuorese de Sa rja, la veglia funebre. Aspetto quest’ultimo che la maggior parte del pubblico veneziano ignorava e che probabilmente ha contribuito a conferire alla statua l’aspetto di concentrazione ieratica che tanto affascina. I dettagli pur numerosi appaiono asciutti, come incisi sulla superficie alla ricerca di una stilizzazione moderna, prodotto degli insegnamenti di Trentacoste e della tradizione toscana che arriva fino a Donatello. Occhi semichiusi, piedi nudi e compostezza immota: tutto racconta sofferenza.
Quest’opera si propone come un dialogo moderno fatto di valori etnici e popolari proposti da una regione – la Sardegna – che si affaccia con le sue radici antichissime alla vita di una giovane nazione: l’Italia del Secolo Nuovo.
L’originale in gesso della Madre è custodito nella Galleria Comunale d’Arte di Cagliari, mentre una copia in bronzo fa parte della collezione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Esistono inoltre altre due copie una a Palermo e una in Inghilterra. Di quest’ultima però, si sono perse le tracce.

bibliografia essenziale
R. Bossaglia. Francesco Ciusa. Illisso Nuoro 1990
I. Delogu,
Miti Tipi Archetipi 100 anni di scultura in barbagia e dintorni. Illisso1989
S. Naitza, Artisti Sardi nella collezione civica 1900-1970 [Catalogo collezione permanente]
M. Magnani G. Altea, Pittura e Scultura del primo Novecento 1900-1930 Illisso Nuoro 1997
G. Pellegrini, Francesco Ciusa: splendori di tenebra Unione Sarda Giovedì 30 Dicembre 1999

Andrea Delle Case

Progetto editoriale a cura di Daniela Bruni

[exibart]

2 Commenti

  1. Opere stupende di Francesco Giusa, plasmate con profonda interiorità.
    Ho letto il libro “La madre” e il libro ” Il vecchio e i fanciulli”, ed altri, del premio Nobel Grazia Deledda, ho visto la sua casa e la sua città, dove ha vissuto anche Francesco Giusa,libri che mi hanno colpito per la loro potenza e per il loro contenuto.
    Ricordo che li ho letti quando ero giovanissima e ancora ,ogni tanto, li leggo volentieri.

  2. Una copia in bronzo è conservata ed esposta anche nell’antica chiesetta di San Carlo a Nuoro, a 15 metri dalla rovinante casa natale di Francesco Ciusa

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