02 febbraio 2015

IN RICORDO DI VASCO BENDINI

 
di Matteo Montani

di

Poco più di due anni fa ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Vasco Bendini in occasione della mostra ideata da Gabriele Simongini che ci vedeva “Così vicini e così lontani” allo stesso tempo, nei begli spazi del Museo della Fondazione Carichieti.
Di Bendini avevo assaporato – come il vento che porta fragranze lontane ma che risvegliano ancestrali istinti – alcuni sguardi ravvicinati sulla sua opera grazie a Fabio Sargentini che sapeva benissimo la bontà della portata che mi stava offrendo un pomeriggio in galleria, nel quale le tele di Vasco erano improvvisamente apparse.
La cosa che mi colpi di più a quel tempo fu ciò di cui quella pittura si faceva carico. Erano quadri degli anni cinquanta, la materia era residuo, portato alle estreme conseguenze, così estreme che in quella deriva avvertivo la pienezza di un poema epico. In quelle tracce slavate si saturava la storia di un avventura esistenziale condotta senza riserve. Come una bandiera su una nave resistita a innumerevoli tempeste e tornata lisa e consunta in porto, ma ancora in cima all’albero maestro a significarne l’identità, le superfici di Vasco raccontano del naufragio al quale il pittore contemporaneo sottopone sé stesso e la sua opera, per ritrovare la via di casa che è spesso la via del riconoscimento dell’anima.
Vasco Bendini, Senza titolo, 2013, olio su tela
Durante l’allestimento della nostra doppia personale rimanemmo soli io e lui davanti alle nostre opere per un po’ di tempo. Era la sala più grande del Museo e l’unica nella quale condividevamo lo spazio. Si venne a creare una sorta di contrappunto ludico (non saprei come descriverlo altrimenti), un continuo botta e risposta su aspetti formali del lavoro che prendeva in considerazione il carattere dello “stupor” come chiave principale per la ricerca di una verità nel  lavoro. Ci soffermammo su segni, vuoti, rivoli, cascate. Sembravamo due uccelli intenti in acrobatiche evoluzioni per andare a sfiorare il pelo dell’acqua e dissetarci, con la nostra pittura.
Fu un’esperienza unica e rara, così come unico e raro a mio avviso è l’uso del bianco che Vasco negli ultimi anni ha esercitato. Suggerisco vivamente di porre attenzione a quest’opera, le opere bianche dipinte su alluminio, perché, a mio modesto parere, sono da iscrivere in uno dei momenti più alti che la storia della pittura moderna e contemporanea abbia vissuto.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui