15 aprile 2011

L’importante è non far niente

 
Vengono calpestati, utilizzati, avvitati, incollati, strappati. Sono i materiali che compongono le passerelle, le pedane e le postazioni bar durante le partecipatissime sfilate di moda. Nessuno però li considera o li ama per la loro semplicità. Nessuno a parte un gruppo di giovani belgi...

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Durante la settimana del Salone del mobile gli eventi in questa città si moltiplicano. La Fondazione Prada partecipa a questa grande kermesse ospitando il vostro progetto “Ex limbo”, una grande installazione costruita con i materiali utilizzati per le sfilate dell’omonima casa di moda. Voi sfuggite volentieri dalle definizioni e non vi sentite architetti e forse non vi sentite nemmeno designer: vi sentite perlomeno un po’ artisti? O meglio, la vostra progettualità ha a che fare con il mondo dell’arte?

Maarten: Beh, noi cerchiamo di evitare l’uso della parola “arte” per indicare la qualità e la natura dei nostri lavori anche perché non sappiamo bene come riuscire a spiegare ed interpretare un concetto così astratto, e francamente non mi sembra ci sia nessuno in grado di farlo. Di conseguenza ogni discussione intorno al senso dell’arte – per quanto interessante possa essere – finisce per essere comunque sterile. Noi preferiamo parlare di questo lavoro e di come esso è nato.

Forse hai ragione, ma appena sono entrato qui uno dei primi oggetti che ho visto è stata una pedana di metallo colorata di rosa appoggiata ad una colonna; e proprio qualche giorno fa è morto John Mccracken, i cui lavori ultraminimalisti  consistono proprio in pannelli di legno colorati appoggiati alle pareti bianche delle gallerie… ecco, mi è venuto praticamente spontaneo pensare che anche dietro al vostro intervento ci fosse un forte intento comunicativo…

Benjamin: No, non è così. Noi in realtà utilizziamo certi codici  e certe soluzioni che possono sembrare solo apparentemente appannaggio dell’arte e degli artisti,  ma se ci pensi quando  hai da appendere qualcosa al muro, o vuoi appoggiarla, compi comunque un’operazione banale. E’ un fatto meramente pratico utilizzare le superfici  di una stanza per i propri scopi espositivi.

Maarten: La differenza forse sta nel fatto che quando noi mettiamo una tavola rosa davanti ad una colonna è perché vogliamo davvero parlare di quella tavola rosa… non ci interessa la relazione di quest’oggetto con il mondo dell’arte, noi  parliamo del materiale in quanto tale. Nel catalogo della mostra c’è un’intervista con Germano Celant in cui Benjamin spiega bene questo concetto: quando per esempio Marcel Duchamp mette su un piedistallo un pitale non vuole in effetti parlare tanto di quell’oggetto ma del suo senso all’interno dell’esibizione e del suo diventare in questo modo un oggetto d’arte. Ecco, anche in questo caso, fosse stato per noi, avremmo scelto di raccontare solo il vaso in quanto vaso.

Dunque anche qui in via Fogazzaro, nella sede della Fondazione Prada, avete scelto di parlare solo degli oggetti in quanto tali…

Maarten: Esattamente. Quando abbiamo visitato lo spazio per la prima volta avevano appena smontato le passerelle utilizzate per una sfilata e tutti i materiali erano stati stoccati nel magazzino. Quando siamo entrati nel deposito la visione di questo enorme allestimento destrutturato ed imballato ci ha subito colpito ed incuriosito. Da qui è nato il nostro intervento: volevamo ricreare quell’immagine così potente e restituire alla persone le nostre sensazioni. Tutto questo senza cercare di dare un senso preciso al lavoro ed agli oggetti che lo compongono, creando qualcosa in cui le persone  possano trovare ciò ciò che vogliono senza che nessuno di noi debba dare loro il “libretto d’istruzione” per capire cosa vogliamo dire…

E’ per questo che non avete creato un altro tipo di allestimento? Era possibile un ordine diverso, magari più facile da immaginare, ma avete operato una scelta precisa, ed avete scelto di mantenere le cose uguali a prima…

Maarten: Certo, non scegliere di fare una cosa è come scegliere di farla.. è paradossale, ma è ovvio che sia così. Scegliendo letteralmente di non fare niente – nel senso di non intervenire nella disposizione delle cose – abbiamo scelto proprio di rinforzare quella visione di cui parlavamo prima. Eppoi noi siamo qui alla Fondazione Prada e c’interessano i suoi spazi e come essi si presentano. Non vogliamo modificare nulla del loro stato, vogliamo lavorare con il materiale che sta qui e per come ci sta, per come si relaziona con lo spazio circoscritto in questo “contenitore”. Noi abbiamo bisogno del contesto, anzi, a noi interessa da morire lavorare con il contesto.


Così voi non potreste fare mai un lavoro identico in un altro posto, per esempio in un giardino o in un parco….

Maarten: Esattamente. L’unico posto dove possiamo fare il lavoro che vedi qui è la Fondazione Prada: questa situazione funziona solo all’interno di questo contesto. Ti faccio un altro esempio: alla scorsa Biennale di architettura a Venezia (i Rotor hanno curato il padiglione del Belgio, ndr) abbiamo allestito una sala con una serie di  materiali che avevamo trovato in quei luoghi: abbiamo cioè creato una sala con degli oggetti validi di per sé, validi per le loro caratteristiche naturali,  differenziandoci così da altri padiglioni che presentavano invece pavimenti ricoperti da moquette bianca con qualche computer acceso che presentava dei semplici rendering…

Ripeto: abbiamo veramente bisogno del contesto, per noi è basilare tanto quanto il materiale.

Guardando queste pile di oggetti, queste file di pannelli e di specchi accatastati, il contrasto fra ciò che questi oggetti hanno rappresentato prima di oggi ed il loro attuale non-utilizzo è netto: facevano parte di una sfilata di moda, con la musica, i suoni, le persone ed i colori incredibili di quel mondo eccentrico. Cosa ne pensate di questo senso di “fine”, di “inutilità” che può suscitare il vostro lavoro? E’ ricercato questo senso di malinconia?

Benjamin: La nostra intenzione era di portare tutto il materiale della sfilata qui dentro, cercando di riproporne il più possibile l’ordine con il quale sono stati accatastati e dunque immagazzinati qualche mese fa. In pratica abbiamo seguito la stessa logistica…

Maarten: Nel magazzino di largo Isarco c’erano quei bancali, quella tavola, quegli specchi disposti esattamente come ora tu li stai vedendo. Sarebbe stato d’altra parte troppo complicato portare tutta la gente dentro al deposito, quindi abbiamo deciso di portare quel contenuto in una sede adatta. Dunque non c’è stato nessun intento squisitamente formale studiato né tanto meno progettato:

così l’altezza dei blocchi di oggetti non dipendono da una nostra scelta creativa bensì – banalmente – dalle possibilità e facilità d’impilare le cose più o meno semplicemente, più o meno in alto.

Anche in questo caso si tratta di un fatto molto pratico…


Potremmo allora dire che nel vostro lavoro, oltre al materiale in quanto tale, si può vedere anche il lavoro fisico che c’è dietro allo spostare gli oggetti: nella quantità degli oggetti riposizionati in queste sale e dalla loro disposizione si può leggere la fatica dei magazzinieri…

Maarten: Questa è una giusta osservazione e ci dà modo di parlare delle persone che hanno lavorato con noi a questo progetto, perché poi sono le stesse persone che qualche mese fa hanno smontato le passerelle e le hanno stoccate nel deposito. In questi giorni ci hanno aiutato a fare il lavoro contrario, riportando tutto qui…

a cura di max mutarelli

da giovedì 14 a domenica 5 giugno

Fondazione Prada


via Fogazzaro 36, Milano


Orario Salone del mobile: da giovedì 14 a domenica 17 aprile, ore 10-20;


a seguire: da martedì a giovedì, ore 14-20; venerdì, sabato e domenica ore 10-20,
chiuso lunedì


Ingresso libero

www.fondazioneprada.org

2 Commenti

  1. Ma questi che finanziano questi progetti, vedi fondazioni o enti o altro, si rendono conto che stanno uccidendo l’arte?

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