22 febbraio 2012

STUDIO VISIT Il giardino segreto di Lupo Borgonovo

 
L’incontro con l’artista nel suo ambiente di lavoro. Un’esperienza che spesso è fonte di arricchimento anche per il curatore. Che in questo caso ci conduce per mano in un luogo attraversato da una sottile magia…

di

Il sorriso di Lupo Borgonovo è accogliente, non appena varcata la porta della sua casa-studio in via Venini, un quartiere multietnico di Milano, vivace e intenso nelle sue contraddizioni. Una volta entrati i rumori della strada si attutiscono per lasciare spazio ad un ambiente piccolo ma confortevole, suddiviso da leggere pareti di stoffa, simili a quelle di una dimora giapponese. Gesti gentili ma decisi, parole precise ma morbide, Lupo Borgonovo

mi introduce in un delicato mondo sospeso che ricorda un giardino zen, dove la natura si carica di energie intime e silenziose. Un tavolo accoglie le forme raccolte in luoghi insoliti, ognuno carico di storie e memorie personali: una conchiglia esotica, una foglia secca, semi di piante tropicali, sassi e pietre. Lupo le tocca con tenerezza, attento a cogliere ogni segnale proveniente dalle loro superfici, e mi chiede di condividere le sensazioni tattili, che accompagna con parole scelte con cura. In una libreria vicino al tavolo sono allineati alcuni libri: romanzi, saggi di storia dell’arte, poesie. «Amo i libri, ma li compro sempre di seconda mano, in alcune librerie che conosco o nei mercatini». Ha lavorato al bookshop dell’Hangar Bicocca, scambiamo qualche parola sulla nuova direttrice, Chiara Bertola, e sulle attività dello spazio. Mi racconta della sua esperienza a Brera, i rapporti con insegnanti come Laura Cherubini , che ama personalizzare con racconti appassionanti le esperienze con gli artisti, o Alberto Garutti, che raccomanda agli studenti del suo corso di mantenere sempre una distanza dall’opera. «Ho voluto eliminarla per entrare fisicamente dentro il lavoro, tentare di avere un rapporto tattile con l’opera basato sulla simpatia con i materiali, un concetto di cui parlava Luciano Fabro». Lupo si esprime con proprietà di linguaggio senza risultare affettato o saccente, arrotonda le parole con una leggera enfasi , quasi volesse trasformarle in oggetti , sferici e perfetti. «Cerco di toccare alcuni materiali in modo intimo e profondo, come il bronzo, che mi ha portato a contatto con una tradizione nobile e antica condotta dagli artigiani che lo lavorano». La sua vita, così come la sua ricerca, sembra dominata da un’attenzione non maniacale, ma necessaria. «Mi sono trovato in un mondo di tecniche di lavorazione molto particolari e ai loro processi, che si tramandano prevalentemente per via orale, che mi hanno portato a conoscere aspetti laterali e trasversali, utili per cercare di relazionarmi con un materiale solenne e monumentale ma in maniera emotiva e diretta, legata al mio corpo, in una scala intima e discreta».

Una discrezione che sembra il tratto caratteristico di Lupo, insieme ad una consapevolezza sorprendente, per la sua giovane età. Qualcosa che assomiglia ad una misura, alla ricerca di una precisione racchiusa nelle forme e nelle materie della natura, come gli aghi di pino che compongono “Alfabeto” (2011), l’incisione su carta giapponese appesa alla parete dello studio. Mi viene in mente la scrittura tagliente della scrittrice giapponese Ogawa Yoko e del suo “Anulare”, un libretto pubblicato da Adelphi che esplora in maniera esemplare il rapporto tra gli esseri umani e gli oggetti quotidiani, di cui a volte è difficile liberarsi. Ne parlo a Lupo, che mi ascolta con interesse: «Lo leggerò ma voglio trovarlo di seconda mano». Ha preparato il tè, che beviamo insieme come per consumare un rito di amicizia, e si costruisce così una consuetudine che si ripeterà in altre visite successive. Ammiro la capacità di utilizzare lo spazio ridotto della stanza per creare un ordine minuzioso ma accogliente, apparentemente casuale eppure strutturato, dove ogni cosa non occupa un posto ma il suo posto, come le parole nei versi di Emily Dickinson. O gli oggetti nelle tarsie degli studioli rinascimentali: astrolabi, mandolini, mazzocchi, compassi, teschi e spartiti musicali riuniti insieme come figure utili per creare l’ordine tra le arti voluto da Federico da Montefeltro. No, in realtà l’immagine perfetta è il mobile che ospita San Gerolamo nel dipinto di Antonello da Messina alla National Gallery. Una cella dove concentrare il pensiero, uno spazio dove la mente incontra la materia, la accarezza per esplorarne la complessità, scoprire le trame segrete e le regole fisiche che ne regolano la crescita. La addomestica senza violentarla, ma assecondandone l’andamento naturale che la porta a creare geometrie mentali. Ordo, pondus, numero et mensura, dicevano gli antichi. Abbiamo finito di sfogliare il suo book, ordinato come l’appartamento. Lupo sorride, mi accompagna alla porta, e mi ritrovo nel caos di Milano. Mi aggredisce la confusione, e intuisco di essermi abbeverato in un’oasi dove mi piacerebbe tornare.
 

studio visit è una rubrica curata da ludovico pratesi

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 77. Te l’eri perso? Abbonati! 

 

[exibart]

 

 

 

1 commento

  1. A costo di sembrare cinico di fronte a tanto amore, mi sembra interessante l’attrazione quasi maniacale che la generazione di Lupo Borgonuovo ha nei confronti dei mercatini dell’usato e di tutto ciò che è arcaico e materico: giovani mantenuti e sopraffatti da un paese per vecchi che sentono questa attrazione morbosa per una retorica arcaica. Di cosa vive Lupo Borgonuovo? Possiede quella casa? I suoi genitori la possiedono? O paga un affitto? Sono cose importanti quanto le pareti di stoffa “alla giapponese”.

    Sembra che la nonni genitori foundation paghi per il silenzio e l’arrendevolezza di questi giovani:” vi manteniamo ma state buoni a sorseggiare the, girare per i mercatini e riflettere sulla materia”. E dalle opere emerge chiaramente questa arrendevolezza fine a se stessa.

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