09 marzo 2010

talent hunter Diego Marcon

 
Alla formazione artistica ha affiancato quella filmica, studiando montaggio e partecipando a diversi film festival. Alla base della sua ricerca? L’indagine di singole individualità, mai in comunicazione tra loro, e il recupero della memoria personale e collettiva...

di

Che libri hai letto di recente?
Un caso di stupore isterico e
altri scritti
di
Jung, Le Lezioni alla Salpêtrière di Jean-Martin Charcot, alcune parti di Delitto,
Genio e Follia
,
una raccolta di testi di Lombroso e ho riletto dei racconti di Mary Robison.
Rileggo in continuazione le biografie sessuali raccolte da Richard Von
Krafft-Ebing.

Che musica ascolti?
Ne ascolto molta e diversa. In
questo periodo: l’omonimo degli Smiths, Master and everyone di Bonnie Prince Billy, Destination
Tokyo
delle Nissenenmondai, Miastenia degli Ovo, Untrue di Burial e Vena Cava di Diamanda Galas. Ci sono invece
delle canzoni che ascolto a ripetizione per giorni. In questi ultimi Daniel di Elton John e Jolene di Dolly Parton. La musica è una
componente fondamentale in molti miei lavori e ci sono artisti, canzoni e
generi che adoro moltissimo per via dell’immaginario che evocano. È il caso di
Lio, Patty Pravo, Righeira, dell’Eurodance anni ’90.

Città che consigli?
Purtroppo non ho viaggiato molto,
ne ho visitate poche. Ti scrivo da Parigi in cui sono in residenza con una
borsa della Dena Foundation for Contemporary Art. È una città meravigliosa.
Solbiate Olona quando c’è la festa della Pro Loco e Gallarate il sabato pomeriggio.
Diego Marcon - Senza titolo (3’) - 2009 - still da video
I luoghi che ti hanno
particolarmente affascinato?

Mi affascinano luoghi
impolveratissimi in cui spero di trovare il Tesoro, come il mercatino la Pulce
a Cocquio Trevisago. Viale Milano a Gallarate. Il Monumento ai caduti sul Lago
di Como con la meravigliosa incisione “Stanotte si dorme a Trieste o in
paradiso con gli eroi” o il Parc des Buttes Chaumont a Parigi.

Quali sono le mostre che hai
visitato che ti hanno colpito?

Nell’ultimo periodo, a Parigi la mostra di Apitchapong
Weerasethakul al Musée d’Art Modern e la personale di Samuel Richardot a La
Galerie. Tacita Dean a Palazzo Dugnani a Milano e Il Museo delle Cose a
Berlino.

Quali sono gli artisti del passato per i quali nutri
interesse?

Soprattutto
filmmaker: Carl Theodor Dreyer, Douglas Sirk e Rainer Werner Fassbinder, Marco
Ferreri, Leni Riefenstahl, Jon Jost, il primo John Waters e gli ultimi lavori
di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi.

E i giovani artisti a cui ti senti vicino?
Noëlle Pujol è
un’artista francese di cui amo particolarmente il lavoro e nel quale trovo
diversi punti in comune con la mia ricerca, come la maniera di lavorare con il
video e il reale, il suo lavorare su elementi semplici che riesce a
trasfigurare con uno sguardo fortemente personale. Mi piace molto il lavoro di
Francesca Grilli sull’autobiografico e sui piccoli immaginari collettivi, Moira
Ricci e quello di Anna Franceschini con la quale ho realizzato, assieme a
Federico Chiari, Pattini d’argento.
Diego Marcon - She Loves You - 2008 - still da video
Che formazione hai?

Dopo il liceo
artistico mi sono iscritto alla Scuola Civica di Cinema, Televisione e Nuovi
Media di Milano, una scuola tecnica dedicata alle pratiche dell’audiovisivo,
dove mi sono diplomato come montatore. Sentivo forti mancanze teoriche e così
ho deciso d’iscrivermi all’università, facoltà di Design e Arti dello IUAV di
Venezia.

Hai partecipato ad alcuni workshop, prevalentemente di
cinema. Quanto è stato importante nel tuo percorso incontrare personalità come
il regista e sceneggiatore Ulrich Seidl?

Di Ulrich Seidl
conoscevo ed apprezzavo il lavoro prima della rassegna che gli ha dedicato
Filmmaker. Questa è stata però un’opportunità per vedere tutta la sua
filmografia e per seguire il workshop. Il suo lavoro mi influenza molto e l’ho
trovato assai importante. Ho preso degli appunti sul cataloghino pubblicato in
occasione della rassegna, mi ricordo del suo vestito nero e delle poltroncine
del cinema Gnomo di Milano.

Quanto invece la preparazione accademica influenza il
percorso artistico individuale?

Lo influenza la
vita accademica. Ricordo che gran parte dell’interesse per pratiche
cinematografiche di frontiera o sperimentali l’ho sviluppato durante gli anni
della Scuola di Cinema, non tanto perché le insegnassero, ma per la sempre
maggior insofferenza che accumulavo sentendo parlare solo di pellicola 35mm,
dolly in sequenze di film di Sorrentino e discorsi vuoti sul cinema
indipendente italiano. Allo IUAV ho seguito interessantissime lezioni di
Agamben, Franco Rella e Susanna Mati.

Come descriveresti la tua ricerca?
Ti sto scrivendo
che è tardi, sono a letto col computer. Sento il rumore del frigorifero
arrivare da sotto. Dal lucernario arrivano dei suoni di macchine lontane, delle
volte un motore si fa più forte. Sono su un soppalco, il legno ogni tanto
scricchiola, questi suoni si uniscono a quelli di gocce che credo faccia
l’acqua del termosifone. Non vedo lo studio di sotto, ma posso immaginare le
penne e i post-it così come li ho lasciati, i cavi del computer che stanno pian
piano scivolando dal tavolo. C’è un’impercettibile tensione, una fortissima
energia statica in tutte queste piccole cose. Per me ogni traccia può essere
potenzialmente il punto di partenza per un lavoro.
Diego Marcon (con Federico Chiari e Anna Franceschini) - Pattini d'argento - 2007 - still da video
Sembri interessato al materiale d’archivio, sia che si
tratti di video che di pubblicazioni. Quali sono i mezzi per cui nutri
particolare interesse?

Sono affascinato
dagli archivi, ma non credo rientrino in maniera particolare nel mio lavoro.
Per esempio, per quanto riguarda SPOOL, il progetto con gli archivi video familiari,
l’interesse non è tanto verso l’archivio in sé. Quello che m’interessa è il
perché, a partire dagli anni ’80, il video sia diventato uno dei mezzi usati
maggiormente della famiglia per auto-rappresentarsi. Sono interessato alla
memoria, alle esistenze, alle piccole tracce che sono presenti negli elementi
archiviati. Sono interessato alla pulsione di morte e oblio che ogni archivio
porta con sé, alla tendenza archivistica che ha l’individuo, alla necessità che
possiede di lasciare memoria e traccia di sé e al suo inevitabile fallimento.
Ho lavorato prevalentemente con il video, un mezzo che impone tecnica, rigore e
tempo e che rimane ancora il medium che prediligo, ma ultimamente mi sto
aprendo ad altri mezzi.

Le tue opere sono
state incluse in alcuni festival di cinema. Come riesci a conciliare l’ambito
cinematografico con quello dell’arte visiva, delle gallerie e dei
collezionisti?

Credo per il
fatto di non considerarli ambiti poi così diversi tra loro, a parte l’ultimo
forse.

C’è una tua opera
a cui ti senti legato?

A nessuna in
particolare, o a tutte in eguale misura. Anche se diversi miei lavori partono
da esperienze autobiografiche, lo sforzo maggiore è proprio quello di creare
distacco, di rendere il lavoro sull’esperienza personale in qualche modo
comune, condivisibile.
Diego Marcon - A family portrait - 2009 - still da video
Nel 2008 hai fondato la fanzine DUMB
, nata “come valvola di
sfogo creativo
”.
Che responsabilità ha oggi un artista?

Non ha nulla di
responsabile, anzi, è totalmente irresponsabile! Io credo che a questo punto
l’artista abbia la responsabilità di concentrarsi sull’uomo, spogliarlo di
tutto. In quest’analisi sull’individuo non può che rientrare, inevitabilmente,
una continua riflessione sui suoi dispositivi di auto-rappresentazione e
autoaffermazione, come l’immagine e la famiglia.

Capitolo residenza
a Parigi. Come è andata? Pensi di rimanere in Italia nei prossimi anni?

È un’esperienza
molto positiva, un momento di grande formazione e una grande possibilità di
dedicarsi appieno alla propria ricerca, di creare contatti ma soprattutto
amicizie. È necessario e bello che ci siano delle istituzioni che ritengano
importante il tuo lavoro, che ci credano e che ti diano la possibilità di
continuare la tua ricerca fornendoti tutti gli elementi necessari affinché tu
possa proseguirla. Più che pensare di rimanere in Italia ora penso a laurearmi,
credo di rimanere quindi un po’ a Venezia.


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*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 62. Te l’eri
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