28 aprile 2012

TALENT ZOOM Davide Balliano

 
Torinese, classe 1983, studi di fotografia al cfp Bauer di Milano. Ha deciso di vivere New York perché, afferma, confrontarsi con un luogo diverso da quello d’origine è essenziale per un artista. Specie quando è ancora in fase di formazione…

di

Quale domanda vorresti ti fosse fatta per prima?
«Quali pensi che siano i problemi essenziali con cui l’Arte si è sempre confrontata e la cui analisi possa riempire una vita di ricerca?».
Quando ti sei avvicinato al mondo dell’arte?
«Sono cresciuto vicino al Castello di Rivoli e penso di aver visto la maggior parte delle loro mostre, dagli anni Novanta fino a che ho abitato in Italia».
Perché hai deciso di vivere all’estero? 
«Penso che confrontarsi con un luogo diverso da quello d’origine sia essenziale per un artista, specialmente quando è ancora in una fase formativa. Quando una persona è in grado di adeguarsi a diverse culture ed esprimersi in diverse lingue sa automaticamente che ore sono in tre diversi continenti e ha amici sparsi in tutto il mondo. Di questa persona, i Sauditi dicono con riverenza come sia well travelled, un complimento che mi è sempre piaciuto molto perché trovo che descriva bene la vita di molte delle persone a cui guardo come punto di riferimento e che, di conseguenza, imito».
Qual è l’opera che ha segnato la tua formazione?
«Il primo lavoro che ricordo di aver guardato, capendone istintivamente l’importanza, è stata l’Asta Dorata di Gino De Dominicis, installata al Castello di Rivoli: alta almeno una decina di metri, arrivando a sfiorare il soffitto; arrivai all’ultimo pianerottolo per osservarne la punta acuminata.  Ricordo ancora come  quell’asta mi sembrasse piantata negli abissi, come la sentissi infinitamente alta e come solo l’idea delle sue dimensioni mi desse delle vertigini tali da dovermi aggrappare al parapetto».
Qual è il museo italiano e l’istituzione straniera che apprezzi maggiormente?
«In Italia, forse anche per il ricordo che mi lega a esso, il Castello di Rivoli rimane il mio museo preferito. Ma la Dia Art Foundation di Beacon é è l’istituzione che più mi ha colpito: i suoi spazi sobriamente titanici non mancano mai di darmi un’enorme serenità; tanto che addentrarsi in una scultura di Serra, o perdersi a guardare i punti cardinali di Heizer, diventa un’esperienza quasi spirituale».
Pensi di aver già raggiunto una maturità artistica o credi di essere ancora suscettibile a cambiamenti?
«Penso di non essere neanche vicino alla maturità, ma sono soddisfatto di come la mia ricerca si sta stabilizzando e definendo».
Allora prova a definire la tua ricerca.
«Mi sembra che i punti fermi del mio lavoro siano un certo rigore formale combinato a una lirica decadente e sobriamente romantica. Mi affascina la geometria come strumento di traduzione, mentre il Tempo e i suoi derivati rimangono il centro della maggior parte delle mie opere».
Definisci anche il tuo modus operandi.
«Lavoro in studio dalle otto alle dieci ore al giorno, prevalentemente su carta e su tela. Le sculture vengono disegnate al computer e poi realizzate a mano, di solito sul luogo della mostra. I lavori “dal vivo” richiedono più preparazione logistica e di ricerca ma, generalmente, sono poi estremamente asciutti nella fase pratica».
La mostra che più ti rappresenta.
«Penso che la personale Giving my back to the night I heard you Lying to a Giant  alla Location One di New York, nel 2011, sia stata la più rappresentativa della mia ricerca. La mostra ruotava attorno alla prima fase del sonno, traendo ispirazione dall’episodio dell’Odissea in cui Ulisse e i suoi compagni fuggono dalla grotta di Polifemo dopo averlo accecato. La privazione della vista, come passo necessario per proseguire, è un po’ quello che facciamo tutti noi ogni sera: cedere cioè il controllo del proprio corpo e dell’ambiente circostante è il prezzo da pagare per poter ritemprare le energie e continuare il nostro percorso».
Parlami del tuo recente progetto “Sono Legione”.
«Si tratta di un progetto performativo realizzato in collaborazione con Stefano Manzi e Danilo Battocchio, due eccezionali musicisti torinesi. Il sottotitolo (Concerto per coltello, chitarra e tempesta) ne descrive gli elementi strutturali. Sul fondale sonoro di un temporale, tre figure siedono in uno spazio buio; la figura centrale scandisce il tempo affilando un coltello su una pietra, mentre i musicisti lo accompagnano con il suono dirompente di chitarre distorte. Il titolo, che riflette sulla moltitudine di soggetti contrastanti e antagonisti che abitano l’animo di ognuno di noi, è ispirato al passo dei vangeli in cui il Cristo esorcizza un uomo creduto indemoniato. Interrogato sulla sua identità, il demone risponde “Il mio nome è Legione, perché siamo molti”». 
Programmi futuri.
«Sarò a Berlino per installare la mia mostra alla Galleria Delloro, poi in autunno avrò un’altra personale nei loro spazi capitolini. Prima ho curato la scenografia e i costumi per la reinterpretazione di Einstein on the Beach, uno spettacolo teatrale – diretto da Bob Wilson, con coreografie di Jonah Bokaer – che ha debuttato al Baryshnikov Arts Center di New York nei primi giorni di Aprile». 
Rispondi alla domanda che ti sei posto all’inizio.
«Forma e Soggetto».
talent zoom è una rubrica curata da alberto zanchetta

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 78. Te l’eri perso? Abbonati!

 

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