23 giugno 2012

Grandissimo Gerhard

 
«Il mio mestiere è la pittura, in ogni caso non so fare nient'altro». Così, a 80 anni appena compiuti, Gerhard Richter dà il via alla retrospettiva parigina che conta 300 opere dislocate in un itinerario che si rivela un viaggio caleidoscopico nella sua arte. E poi ci sono i disegni e gli acquarelli al Louvre e un film appena uscito. Insomma, lui, è sempre il più grande. Peccato che dopo Londra, Berlino e Parigi non arrivi in Italia

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Artista eclettico, prolifico, affascinante Gerhard Richter (1932, Dresda, vive e lavora a Colonia) fa il pieno a Parigi con una memorabile retrospettiva al Centre Pompidou (fino al 23 settembre) ma anche con “Disegni e Acquerelli, 1957-2008”, presenti fino al 17 settembre al Louvre, mentre nelle sale francesi è appena uscito Gerhard Richter Painting di Corinna Belz (2010) che filma il pittore tedesco nel suo studio, durante la primavera e l’estate 2009, mentre lavora ad una serie di grandi dipinti astratti. “Panorama”, titolo di questa retrospettiva itinerante, curata da Camille Morineau in stretta collaborazione con l’artista, ha visto la luce alla Tate Modern di Londra, poi alla Neue Nationalgalerie di Berlino, ma di volta in volta si è diversificata mettendo in primo piano i lati meno conosciuti dell’artista. 

Parigi, ispirandosi al titolo e confrontando figurativo e astratto ha voluto sottolineare l’effetto di breve e condensata temporalità dell’opera di Richter, dividendola in sei momenti culminanti, che abbracciano ognuno una decina d’anni, questa si dispiega in dieci sale in modo cronotematico. Il percorso ha il suo fulcro nella sala 6, che come una sorta di promontorio a forma triangolare, presenta opere monocrome, pannelli di vetro e specchi che si riallacciano alla mostra monografica del 1977, anno in cui il Centre Pompidou inaugurava l’apertura con una retrospettiva di Marcel Duchamp, e dove Richter esponeva sculture in vetro, le note monocromie grigie e 48 ritratti presentati cinque anni prima alla Biennale di Venezia. 

Questa sala, tra riflessi e specchi, punta sull’idea di duplicazione restituendo al visitatore una visione mutevole delle opere e della loro collocazione nello spazio. L’esposizione parte dagli anni Sessanta con la fotopittura, leitmotiv nell’opera dell’artista tedesco, dove compaiono dipinti ispirati a foto personali, album di famiglia ma anche molta stampa, perlopiù creati grazie all’uso dell’episcopio, e che devono quel meraviglioso effetto sfumato ad una spazzola strofinata sulla pittura ancora umida, restituendo all’insieme un’omogeneità patinata. Dipinti che esibiscono l’ampiezza di un allestimento calibrato in cui i soggetti vengono calati in uno spazio rarefatto. Incantevole esempio Ema [Nudo che scende le scale] (1966), clin d’œil a Nu descendant un escalier di Marcel Duchamp. 

Contrariamente alla morte della pittura denunciata dall’artista francese, Richter si considera come l’erede di una cultura pittorica che indica come fertile e straordinaria e a cui dobbiamo molto. L’attenzione al classico si manifesta, tra l’altro con la serie di cinque dipinti ispirati ad una cartolina raffigurante L’Annunciazione di Tiziano (1557), ma anche a Jan Vermeer con Donna che legge una lettera davanti alla finestra (1657) in cui la moglie dell’artista, adottando la stessa posa, diventa la protagonista di Lettrice [Lesende] (1994). 
La fotopittura presenta due ritratti della figlia con Betty allungata (1977) che ricorda un viso del Caravaggio, e la più popolare, oltre che locandina della mostra, Betty spalle allo spettatore (1988), dove la postura della ragazza rimanda al pittore romantico Caspar David Friedrich. Presente anche la serie degli anni Novanta della moglie Sabine con bambino, i cui i disegni sono esposti al Louvre, mentre una chicca tutta parigina è il ritratto di Brigid Polk del 1971. 

Ricercatore attento al valore delle immagini nella società, Richter sviluppa in modo spettacolare la pittura storica attraverso quindici dipinti che evocano eventi della RAF (Rote Armee Fraktion), nello spazio intitolato 18 ottobre 1977, data che evoca la morte in prigione di Stammheim, uno dei leader del gruppo terroristico Baader-Meinhof. Esploratore e guida negli anni Settanta, il linguaggio di Richter si evolve verso l’Astrattismo, senza mai rompere con il figurativo, continua ad indagare, servendosi di tecniche, formati e strumenti svariati (tra cui spatole, pennelli, spazzole) per restituire una realtà approfondita e rivisitata da un’emozione. 
L’artista tesse un rapporto straordinario con le sue opere, in eterno dialogo con esse. Anche dopo lunghe pause le corregge, le modifica, regala loro umanità, dubbi e energia, come in un gesto quasi filantropico e proprio di un artista, come dichiara l’artista, a cui piace l’infinito e l’insicurezza permanente, al di là di qualsiasi sistema, tendenza, programma o stile. 

Sono di questo periodo anche le tabelle di colori, dipinti ispirati ai campioni cromatici presenti nei negozi che, al di là di significati, presentano uniformi rettangoli disposti regolarmente e in modo aleatorio come per 1024 colori [1024 Farben] (1973), mentre colorate e allineate orizzontalmente sono le dinamiche linee di Strip (2011), stampa digitale su carta. Artista meravigliosamente incontentabile, negli anni Ottanta la sua pittura diventa lirica e il gesto forte, robusti strati di colori si affrontano ed esplodono su grandi tele dando vita a contrasti vivaci e a tratti parlanti come in Giallo-Verde [Gelbgrün] (1982), ma anche Glenn (1983), consacrato al compositore contemporaneo americano Glenn Branca. Ma è negli anni Novanta che la tecnica nei quadri astratti si conferma grazie all’uso di grandi spatole in legno e in metallo con le quali stende abbondanti quantità di colore ancora fresco, dai toni mai esotici ma classici come il bianco avorio, il rosso cadmio o il giallo limone. Setacciato per essere il più possibile omogeneo, il colore viene applicato a piani sovrapposti, che rimaneggiati, finanche raschiati, creano una stratificazione ininterrotta e quasi ossessiva, in cui il gesto, a volte casuale dell’artista, ne rafforza l’impatto. 

L’Astrattismo, che lo porterà a comporre la magnifica serie Cage, ispirata a John Cage, qui presente con sei opere che vanno dal 2006 al 2007, è parte di un processo di creazione lungo e laborioso, di costruzione e decostruzione dove si nasconde uno sforzo fisico notevole, specie se si pensa che l’artista lavora al contempo su diverse tele. 
La centralità del soggetto, l’equilibrio che traspare nei quadri figurativi vengono sconvolti in quelli astratti, ma in entrambi l’enorme lavoro gestuale crea grandi prospettive che ne amplificano la percezione non solo visuale ma concettuale. L’enorme lavoro di stratificazione e di casualità apparente dei tratti pittorici sono comparabili alla musica di John Cage, che Richter ritiene essere mirabilmente intelligente, sensibile e costruita con cura. Non potevano mancare i paesaggi che vanno dalla natura idealizzata della cittadina francese di Chinon (1987), in cui un cielo bianco condivide per metà la tela con una morbida discesa collinare, alla serie Nuvole (1968) e al Paesaggio urbano-Parigi  [Stadtbild Paris] (1968). Una mostra interessante che però non ci renderà mai tutta la varietà del lavoro di uno dei più grandi artisti dei nostri tempi.

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