-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Morto a 89 anni Franco Vaccari, maestro della fotografia in tempo reale
Personaggi
di redazione
È morto a Modena, all’età di 89 anni, Franco Vaccari, fotografo e artista visivo che, già dagli anni Sessanta, ha spinto la fotografia al di là del confine della rappresentazione per farne un dispositivo di relazione. La notizia della scomparsa è stata accompagnata dal cordoglio delle istituzioni modenesi, città dove era nato, il 18 giugno 1936, e alla quale era rimasto profondamente legato. Il sindaco Massimo Mezzetti lo ha ricordato come «Un artista di spessore internazionale, tra i più grandi del contemporaneo», sottolineandone la scelta di vivere e lavorare a Modena e il ruolo nel dibattito culturale cittadino.
«Oggi ricordiamo l’improvvisa scomparsa di Franco Vaccari, artista visivo modenese, pensatore, fisco, che dagli anni 60/70 ha portato avanti la democratizzazione del gesto artistico, dimostrando l’importanza del pensiero. Esponente di spicco della fotografia concettuale, partendo dal ready-made ne attenua la freddezza, rendendo attivi nella realizzazione dell’opera proprio gli spettatori», ricordano dalla FIAF – Federazione italiana associazioni fotografiche.
«Un artista che sin dagli anni Sessanta ha offerto un importante contributo alla riflessione sul linguaggio fotografico, un innovatore che con le sue partecipazioni alla Biennale di Venezia e con le sue tante mostre di rilievo internazionale ha offerto una sguardo di Modena sul mondo, mantenendo sempre solide radici nella sua città», nelle parole di Donatella Pieri, Presidente di Fondazione Ago Modena Fabbriche culturali.
«In oltre sessant’anni di attività, ha costantemente affinato il suo pensiero teorico, pubblicando saggi di fondamentale importanza sulla fotografia», scrivono dalla galleria P420, ricordando le sue presenze alla Biennale, nel 1972, 1980 e 1993. «P420 esprime le sue più sentite condoglianze alla famiglia, agli amici e ai collaboratori di Franco Vaccari. Ci uniamo al lutto di tutti coloro che lo hanno amato e, con gratitudine e affetto, ricordiamo un artista il cui spirito critico e visionario ha definito un’intera epoca».
Se un momento-soglia della sua vicenda resta impresso nella memoria collettiva, è la sala personale alla Biennale di Venezia del 1972: Esposizione in tempo reale n. 4: Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio. Una cabina Photomatic innescata dall’artista e poi lasciata al mondo, un invito in più lingue e l’opera che si costruisce attraverso il pubblico. Più che una performance, un processo a feedback, dove l’ambiente diventa spazio della relazione e l’autore una figura che attiva condizioni, senza pretendere di controllarne gli esiti.

In parallelo all’attività visiva, Vaccari è stato anche teorico: Fotografia e inconscio tecnologico resta un testo-cardine per capire come i dispositivi non siano neutri ma producano immaginari, automatismi, desideri e forme di potere. È un asse che oggi torna con forza, quando la discussione su algoritmi e intelligenza artificiale ripropone – su altri piani e con altre scale – la stessa domanda: cosa fa la tecnologia alla nostra percezione, prima ancora che alle nostre immagini?
La traiettoria di Vaccari, del resto, ha sempre tenuto insieme arte e scienza: una formazione scientifica, la poesia visiva delle origini, i libri d’artista, gli ambienti, le esposizioni concepite come eventi che si auto-documentano e si restituiscono anche in forma editoriale. È una postura che spiega perché la parola “fotografo” gli sia sempre stata stretta: la fotografia, per lui, non è una prova del reale, ma un frammento d’esperienza, una traccia di accadimento.
«L’uso del corpo come sorgente autonoma di messaggi e di immagini deve essere visto anche come l’esito estremo di quell’impiego in chiave impersonale dei mezzi tecnologici che è stato una delle costanti del mio lavoro», ci raccontava in una intervista. «Il corpo si fa così strumento fra strumenti, Il corpo che sogna rappresenta un momento di eclissi del soggetto dove si dissolvono tutti i diaframmi che costituiscono la sua corazza protettiva. Già con la partecipazione alla Biennale del 1972 avevo rinunciato alle tradizionali prerogative dell’artista riservandomi il ruolo di attivatore di processi. Ma quando nelle esposizioni in tempo reale fa la sua comparsa il sogno il mio ruolo di “controllore a distanza” si dissolve a sua volta e il sogno diventa lo strumento principe per l’incontro con “l’inaspettato” e, contemporaneamente, con la sua “realtà”. Quello che più mi interessa è il carattere di “necessità” che possiedono le immagini dei sogni. Lo so che la categoria della necessità è difficile da utilizzare, ma tutti sappiamo cosa vuol dire essere assediati dall’arbitrario, dal pattume informazionale, dalla dimensione obesa raggiunta dagli pseudo eventi».
Nel 2026, Museion di Bolzano gli dedicherà un’importante mostra personale, intitolata Feedback. Gli ambienti di Franco Vaccari, la prima in Italia a concentrarsi sui suoi ambienti immersivi, a cura di Frida Carazzato e Luca Panaro.














