15 novembre 2021

Un’autenticità necessaria e poetica, in ricordo di Pier Luigi Tazzi

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La dolcezza e l’intensità intellettuale di Pier Luigi Tazzi: un ricordo del critico d’arte e curatore dallo sguardo acuto e malinconico, recentemente scomparso

Dolcezza. Questa è la parola che mi viene in mente quando ricordo Pier Luigi Tazzi, il curatore che si schierava sempre dalla parte degli artisti, condividendo con loro una visione del mondo aperta e sensibile, fuori dagli schemi troppo restrittivi della società. Lo vidi per la prima volta nei primi anni Novanta, a una conferenza all’American Academy dove era stato invitato in qualità di curatore della Documenta. Mentre parlava intuii subito la sua particolare profondità, scaturita da un costante desiderio di vivere a stretto contatto con gli artisti, senza schermi, filtri o barriere.

Del resto, lui stesso ha vissuto buona parte della sua esistenza con il suo compagno, il ceramista Roberto Cerbai, che lavorava in uno splendido atelier immerso nel verde nel minuscolo borgo toscano di Capalle, dove abitava insieme a Pier Luigi in una casa colonica. Scomparso diversi anni fa, dopo la sua morte Tazzi aveva deciso di lasciarlo intatto, con gli scaffali ancora occupati dalle opere in ceramica realizzate da artisti come Giovanni Ozzola, Remo Salvadori, Daniela De Lorenzo, Massimo Bartolini, Liliana Moro e tanti altri.

Quel luogo parlava di una vita vissuta all’insegna di una autenticità necessaria e poetica, di una condizione appartata ma di grande intensità intellettuale ed esistenziale, che faceva parte del mondo appartato ma intenso di Pier Luigi, che da quel borgo traeva forma ed essenza, oltre ad un luminoso ed antico splendore. Da allora nelle nostre occasioni di incontro mi attardavo a parlare con lui, scambiavo qualcosa di più delle banali frasi di circostanza, e nel tempo imparai a entrare in sintonia con il suo sguardo sulle cose dell’arte, mai ovvio ma sempre acuto ed originale.

L’ultima volta che ho visto Pier Luigi era seduto su un muretto del giardino di palazzo Fabroni, in occasione della mostra di Giovanni Termini all’inizio di ottobre: era solo, sembrava assorto in qualche pensiero lontano ma sereno. Scambiammo quattro parole, gli dissi che avrei voluto incontrarlo nelle settimane successive, e lui annuì e sorrise, come al solito. Non immaginavo che non avrei più incrociato il suo sguardo distaccato e lievemente malinconico, che sembrava appartenere a qualcuno che fosse riuscito a staccarsi del tutto dal rumore del mondo. Ciao Pier Luigi, sei stato un grande uomo.

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