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Un 2019 da ricordare per Namsal Siedlecki che, dopo aver vinto il Club Gamec Prize, si aggiudica la ventesima edizione del Premio Cairo, con l’opera Teste (Trevis Maponos). «La memoria di miti antichi si fonde plasticamente con i riti di consumo contemporanei, facendo della scultura un rinnovato processo alchemico», si legge nelle motivazioni della giuria, presieduta da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e composta da Mariolina Bassetti, Presidente Christie’s Italia, Gabriella Belli, direttore del Muve di Venezia, Luca Massimo Barbero, direttore di Fondazione Cini, Andrea Viliani, direttore del Madre di Napoli, Gianfranco Maraniello, direttore del Mart di Rovereto e da Emilio Isgrò. Siedlecki si aggiudica un grant da 25mila euro e la copertina del prossimo numero di Arte, il mensile pubblicato da Cairo.
«Vent’anni di premio, se io penso a quando facemmo la prima edizione il 27 ottobre del 2000 non avevamo il Torino, La7, Rcs eravamo all’inizio ma c’era la voglia di fare qualcosa per l’arte e i giovani artisti. E questo credo che abbia portato fortuna agli artisti e anche a noi», ha spiegato Urbano Cairo, presidente di Cairo Communication di RCS Media Group.
Gli altri finalisti erano Bea Bonafini, Guglielmo Castelli, Nataliya Chernakova, Emma Ciceri, Oscar I. Contreras Rojas, Giulia Dall’Olio, Nebojša Despotovic, Irene Fenara, Gao Lan, Teresa Giannico, Délio Jasse, Kensuke Koike, Edson Luli, Andrea Martinucci, Ruben Montini, Maki Ochoa, Greta Pllana, Alessandro Scarabello e Alessandro Teoldi.
Chi è Namsal Siedlecki
Namsal Siedlecki è nato a Greenfield, negli Stati Uniti, nel 1986 e, attualmente, vive e lavora a Seggiano. Ha conseguito il diploma di laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara e ha esposto in diverse sedi, in Italia e all’estero, alla Galleria FuoriCampo di Siena, al Museo Apparente di Napoli, all’American Academy a Roma, al Centro Pecci di Prato, alla Fondazione Sandretto Re Rebauudengo di Torino, alla Galeria Boavista e da Madragoa, a Lisbona.
«L’opera nasce da due desideri di epoche diverse. È, anzitutto, l’elaborazione di un oggetto rituale scolpito in legno di faggio e gettato in una fossa nel 50 a.C., che fu ritrovato negli anni Sessanta ed è custodito nel museo di Clermont-Ferrand. Questa elaborazione avviene usando il rame derivato dalla fusione di parte di quell’8% di monetine gettate nella Fontana di Trevi che vengono ripescate ma non possono essere cambiate e che io ho acquistato in piccolo numero, nel 2000. Due desideri, di due epoche diverse, entrambi gettati in acqua, rinascono in questa mia opera», ha spiegato Siedelcki.