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A Milano la prima edizione del festival dedicato alla cultura black e afrodiscendente
Progetti e iniziative
A Milano, dal 9 al 12 ottobre 2025, si svolge la prima edizione di Costellazioni, festival ideato dall’associazione Black History Months Milano (BHMM). La tre giorni, con una preview presso Spazio Bidet, masterclass, conversazioni, performance in Triennale e una mattinata condivisa presso la Chiesetta di Parco Trotter, nel nord di Milano, è sostenuta da Fondazione Cariplo, Mosobna Ristorante, Leila Srl, Enoteca La Botte e Studio T12 Architettura. BHMM è un’associazione no profit fondata dall’artista Jermay Michael Gabriel e dalla dottoressa Ronke Oluwadare, con le collaborazioni di Délio Jasse, Elaine Adorno, Maxwell Shololo, Jim C. Nedd, Loredane Tshilombo, David Blank, Asha Salim e Mistura Allison. Il festival celebra le culture afro, afro-discendenti, nere e africane come un arcipelago: non meteore isolate ma stelle in sinergia, capaci di generare memoria, immaginazione ed energia trasformativa. «Il festival è un atto di decifrazione e riscrittura poetica e politica», racconta il team. «Tra le orbite delle arti visive, della musica, del teatro, della letteratura e del pensiero critico, l’intenzione è tracciare nuove mappe culturali e proporre nuove geometrie relazionali, in una rete virtuosa di narrazioni plurali».

Dal 2016, l’associazione si dedica allo studio, alla ricerca, alla promozione e alla produzione delle culture afro, afro-discendenti, nere e africane. Attraverso conferenze, residenze, laboratori e festival, BHMM intende creare un ambiente in cui la Blackness sia riconosciuta e celebrata come forza creativa e culturale fondamentale, e non solo come identità o etichetta. Dalle conversazioni con artisti e artiste che intrecciano memoria, identità e futuro, fino alle performance e ai suoni che trasformano gli spazi della città, questa prima edizione del festival è un invito ad abitare Milano come un luogo di scambio, relazione e immaginazione.

Importante l’uso della parola associazione, come ci racconta Jermay Michael Gabriel: «Non c’è nessuna altra a.p.s che ha come tema di ricerca la produzione artista e culturale di africani, neri, afrodiscendenti e afro. La nerezza, quindi, nelle sue mille sfaccettature e nuance. Il punto è che il mondo e le istituzioni, il mondo bianco-europeo, pensa che la nerezza sia come un monolite. Noi non siamo neri, siamo africani, siamo afrodiscendenti, siamo afro. Siamo nuance, sfumature, siamo diversi modi di essere e sentirsi».
Come scrive Édouard Glissant in Poetica della relazione (Poétique de la Relation, 1990), «Il pensiero dell’arcipelago si oppone al pensiero di sistema, al pensiero di radice unica e totalitaria. L’arcipelago è relazione». La metafora dell’arcipelago, e dunque di una costellazione di identità e origini, titola in festival: «Glissant ci invita a pensare il mondo come un insieme di isole in relazione, non come un unico continente che impone il proprio modello. Il suo testo è fondamentale per il pensiero postcoloniale, per proporre una visione del mondo basata non sull’uniformità e sull’identità chiusa, ma sulla relazione e sul pluralismo», spiega Jermay Michael Gabriel. Contro l’identità radicata, ossia prefissata, Costellazioni si costruisce nel contatto con l’altro, nel pluralismo e nell’ibridazione: «Accettare che l’altro possa non essere compreso. E questo è il diritto all’opacità».

Per la città, Costellazioni rappresenta un’occasione di restituzione e riconoscimento: non un inserimento forzato di nuove narrazioni, ma l’affermazione piena di appartenenze già radicate nel tessuto urbano. Gli eventi, tutti a ingresso gratuito, permetteranno a cittadini e cittadine di incontrare artisti, intellettuali e attivisti provenienti dall’Italia, dall’Europa e dal continente africano, in un dialogo aperto e intergenerazionale.
L’associazione conta molte figure e professionalità di diversi campi, dalla ricerca alla musica alla psicoterapia al teatro, «dodici menti unite, che funzionano reciprocamente come stimolo non solo culturale», sempre con parole di Jermay. «BHMM lavora per aumentare la consapevolezza e la comprensione dei contributi e delle esperienze delle persone di origine africana, afro-discendente, nera e africana e per creare una società più inclusiva ed equa per tutti». Attraverso le sue attività educative, promozionali e di ricerca, BHMM svolge un ruolo cruciale nella promozione e nella salvaguardia del patrimonio culturale della diaspora africana a Milano e oltre. La BHMM Research Residency offre agli artisti emergenti della diaspora africana un ambiente nutriente a Milano per sviluppare le loro pratiche creative. Promuove la comunità, il dialogo e la collaborazione con le istituzioni culturali locali, migliorando la visibilità e l’apprezzamento dell’arte e della cultura afro-discendenti. Questa iniziativa promuove la diversità e lo scambio interculturale, contribuendo a un panorama artistico più inclusivo.

Costellazioni: il festival, i luoghi e i protagonisti invitati
La quattro giorni di eventi, mostre e talk negli spazi di Triennale densa di invitati e momenti di condivisione teorica e artistica, è stata anticipata da un evento inaugurale giovedì 9 presso Spazio Bidet, all’interno di Enoteca La Botte, che sostiene il progetto di BHMM da diversi anni, con la restituzione del lavoro dell’artista italo-marocchino Mohammed El Hajoui. Ad aprire il festival in Triennale, venerdì 10, è stata la masterclass e cena conviviale di Leo Asemota, il cui lavoro artistico combina astrazione e commento sociale di matrice espressionista.
Sabato 11, sempre in Triennale, si sono susseguiti per tutta la giornata incontri di formazione, teatro e arte. Chi ha il potere di narrare? Quali storie vengono raccontate e quali vengono lasciate fuori? La conversazione di apertura, con l’attore e doppiatore Alberto Malanchino, il critico cinematografico Lapo Gresleri e Veronica Costanza Ward, ha affrontato le politiche della narrazione culturale nel teatro italiano, concentrandosi su come gli artisti neri siano spesso intrappolati tra cancellazione ed essenzializzazione.

A seguire, la performance Protect Your Light Dell’artista Justin Randolph Thompson, co-fondatore e direttore di Black History Month Florence nel 2016, e il ballerino Ernes Amores Guerra, una coreografia che intreccia memorie afrodiasporiche e gesti quotidiani di cura, protezione e comunità. Alle 18 gli ospiti Simon Njami, curatore e scrittore noto per i suoi studi intorno al posizionamento globale dell’arte africana, e Adama Saneh, co-fondatore e CEO della Moleskine Foundation, affronteranno la conversazione Unvisibility and Hypervisibility: black artists in Europe. Il talk riflette criticamente sulle politiche di rappresentazione in Europa, esaminando le contraddizioni di ipervisibilità e invisibilità e le tensioni socio-politiche, istituzionali e artistiche che le sostengono. “Il panorama culturale europeo ha a lungo emarginato gli artisti neri, tranne quando li ha posizionati come simboli della sua presunta benevolenza e inclusività: gli artisti vengono celebrati non come individui, ma come rappresentanti di un’identità di “artista nero” costruita, spesso plasmata senza il loro contributo”, scrivono gli ospiti.
In serata, la proiezione del docufilm Rising up at Night Tongo Saa del regista e artista visivo congolese Nelson Makengo, ritratto intenso e sfaccettato dei diciassette milioni di abitanti di Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, presentato in conversazione con Josephine Denis. A chiudere la giornata, il dj set The Bridge a cura di David Blank, ricercatore e musicista, impegnato socialmente nel declinare in musica tematiche socio-culturali e rappresentante dei movimenti Black Lives Matter e LGBTQIA+, con una line-up di dj Chima.
Domenica il festival si sposta alla Chiesetta Parco Trotter, in via Mosso, con la performance ORI – A Ritual Cartography of Blonging con Collective Relax, duo performativo fondato da Ivna LaMart ed Elaine Adorno, artiste afro-indigine-brasiliane-europee. ORI è un progetto performativo ispirato alla cosmologia Yoruba, filosofia da cui il duo riattiva una tecnologia ancestrale di autonomia e di ricordo, radicata nella linea radicale di pensatori come Abdias do Nascimento, Gloria Anzaldúa e Tricia Hersey. Il progetto si configura come una cartografia rituale: una mappatura tracciata attraverso lentezza, quiete e movimento nel territorio, nel tempo e nell’identità.
In un mondo che alimenta il razzismo anti-nero e impone il ritmo frenetico del capitalismo, esiste qualcosa di più trasformativo che vedere persone nere riposare in un ambiente accogliente? A chiudere il progetto l’esperienza Revolutionary Dream Scape, con Sarah Diedro Jordão e Chima Isaaro. L’esperienza, concepita con cura dalla comunità per rivendicare il diritto al riposo, è uno spazio nomade che fonde suono, rituale e comunità, dedicato alla guarigione e alla rigenerazione delle persone nere.

Black History Month Milano: la nerezza nelle sue mille sfaccettature e nuance
«È importante sottolineare che l’intero progetto, per come è concepito, è intrinsecamente collettivo», spiega Jermay Michael Gabriel. Come racconta il team, siamo troppo abituati a essere legati al ‘progetto’, al ‘è curato da’ ‘è stato fondato da’. Il collettivo è fatto da legami e intenzioni comuni, fusi in una unica unità, che annulla il senso della competizione e delle singolarità. Lavorando davvero insieme, si alza la qualità di quello che si va a produrre o concepire e dei concetti che si vogliono sottolineare.
«È interessante il concetto di costellazione, no? Perché le costellazioni sono sempre esistite, nelle volte celeste, ma la loro visibilità è una questione di prospettiva, di riconoscimento, di saper leggere i segni. Con BHMM riprendiamo questo concetto, legato alla costellazione e all’arcipelago di Glissant, è un atto di decifrazione, di riscrittura costante di nuovi sistemi, nuove geometrie culturali, le narrazioni afrodescendenti, africane, nere, che sono spesso percepite come meteore isolate, presenza effimera e destinata a dissolversi prima ancora e lasciare un segno. Ma le stelle non sono corpi celesti fugaci, brillano e continuano a brillare dopo il loro collasso. A me questo concetto quasi poetico piace molto: in Italia non c’è stato (quasi) niente che ha lasciato il segno. Milano, per esempio, città di palcoscenico e non città di permanenza. C’è l’evento, e come finisce, è successo il nulla».
L’intenzione di unire BHM a Milano nasce da Jermay e Ronke Oluwadare, dopo l’esperienza del collettivo Kirikou, la prima piattaforma di persone nere nata in città nel 2017. Ronke Oluwadare è psicologa sociale, del lavoro e della comunicazione. «Con il gruppo ci siamo trovati subito bene, senza aver paura di “fare”: possibilità, contatto, conoscenza. Le cose si immaginano difficili, fino a che non si iniziano a fare insieme».
«Ho strutturato meglio l’idea di BHMM andando all’estero, studiando esempi come Bonaventure Soh Bejeng Ndikung, o i percorsi di Monica de Miranda con Hangar Lisbona e altre realtà che stavano cercando di progettare degli spazi culturali, di creazione, di sviluppo, di ricerca e non per forza legata ad un’Istituzione. Non possiamo aspettare le istituzioni che fanno il lavoro di ricerca, di accrescimento, di supporto». Altro esempio importante che Jermay cita è quello dell’artista del Ghana Ibrahim Mahama, che ha fondato il Savannah Centre of Contemporary Art e Red Clay, un hub culturale a Tamale, per il supporto a ricerca, mostre e residenze artistiche.
Il primo progetto pubblico di BHMM è stato il talk Africans Everywhere, evento collaterale della Biennale di Venezia del 2024 nel contesto di The All African People’s Consulate di Dread Scott, sulla presenza africana in Italia. Il più recente, la mostra Milano. Paradoxes and Opportunities durante Inequalities, la 24ª Esposizione Internazionale di Triennale, un progetto curato da Seble Woldeghiorghis, Damiano Gullì e Jermay Michael Gabriel, per smascherare le tensioni interne nella metropoli e rivelando disuguaglianze che i riflettori spesso ignorano. «Per noi l’esperienza di Forum Inequalities Triennale, intorno al tema di paradossi, opportunità e tendenze contrapposte, è stata fondamentale perché ci ha permesso ben sei mesi di studio, di visibilità, di dialogo condiviso e non effimero».
A renderla un’esperienza reale è stata, secondo Jermay, la capacità degli artisti di interpretare i dati socio-economici e culturali raccolti e fatti propri, una capacità rara di “vedere” i numeri, che comunque sono delle concezioni cubiche e gelide. «Gli artisti invitati sono stati bravi a toccarli ma rimanere gentili, toccarli e non essere scottati, e forse è una domanda interessante, a me piacciono gli artisti che fanno gli artisti perché sanno fare gli artisti, non perché è l’unico mezzo che hanno di esprimersi. Parliamo di artisti razionali e non artisti irrazionali, cioè che hanno coscienza di se stessi del mondo e non si fanno travolgere, per questo che non c’è rabbia, perché tutti gli artisti hanno coscienza di se stessi, questa è una cosa molto importante per noi».














