04 ottobre 2021

Mediterraneo oscuro: l’installazione sonora di Invernomuto, agli scavi di Pompei

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Diffusa nel Parco Archeolgico di Pompei, l'installazione di Invernomuto fa emergere le note oscure del Mar Mediterraneo: presentato il progetto vincitore del bando Italian Council

Il brusio di Pompei. Le voci sono distanti ma se chiudi gli occhi per un attimo puoi immaginare al posto dell’inglese, dello spagnolo, che le voci parlino greco, latino, osco o egizio. Le colonne orfane, i muri sventrati, le pietre nude poggiate sul terreno, i camminamenti, le statue di Igor Mitoraj, le prime note di Echoes dei Pink Floyd. Ogni elemento risuona, ogni volta ci si affaccia tra questi luoghi sospesi nel tempo per rimanere rapiti da una linea temporale diversa dal resto del mondo. Un set archeologico ai limiti della cinematografia, come in effetti raccontò Adrian Maben, il regista del “Live at Pompei”, esattamente 50 anni fa, passeggiando tra queste rovine in un caldo ottobre del 1971. Ma poche cose possono permettersi di rimanere identiche a sé stesse nel tempo. L’arte, di contro, muta perennemente, si trasforma e prova a trascinare nel cambiamento quello che le sta intorno.

Pompei, Casa degli Amorini dorati, giardino

La prima cosa che si prova, oltrepassando il muro sonoro di Black Med – POMPEII, l’opera della personalità artistica Invernomuto (Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi), è un sensazione di spaesamento e curiosità. Non tutti coloro che si trovano a percorrere l’antica Via Marina sanno di questo incursione sonora. Qualcosa proviene dal Santuario di Apollo, qualcuno percorre il grande peristilio contornato dalle colonne in tufo, alla ricerca di qualcosa, che forse si nasconde in quello che rimane della cella del tempio. Le voci di donna e le trombe taglienti si propagano anche per il resto del Foro, lì a pochi passi. L’antica piazza vesuviana ne è immersa. Qualcuno si ferma ad ascoltare, altri proseguono il loro cammino, ma nessuno può ignorare questi slanci ritmici, che ridondano come scariche, come riverberi interiori che ti entrano nelle viscere. E se è impossibile dal Foro non guardare il Vesuvio appollaiato, quasi soddisfatto della sua più grande “opera d’arte”, altrettanto lo è ignorare il muro delle 49 trombe di Mazen Kerbaj che ti strappa via da ogni tuo pensiero (Walls Will Fall: The 49 Trumpets of Jericho, 2018). Così come il liquido sonoro de L’Île Re-Sonante di Eliane Radigue (2000), che ti circonda come un onda in mezzo al mare. Come un siero amniotico, una promessa da cui può rinascere qualcosa di nuovo, meticcio, liquido, spogliato da ogni rigidità e costrizione.

invernomuto pompei

Le installazioni di Black Med – POMPEII, presentata da Fondazione Morra Greco e tra i vincitori del bando Italian Council (programma di promozione internazionale dell’arte italiana della DGCC – Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiC – Ministero della Cultura), nell’ambito del programma “Pompeii Commitment. Materie archeologiche“, sono il punto di arrivo di un lavoro profondo, che percorre creativamente anni di sperimentazioni e ricerca, condivisi con altre personalità, tra cui il regista Yusuf Haibeh Said, le studiose Monika Halkort e Alessandra Di Maio. Al centro il Mar Mediterraneo, nostro punto nevralgico e spirituale, solcato da flussi migranti, economici e militari ma che aspira a tornare ad essere hub, snodo tra civiltà amiche e dialoganti.

«Il Mediterraneo ha cessato di esistere». Le terribili parole dello storico David Abulafia fanno da eco a questo mare-crocevia, tramutato in spazio conteso, circondato da «Imbuti, punti di ingresso, confini invalicabili e rotte di estrazione di valore, profondamente razzializzate». Una regione afflitta da un «Regime migratorio carcerario», strutturato da contrabbandieri, trafficanti e soggetti corrotti. Ma travolto anche da quella hybris statuale, non solo onomastica (Triton, Mare Nostrum, Sophia, Themis) che attraverso numerose missioni di agenzie nazionali e internazionali, che pur dedicate al soccorso e recupero dei migranti, ha finito per trasformata gradualmente il nostro mare in un campo di raccolta informazioni, di traduzione di migliaia di soggetti in “punti dati”,  burocratizzati, enumerati, trasfigurati in cifre e statistiche di flussi, spogliati di ogni valore simbolico e di qualsiasi dignità politica. La culla della nostra antichissima civiltà ridotta a equazione di «Necropolitica», di «Matematica del non vivere», di «Accumulazione di capitale razziale».

Da qui la sfida di Invernomuto, alla volta di nuove forme di sradicamento, di fluidità libere e creative, proprio qui, a Pompei, tra queste statue, mura e colonne che hanno viaggiato nella fissità e nella imperturbabilità della Historia. Proseguendo per il foro si incrociano i depositi di anfore lasciate dai pompeiani e ordinate su scaffalature di fortuna, tra tubi Innocenti e mensole di metallo impolverato. E in ogni “stanza” del magazzino, circondato da decine di crateri di terracotta vi è il calco di un corpo, straziato dai gas vulcanici, abbandonato, disteso, rannicchiato. Una tragicità non dissimile dai cadaveri dei migranti che ciclicamente ritroviamo distesi sulle spiagge o galleggianti sulle nostre acque.

Percorrendo via della Fortuna e incrociando Via del Vesuvio si arriva alla Casa degli Amoretti Dorati. Lontana dai percorsi più battuti, eppure tra le più ricche e decorate di tutta la città, la casa si caratterizza anche per un triclinio vuoto, in ristrutturazione, spogliato da affreschi, come alcune pareti in fase di ritintura dopo i danni del tremendo terremoto precedente di 17 anni l’eruzione del 79 d.C. Un senso di sospensione, di “work in progress” si irradiava nella casa, testimoniandone la volontà ferrea, attiva e rigenerante di chi vi abitava. E nei quattro angoli del peristilio che avvolge un giardino dalle verdissime siepi appena potate, quattro Anakonda, speaker flessibili, che diffondono le texture sonore di brani come Liquid, di Dimitris Petsetakis (2018), Water For Your Eyes, di Merdh Laleh (2019), Fr3sh, di Kareem Lotfy (2017).

Le orme delle scarpe dei turisti sulla schiuma spessa dei microfoni ne suggerisce la compenetrazione nell’arredo della casa che, alla severità di molte abitazioni pompeiane, oppone suggestioni metafisiche e divinatorie, oggetti mantici e animali sacri ai culti misterici. È tra queste mura dedicate all’ arte come a forme di devozioni sincretiche, votata al Culto Capitolino, ai Lares Familiares come a divinità dell’“altra sponda”, dei egizi come Anubi, Serapide, Arpocrate, che il dialogo tra le oscillazioni armoniche di Black Med – POMPEII, perde quel carattere di evenemenzialità e diviene suite, parte narrante dello spazio-tempo-suono. È qui che il nord e il sud del Mare Nostrum diviene mare di tutti. È qui che la dea Iside raccoglie e ricompone le membra dello sposo, Osiride, ucciso dal Dio della violenza Seth, divenendo così la dea dispensatrice della vita.

È proprio qui tra queste mura che si immagina un Mediterraneo solcato non più dalla necromanzia ma dal risuonare dalle arti, dei flussi e degli uomini liberi di agire e vivere. Dove non ci sia bisogno di “bruciare”, di trasgredire barriere imposte da volontà politiche cieche e accecanti, ma di poter liberamente navigare, fluttuare, come facevano i nostri antenati, bagnati dal οἶνοψ πόντος (òinops pòntos), da quel «Mare che agli occhi ha il colore del vino» (Omero).

Qui la tracklist.

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