09 marzo 2023

Fabio Mauri e Pier Paolo Pasolini, potere è manipolazione al MAXXI di Roma

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Lo schermo come radiografia della mente: al museo MAXXI di Roma, si approfondisce il rapporto tra l’artista Fabio Mauri e il poeta Piera Paolo Pasolini, tra arte, letteratura e politica

Fabio Mauri, Che cosa è il fascismo, 1971 Stabilimenti Safa Palatino, Roma foto: Marcella Galassi Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth
Fabio Mauri, Che cosa è il fascismo, 1971 Stabilimenti Safa Palatino, Roma foto: Marcella Galassi Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth

Nella Sala Carlo Scarpa del museo MAXXI di Roma, martedì, 28 febbraio, Ivan Barlafante, artista e Direttore dello Studio Fabio Mauri, Luigia Lonardelli, curatrice al MAXXI, e Andrea Viliani, Direttore del Museo delle Civiltà di Roma, hanno introdotto l’incontro ideologico e storico tra Fabio Mauri (Roma, 1926 – Roma, 2009) e Pier Paolo Pasolini (Quartiere Santo Stefano, 1922 – Lido di Ostia, 1975). In concomitanza con il centenario dalla nascita del poeta, si è approfondito il rapporto dicotomico tra i due grandi personaggi, nel quale si mescolano amicizia e pensiero, a partire già dal 1942 con la fondazione della Rivista “Il Setaccio” che vede, sulla copertina del primo numero, un disegno di Pasolini. A metà tra taglio politico e critico-letterario/artistico, il giornale risulta scisso in due identità capaci di contrasti interni, resi insanabili nel giugno del 1943.

L’incontro umano

«Pier Paolo l’ho conosciuto un sabato sera alla Casa della GIL, dove giovani interessati all’arte erano stati invitati. Frequentavo il Galvani di Bologna, la seconda ginnasio di quel liceo. Tra i ragazzi presenti Ardigò, Luigi Vecchi, forse Leonetti. Francesco Leonetti è uomo così imprevedibile che può non esserci stato ed io ricordarlo lo stesso. Forse, ma ne sono anche più incerto, c’era Roversi, ma anche Roberto Roversi è uomo così sostanzioso e appartato, che può essere una mia manipolazione di conferire il suo volto a qualcuna di quelle ombre di giovani, seduti o in discesa, per certi scalini.

C’erano delle scale, le ricordo. Della prima serata ricordo anche l’angoscia cólta che imponeva rispetto, di Ardigò. Tra gli altri, dei meno giovani, Cinti, Ciangottini, il Dott. Falzone incaricato dalla GIL di un progetto di rivista. Decidemmo di tentare. Proposi un titolo preso dalla giovinezza scolastica di mio padre, Il Setaccio. All’uscita della Casa del Fascio, Pier Paolo ed io ci accostammo: mi era piaciuto molto quello che avevo sentito da lui sulla poesia, e fui incuriosito da quanto accennò su Pascoli, e io a lui da ciò che avevo detto su De Chirico e Savinio, sull’arte. Ci ripromettemmo di rivederci subito, il giorno dopo. La domenica Pasolini arrivò a casa. Lo presentai in famiglia. Pier Paolo usò la sua dolcezza friulana, che in lui era il sostituto sapiente di ogni buona maniera. E, per la prima volta, scoppiò nella sua risata animalesca, fatta di denti, ma convinta, irriflessiva, in modo complesso umana, di fronte a qualche lazzo di uno o l’altro dei fratelli. Di lì iniziò, con frequenza quotidiana, la nostra amicizia».

Così scrive Fabio Mauri nel 1985, in occasione della mostra “La forma dello sguardo” ai Mercati Traianei, a cura di Laura Betti, Adriano Aprà e Fabio Mauri.

L’incontro politico

Mauri e Pasolini si incontrano ufficialmente nel 1938 a Firenze. Entrambi fanno parte della squadra del Liceo Galvani che vince la competizione intellettuale nei Ludi Juveniles, organizzati in occasione dell’arrivo di Hitler a Firenze per incontrarvi Mussolini e Bottai.

Fabio Mauri, Che cosa è il fascismo, 1971 Stabilimenti Safa Palatino, Roma foto: Marcella Galassi Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth

Nel 1971 Fabio Mauri mette in atto la performance Che cosa è il fascismo, come ricostruzione di quell’evento. Su un tappeto rosso, cui centrale è il simbolo della svastica, si susseguono saggi e dibattiti di fronte a tribune suddivise “per affinità”, per Corporazioni: artisti, edili, ingegneri, ebrei, etc.

La domanda che porterà a “che cosa è il fascismo” si origina a seguito della visione, da parte di Mauri, della mostra della Pop Art Americana alla Biennale di Venezia del ‘64. L’oggetto di consumo, la Coca-Cola per intenderci, diventa capace di esprimere per intero la complessità politica, sociale ed economica di un Continente. Mauri inizia a riflettere su quale possa essere il corrispettivo all’interno della cultura europea, intuendo che dovesse essere necessario “superare le frammentazioni insite nel passato”, per giungere a una sintesi iconica, possibile tramite una connotazione ideologica.

Così, per comprendere cos’è l’ideologia, si immerge in un grande rimosso collettivo di cui ha fatto esperienza: il fascismo. «La guerra, il fascismo, le false ideologie e l’insidiosa logica del totalitarismo, costituiscono la materia d’indagine nella ricerca di Fabio Mauri, e non esclude il rapporto con Dio», afferma Ivan Barlafante in una nostra conversazione. «La ricostruzione che fa l’artista è fedele, realista; il fascismo è espresso per quello che è, senza forme di giudizio. Il pubblico è parte della performance, accomodato e distinto nelle tribune in base alle categorie a cui appartiene, diventando all’istante una “preposizione ideologica all’interno di un fatto storico. La storia non è intesa in modo accademico, ma come un evento nel quale siamo calati e tocca decidere che ruolo svolgere”», prosegue Barlafante. «La connessione tra la genialità dei due autori sta in questa assenza di morale, che è propria dei grandi narratori. Il fascino della bellezza “perversa” del potere è qualcosa che va maneggiato con cura, perché è come il tritolo: può scoppiarti tra le mani. Puoi diventare fascista mentre fai una critica al fascismo, quando non c’è né una né l’altra cosa. Le opere di Mauri vibrano, hanno un’energia tale per cui non possono diventare rigoriste perché c’è una decisione da prendere; l’ibrido è lì che si forma di fronte ai tuoi occhi. Si avverte una tensione, probabilmente spirituale, che evita il rischio frontale, evidente, annunciato, improcrastinabile del moralismo», commenta Andrea Viliani.

La presenza di Pasolini nella produzione artistica di Fabio Mauri

Mauri parla, per mezzo della sua produzione artistica, di assuefazione, del livellamento della percezione reale, di manipolazione; indaga il percettibile e l’invisibile, lo svuotamento dell’esperienza autonoma e il corpo dell’identità. Analizza l’istintivo arresto nel momento prima di afferrare le contraddizioni proprie di un periodo storico, perché “è la storia la sua materia elettiva”. L’artista rifletterà a più riprese, nel tempo, sull’interazione con Pasolini e lo farà con due testi: il primo è del ’85 e l’altro, 10 anni dopo, del ’95. Dal titolo Intimità di Pasolini, quest’ultimo diventerà dopo ancora 10 anni, nel 2005, una conferenza-performance in forma di video.

«Ritornare su un’idea già conclusa per Mauri è un’attitudine del suo lavoro; lo definirà un esercizio spirituale alla maniera di Sant’Ignazio di Loyola. Affrontare un tema già svolto, immutato nella sua forma, porta a confrontarsi, in coscienza, per sperimentare se i principi già verificati e stabiliti possano continuare ad essere tali, riassistendo all’argomento come se fosse la prima volta, o un’ennesima prima volta. Questo trova cambiato l’osservatore più che l’evento», delucida Barlafante. «Non sarà così con Pasolini. Il ritratto che dà del poeta è molto intimo, non chiuso, senza distanza temporale». «Per Mauri, Pasolini è la persona che più si avvicina a San Paolo, si immagina per purezza di pensiero, per intransigenza. Un santo rappresentato con la spada, quanto più lontano dalla morale», interviene Luigia Lonardelli.

Nel legame tra i due autori è emblematica la performance Intellettuale, del 1975, realizzata da Mauri in occasione dell’inaugurazione della nuova Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna. Consiste nella proiezione, ad elevato volume, de Il Vangelo secondo Matteo sul busto dello stesso Pasolini, divenendo metafora radiografica di un “corpo politico”. «Pasolini, in questo modo, non è più solo l’autore della propria opera, ma è anche lo schermo su cui la sua creazione diventa visibile al pubblico. È un’opera straordinaria che riflette sulla responsabilità di mettere al mondo qualsiasi cosa, fosse anche quella un’opera d’arte», conclude Andrea Viliani.

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