27 luglio 2012

La cultura in gioco

 
Aprono oggi a Londra le Olimpiadi 2012. E, oltre ai giochi, il programma trabocca di iniziative culturali. Tra mostre, progetti speciali, aste in tema e il London festival. Obiettivo: Olimpiadi indimenticabili. Ma non tutto fila liscio, tra una città militarizzata, gaffe degli atleti e degli organizzatori, di traverso ci si mette la street art, con Banksy in testa. E, più che per l'arte, questi giochi saranno ricordati per il trionfo della tecnologia [di Francesca Iani]

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Inizia oggi l’evento più atteso dell’anno, le Olimpiadi di Londra, e l’offerta culturale in tutto il Regno Unito non manca, anzi. Tanto da creare un calendario parallelo a quello sportivo, dando vita addirittura alle “Olimpiadi della cultura”. È dal 2008 che nel Regno Unito sono stati presentati programmi e progetti ispirati a Londra 2012 che hanno già coinvolto circa 16 milioni di spettatori. L’apice è il London Festival, il più grande evento mai organizzato nel Regno Unito, iniziato il 21 giugno e che fino al 9 settembre coinvolgerà milioni di persone. Costi complessivi? 52 milioni di sterline per il festival e altri 45 milioni distribuiti tra i vari progetti. Insomma, quasi 100 milioni di euro dedicati alla cultura. Come in Italia, occhio e croce. L’ambizione è molto alta: creare “il festival più eccitante che il Regno Unito abbia mai visto”, e in effetti, con circa 12mila tra spettacoli ed eventi, si spera che anche il suddito più tiepido e le migliaia di turisti che si riverseranno sulla capitale britannica si distraggano per un po’ dai giochi e facciano, ammirino, altro.

Ruth Mackenzie, direttore del London Festival, conferma le ottime intenzioni: «Se il Festival procede nel modo giusto, le persone ricorderanno il 2012 non solo per lo sport, ma anche per l’indimenticabile spettacolo di tutte le arti». Non c’è disciplina non compresa nel cartellone: arti visive, al teatro, danza, musica, cinema, moda e altro ancora. Vi avevamo già anticipato nei giorni scorsi alcuni degli eventi organizzati nell’ambito delle “Olimpiadi della cultura” quali il Frieze Projects Est, una serie di nuove commissioni d’arte contemporanea negli spazi pubblici di Londra, la Art Drive Collection, con le storiche BMW firmate dagli artisti, e il Peace Camp, l’installazione di 2mila tende sulle coste inglesi. Ma tra gli appuntamenti in programma è previsto anche “Unlimited”, progetto che incoraggia collaborazioni tra gli artisti disabili, provenienti da tutto il mondo, per celebrare l’ispirazione dei Giochi Olimpici e Paraolimpici attraverso la creazione di opere originali.

Persino le case d’asta hanno deciso di puntare sul fenomeno Olimpiadi: Sotheby’s ha raccolto circa 600 lotti – tra poster, torce, medaglie, articoli di abbigliamento, programmi, biglietti – che coprono tutti i giochi dal 1896 al 2008, tra cui la medaglia di Jenny Fletcher, del 1912, prima donna nuotatrice a partecipare ai giochi, mentre la casa d’aste Bonhams ha messo in vendita i manifesti e le locandine ufficiali, tra cui quelle di Michael Craig-Martin Go o di Rose Rose. Piuttosto sottotono, invece, la presenza italiana: l’unica mostra interamente dedicata al Belpaese è “In Astratto”, presso la Estorick Collection e promossa dal Centro Regionale Arte Contemporanea della Regione Liguria. La rassegna presenta ad un audience internazionale il percorso della pittura italiana del Novecento – dagli anni Trenta sino ai primi anni Ottanta – nell’ambito delle differenti declinazioni del linguaggio aniconico. Si poteva fare di meglio? Probabilmente sì.

Ma nonostante il grande circo dell’arte messo in piedi dal governo, non manca una sonora bocciatura, secondo la quale il fenomeno olimpiadi è soltanto un lavaggio del cervello collettivo, come ha scritto Jonathan Jones sul The Guardian. Le Olimpiadi sono una festa di corpi, è il trionfo dello sport, cosa c’entra l’arte? Miope o no che sia questa posizione, trova una sponda nel fatto che in un momento del genere e con il Paese così avidamente concentrato sullo sport, molti dei musei e gallerie di Londra hanno “giocato in casa”, mettendo in cartellone una serie di mostre vertenti sul significato culturale di realizzazione atletica, l’importanza dei Giochi Olimpici e la ricerca perenne della vittoria. Rischio noia? Forse. Insomma, dalle Olimpiadi non se ne esce e anche l’arte pare doverci fare i conti.

Al National Portrait Gallery per esempio, è in scena la mostra “Road to 2012: Aiming High”, la più grande commissione fotografica mai intrapresa dal museo, che rivolge la sua attenzione agli atleti che rappresentano la Gran Bretagna, mentre il British Museum ha deciso di esporre le medaglie delle scorse olimpiadi, fornendo così ai visitatori anche informazioni sul contesto storico. La Tate Britain risponde con la crème dell’arte nazionale, tra young Bitt e post, proponendo i manifesti commissionati ad una dozzina di artisti, tra cui Tracey Emin, Chris Ofili e Martin Creed, che celebrano, guarda caso, i giochi olimpici.

Neanche la street art è riuscita a tenersi fuori, anzi sembra parecchio influenzata dal ciclone olimpiadi: tra le varie azioni preventive messe a punto dalla polizia metropolitana per mantenere l’ordine pubblico (ogni giorno arrivano informazioni circa l’aumento dei soldati schierati a Londra, ormai più di quelli di stanza in Afghanistan e mercoledì si sono aggiunti anche i cani anti-esplosivo), nel mirino ci sarebbero proprio gli artisti di strada. In questi mesi la città è stata ripulita con la cancellazione dai muri di molti graffiti che contestavano i giochi, come ad esempio il pezzo di Mau Mau, o addirittura con arresti, tra cui Darren Cullen, a cui è stato ordinato di restare almeno a un miglio di distanza dal villaggio olimpico. Sembra resistere solo Banksy, che ha recentemente pubblicato sul suo sito due nuove opere create ad hoc per le Olimpiadi, ma delle quali, come nel migliore stile Banksy, resta segreto il luogo dove si paleseranno.

Non tutto e non tutti, insomma, fanno il tifo per London 2012. È di pochi giorni fa la notizia che alcuni capi d’abbigliamento destinati ad atleti britannici e volontari sono stati realizzati in Indonesia da Adidas, partner ufficiale di Londra 2012, sfruttando duramente il lavoro delle donne (costrette a lavorare fino a 65 ore settimanali e con una paga più che misera) e facendosi beffa degli organizzatori dei giochi, mai come quest’anno così rigidi nel rispetto delle regole. Da ultima, a guastare la festa, ci si è messa la politicamente scorretta saltatrice greca Voula Papachristou che ha incautamente twittato contro gli africani. Scuse inutili e rispedite alla mittente, con l’esclusione della stessa.

E a proposito di social networks, con 750mila like su facebook e circa 913.000 follower su twitter, quelle di Londra sono state già definite le olimpiadi degli smartphone, con app, video e foto da condividere e la cerimonia d’apertura, per la regia di Danny Boyle (Trainspotting) già svelata due giorni prima su twitter. La cultura a questo punto passa in secondo piano. Promemoria per le prossime olimpiadi Rio de Janeiro 2016: sarà il caso di aggiornare i linguaggi dell’arte e stare al passo con la tecnologia per avere più seguito?

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