22 febbraio 2012

L’intervista La versione di Rossella

 
Qual è il rapporto tra la monumentalità del passato e l'anti monumento di oggi? Il workshop “Mandato a memoria”, condotto da Rossella Biscotti con i giovani artisti dell'Accademia di Bergamo, riflette su questo nodo che segna lo spazio pubblico. Tra memoria e oblio, imprese eroiche e ribellismo. Per far emergere alla luce ciò che è rimosso e riportare la storia nel presente. Perché questa è la capacità destabilizzante dell'arte [di Paola Tognon]

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All’Accademia Carrara delle Arti di Bergamo è stato presentato il workshop “Mandato a memoria”, iniziato nel giugno del 2011 e diretto da Rossella Biscotti nell’ambito del più vasto progetto “La memoria dello spazio” ideato dalla stessa Accademia. In mostra figurano i progetti per opere temporanee e permanenti elaborati da giovani artisti usciti dall’Accademia: Paolo Baraldi, Diego Caglioni, Emma Ciceri, Samuel Fortunato, Simone Longaretti, Daniele Maffeis, Luca Resta e Lia Ronchi.

Focalizzato sulla memoria dei garibaldini bergamaschi, giovani ribelli ai quali la storia ha permesso di diventare piccoli o grandi eroi, il workshop ha lavorato sul ricordo e l’oblio. Quale è stato il processo di monumentalizzazione del Risorgimento? Che cosa vi si concontrappone oggi con la tipologia contemporanea dell’anti monumento? La rilettura delle tracce sommerse nella Città dei Mille – per la straordinaria partecipazione di 168 garibaldini alla famosa spedizione del 1860 – ha avviato una ricerca artistica aperta alla dimensione sovralocale con l’obiettivo di produrre nuove idee per gli spazi pubblici della città. Alcune già realizzate, altre in attesa di esserlo.

Il progetto di Emma Ciceri, Madre di monumenti, prevede trenta ingrandimenti tratti da piccole fotografie in parte cancellate dall’artista, appesi dall’alto come sipari di memoria. Immagini che evidenziano l’intensità delle folle raccolte nelle manifestazioni di diversa epoca e ideologia intorno al monumento di Vittorio Emanuele in Piazza Duomo a Milano, che nei secoli diventa piedistallo di moltitudine.

Quasi ribelli di Paolo Baraldi – 13 giganteschi pannelli affissi presso la stazione ferroviaria di Bergamo – rinnovano l’iconografia del giovane garibaldino con ritratti contemporanei. Ragazzi con la camicia rossa, ribelli in potenza su cui la storia non ha ancora sparso la sua dose di gloria o di censura. Il progetto GaribaldiMap, sviluppato e condiviso in rete da Diego Caglioni, mappa i numerosi monumenti dedicati a Garibaldi disseminati nel mondo. Le immagini vengono salvate su uno screenshot tramite Google street view, sistema che fissa le raffigurazioni del condottiero restituite nel formato cartolina. Samuel Fortunato, con il suo Multa renascentur, disegna tre parallelepipedi in cemento grezzo sui quali poggiano dei piccoli cimeli: una scarpa logora, un foulard annodato, un berretto rosso. Testuali parole, venite buona gente, venite ad ascoltare di Simone Longaretti riproduce su 32 fogli volanti, lasciati come free press nella città, testi presi dalla poesia civile minore e dagli scritti meno conosciuti di Garibaldi. Daniele Maffeis esegue un processo di analisi quasi puntiglioso dei riferimenti ideologici, linguistici e iconografici di Gioventù Ribelle, mostra e catalogo ufficiali promossi dal Ministero della Gioventù per il 150° dell’Unità d’Italia. Lia Ronchi con il suo D.O.C. (Destrutturazione Origine Controllata) realizza vere e proprie “fiction visive”, ottenute rielaborando immagini d’archivio e scatti realizzati appositamente. Luca Resta con 168 riproduce il modello in scala del luogo di raduno delle manifestazioni a Bergamo che vede 168 cartelli stradali dedicati a tutti i nomi dei garibaldini bergamaschi partiti nella spedizione dei Mille. In ogni assembramento contemporaneo uomini e donne si ritroveranno così mescolati alla storia.

Mandato a memoria è un progetto a rilascio lento che si contrappone al reiterarsi di logore mostre di lancio per giovani talenti o a workshop di opportunità. E azzeccato è il coinvolgimento di Rossella Biscotti che per oltre un anno ha pendolato tra Olanda (dove vive), Germania e Bergamo, superando i limiti della didattica preconfezionata. L’abbiamo intervistata durante la visita alla mostra.

Quali sono state le esperienze che più hanno segnato il tuo percorso?

«Le persone con cui ho lavorato, che hanno contribuito a ogni mia esperienza artistica e di vita».

Come definisci il fil rouge della tua ricerca? E come si riflettono in essa gli strumenti espressivi che utilizzi nel tuo lavoro?

«Il filo rosso? Quello che sfugge o è invisibile. Non perché nascosto, ma perché rimosso, anche se inconsciamente, dalla nostra storia personale e collettiva. Ma non mi interessa illuminare la scena, fotografare un momento storico o un evento, bensì recuperare frammenti di storie che parlino non solo del soggetto, ma della nostra relazione con esso, di come questa rimozione influenzi il nostro presente. Utilizzo i mezzi più disparati, combinando la ricerca archivistica con l’azione».

Quali sono i tuoi appuntamenti futuri e quali le tue aspettative o timori?

«A breve ho una personale al CAC di Vilnius, in Lituania, una residenza alla Kadist Art Foundation a Parigi, poi Marrakesh con un progetto collaterale alla Biennale. Temo solo la stupidita’ burocrata e istituzionale».

Che cosa significa per te l’insegnamento?

«Questo workshop è stato un’esperienza piuttosto particolare all’interno dell’insegnamento nel senso classico. Un tentativo ben riuscito di mettere in relazione due istituzioni, l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo e l’ISREC (Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea) nel rivedere un periodo di storia locale e nazionale, il Risorgimento bergamasco, attraverso le ricerche di un giovane storico e le proposte di otto giovani artisti. Il mio lavoro è consistito nell’indirizzare le forze, aprire discussioni, portare stimoli visivi, ascoltare, rilanciare proposte, seguire, promuovere, e sostenere le idee di ogni singolo partecipante. In genere cerco di dedicare in maniera alternata un anno alla mia produzione artistica e un anno all’insegnamento in senso ampio (lecture, workshop, symposium, conferenze)».

Ritieni che lo spazio pubblico sia il punto di osservazione privilegiato per conoscere la memoria di una collettività?

«Assolutamente no, in questo momento lo spazio pubblico è il luogo della memoria ufficiale. Ci sono pochissime e a volte solo temporanee manifestazioni visive della memoria pubblica: scritte sui muri, gesti, presenze che vogliono manifestare una propria memoria».

Pensi che il monumento sia una forma simbolica ancora attiva ed evocativa?

«Potrebbe esserlo, è una sfida».

Lavorare sulla memoria e sulla sua trasmissione nello spazio pubblico significa riflettere sulle modalità con le quali una collettività intende riconoscersi. E’ davvero un punto sensibile nella ricerca artistica contemporanea?

«Sarebbe da chiedersi cosa intendiamo per collettività e per spazio pubblico. Non credo che la ricerca artistica contemporanea si occupi della trasmissione della memoria nello spazio pubblico. Per tutti gli anni Novanta e successivamente, attraverso la simbolica rimozione dei rispettivi monumenti pubblici, gli artisti hanno tentato di rielaborare lo sgretolamento di quelli che, per sintesi, definiamo regimi. Pensiamo al lavoro sulla memoria degli artisti est europei e al lavoro per me esemplare dell’artista lituano Deimantas Narkevicius. Attualmente l’attenzione è sulla riappropriazione dello spazio pubblico in maniera più temporanea: performance, affissioni, riprese filmiche, basta pensare al ruolo degli artisti nei nuovi movimenti di Occupy».

La storia può essere rappresentata? L’arte oggi ha un ruolo in questo?

«La storia può essere rappresentata nel momento in cui mantiene una relazione con la società attuale, quando parla, comunica, viene rimessa in circolo. L’arte ha, e può avere, la capacità’ destabilizzante di riportare la storia nel presente».

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