Il Museo MADRE di Napoli dedica un doveroso omaggio ad uno dei più interessanti e controversi protagonisti dell’arte contemporanea italiana: Vettor Pisani (omonimo di un condottiero del trecento) nato a Bari nel 1934 e deceduto a Roma nel 2011 (fino al 24marzo). Pisani non amava la banale lettura delle cose a partire dalla sua storia personale, infatti la sua autobiografia era, come avrebbe detto Sigmund Freud, una ricostruzione di falsi ricordi di infanzia. Di sé diceva di essere nato ad Ischia e di essere figlio di un ufficiale di Marina e di una ballerina di streap-tease, questo voler dare una lettura “mitica” e leggendaria anche di se stesso e dei suoi natali è in linea con il suo essere stato un autore fra i più personali, visionari ed esoterici del panorama artistico della sua generazione.
Il suo lavoro è altamente simbolico, a partire dalla sua data di nascita 12-7-1934 che probabilmente si avvicina a quella reale ma che reale non è, infatti il 12 è il risultato della moltiplicazione fra 3 e 4 che sono gli ultimi numeri dell’anno 1934, luglio è il settimo mese ed è la somma di 3 più 4, questa data è un rebus esoterico, un’opera in bilico fra scherzo e scienza occulta, che sta a dimostrare l’inacessibilità della vera anima dell’artista che rimane nascosta e che si rivela simbolicamente attraverso i lavori.
Vettor Pisani esordisce a Roma nel 1970 dove comincia la sua attività espositiva alla Galleria La Salita, aperta nel 1957 da Gian Tommaso Liverani, dall’enigmatico titolo “Maschile, femminile e androgino. Incesto e cannibalismo in Marcel Duchamp” in cui presenta un lavoro che è una sorta di postilla critica a Duchamp che, insieme a Yves Klein, Joseph Beuys e Pisani stesso, fa parte di una sorta di personale e ideale Pantheon concettuale i cui quattro punti cardinali, come nel suo teatro rosacrociano, sono questi artisti a cui corrispondevano i quattro elementi aria, acqua, terra e fuoco. Quindi già da queste prime mosse creative è chiaro come Pisani volesse «elaborare un programma che colpisse l’arte partendo dall’arte» (Maurizio Calvesi) perché, dato che l’artista è «per sua natura implicitamente anche critico» (Carla Lonzi), vuole entrare nel lavoro degli altri artisti attraverso l’opera d’arte. Gli oggetti presentati in questa sua prima mostra sono, secondo le parole di Pisani «mostrati come delle parole per un critico d’arte» e tutta la stanza è una sorta di «stanza metafisica», come ha spiegato Laura Cherubini – che per la mostra napoletana ha svolto il ruolo di curatorial adviso, oltre ad essere stata amica e compagna di lavoro di Pisani – dove gli oggetti si collocano come delle presenze mute che incasellano il lavoro in un binario che parte da De Chirico, come l’opera in cui un guanto di gomma è posato su una tavolozza di ferro un chiaro riferimento al quadro Le Chant d’Amour del 1914 per arrivare al concettuale di Duchamp con l’opera Venere di cioccolata sulla cui testa pende un peso, che è il calco della macinatrice di cioccolato del maestro del concettuale, sospeso ad un filo, peso che simbolicamente rappresenta il destino che appunto è legato ad un filo.
Già da questa sua prima prova si evince come tutto il percorso creativo di Pisani si sviluppa sul doppio registro di tragico-comico e sacro-profano con una ironia di fondo che ben si esplicita nel giavellotto presentato orizzontalmente e posizionato su delle rotelle, un giavellotto adatto ad un eroe “da camera” che può solo colpire un bersaglio dipinto metà sul muro e metà per terra (giavellotto che ironicamente rimanda a quell’aurea asta in bilico, intitolata Equilibrio che nel 1969 Gino de Dominicis presenta, libera, sola e sospesa nello spazio nella mostra nel garage di via Cesare Beccaria sede della galleria l’Attico di Fabio Sargentini) (L. Cherubini, Flash Art 270, giugno-luglio 2008) .
Questa stanza è presentata filologicamente al MADRE in apertura della mostra, al secondo piano del museo, ed è una perfetta introduzione ad un percorso che non è freddamente cronologico, ma piuttosto sorprendentemente immersivo nel senso che lo spettatore viene trascinato dentro il complesso e visionario mondo di un artista che, precorrendo la pratica oggi tanto attuale dell’ibridazione dei linguaggi, ingloba nel suo lavoro arte, letteratura, teatro, musica, architettura, filosofia, poesia, scienza ed esoterismo.
L’opera di Vettor Pisani si snoda in un continuum coerente, come in un teatro della memoria che reinterpreta e sottolinea la storia europea e in particolare l’ebraismo, il nazismo e l’attuale tema dei migranti con il mito e la leggenda ma fuse con quell’irriverenza colta e dissacrante, tipica delle prime avanguardie storiche, in un percorso creativo denso di immagini ricorrenti e di simboli antichi come il triangolo, la piramide, la sfinge, il colore blu, l’acqua, l’immaginario romantico di Bӧcklin e l’esoterismo che condivideva con un altro geniale interprete di quegli anni: Gino de Dominicis. Nel 1976, presenta alla Biennale di Venezia, dove è invitato per la prima volta, R.C. Theatrum, il teatro rosacroce, un progetto complesso e misterioso che accompagnerà in innumerevoli declinazioni tutto il suo percorso successivo, fra cui Il teatro di Edipo, Il Teatro della Vergine, l’Isola Azzurra, Il Teatro della Sfinge, Il Teatro di Artisti e Animali, Il Teatro di Cristallo, Virginia con i pesci rossi.
«Quello di Pisani è un teatro dell’ Essere e dell’Identità, una costruzione simbolica e utopica, allo stesso tempo simmetrica e dinamica. Per Pisani l’architettura è parte centrale del destino dell’ uomo, l’unica che può dare una possibilità di salvezza e di orientamento e ha dunque valore messianico e salvifico. R. C. Theatrum ha una duplice matrice: esoterica, con profonde radici nella cultura religiosa e magica, e utopistica, in particolare l’utopia politica e sociale che animava gli architetti espressionisti della Germania a cavallo del primo conflitto mondiale, come Bruno Taut e Paul Scheerbart. Poggiato su un’ isola e circondato dall’acqua, R. C. Theatrum è a forma di croce greca su due livelli, con una scala che si avvita a spirale intorno a un pilastro centrale….Se l’ impianto statico riflette un ordine cosmico immutabile, la scala indica l’ascesa dalla regione dalle tenebre dell’indistinto e dell’inconscio alla luce della ragione» (Lara Vinca Masini). Secondo Filiberto Menna il lavoro di Pisani è un “discorso critico affidato alle immagini” immagini da cui però scaturisce anche quel lato nero, oscuro, del suo lavoro che dopo un inizio “apollineo”, concettuale e geometrico, diventerà soverchiante nella produzione degli ultimi quindici anni facendo prevalere l’elemento dionisiaco, disordinato, ctonio e femminile, più legato al teatro e all’opera come rappresentazione scenica e tragica. La sala al piano terra del Museo Madre è la conclusione dionisiaca, scenografica e a tratti terribile di un percorso artistico fuori dagli schemi, intellettualmente coerente e visionariamente profondo. La mostra è stata curata da Andrea Viliani e Eugenio Viola con il curatorial advisor Laura Cherubini.