12 settembre 2007

ROMAEUROPA 2.0

 
In quest'epoca di lifting e di seconde vite, anche il Romaeuropa Festival, una delle più importanti rassegne in Italia dedicate allo spettacolo dal vivo, ha deciso di cambiar pelle. Prime nazionali, comunicazione rinnovata, spazi inediti. Una rottura col passato ma anche un'evoluzione necessaria alla manifestazione per continuare un percorso iniziato 20 anni fa e che non accenna ad interrompersi. Qualche domanda al direttore artistico Fabrizio Grifasi per fare il punto della situazione. A meno di due mesi dalla prossima edizione...

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Moltissime le novità in campo, dunque…
L’80% degli artisti che vengono presentati quest’anno non sono mai stati in Italia. Conserviamo ovviamente un rapporto con gli artisti storici, ma il Romaeuropa sentiva ormai l’esigenza di guardarsi intorno e percorrere nuove strade. Abbiamo voluto rimanere fedeli a queste amicizie e a questi rapporti artistici, ma anche a noi stessi.

D’altronde Romaeuropa ha sempre voluto essere un’organizzazione di “avanscoperta”. Giusto?
Questo è vero, e a noi fa piacere vedere artisti che abbiamo portato in Italia tanti anni fa che ora vengono invitati anche in altre manifestazioni. Il fatto è che Romaeuropa ha sempre creato una miscela particolare, fatta di complicità intellettuale e di rapporto personale con l’artista, senza però dimenticare un ingrediente molto importante: il rapporto con il pubblico. E un altro cambiamento altrettanto forte e radicale è su tutta la comunicazione. Noi abbiamo sviluppato uno stile, nel corso di questi anni, che prendeva a prestito le immagini degli artisti e che aveva una lavorazione sofisticata e distinguibile. Ora abbiamo chiuso tutta una fase in questo senso e abbiamo voluto che coerentemente con l’edizione attuale ci fosse una comunicazione molto diversa.

E anche la comunicazione on-line si è trasformata da elemento di atmosfera in strumento di “servizio”.
Pensiamo che in questo momento riuscire a coniugare l’esigenza artisFabrizio Grifasi tica con lo sforzo di ancora maggiore accessibilità sia la cosa più importante, ed è una scelta che vogliamo difendere. Noi vogliamo scegliere le opere e gli artisti nei quali crediamo e che pensiamo siano significativi; ma vogliamo anche allargare ancora di più questo rapporto in un momento di grande ricchezza e effervescenza. D’altra parte nella società dell’immateriale, dove la creatività diventa sempre più motore economico, questa tendenza non potrà che essere accentuata.

Insomma, rendere tutto più semplice e più accessibile, ma senza banalizzare…
Certo. Per noi la comunicazione è sempre stata centrale, in questo abbiamo avuto un ruolo di anticipatori. Prima nelle organizzazioni culturali spendevano tutto quello che potevano spendere e poi con i soldi che restavano facevano il manifestino o la brochurina. Monique (Veaute, direttore generale) invece ha tenuto sempre fermo questo principio: da un lato ci sono i progetti, col massimo impegno sulla produzione e sulla realizzazione, ma dall’altro ha sempre voluto che ci fossero risorse e attenzione per comunicare queste realtà, perché non è possibile un progetto culturale senza la costruzione di un pubblico.

Allora parliamo di questo famoso pubblico…
Il pubblico del Romaeuropa è assolutamente libero. Può essere preparato o meno, ma ciò è lasciato alla pura soggettività. Noi dobbiamo rendere un servizio, dobbiamo dare sì degli strumenti e le opportunità di condividere una “consapevolezza”, ma poi la scelta resta puramente soggettiva. Il servizio è un principio assoluto, per esempio noi non facciamo mai pagare il programma di sala, anche perché spesso le informazioni più dettagliate vengono date all’ultimo momento, per cui se si vuole essere impeccabili nell’essere aperti, accessibili e precisi nel fornire quante più informazioni è possibile, bisogna fare così. Poi sta allo spettatore, individualmente, scegliere se seguirci o meno. In ogni caso lo slogan “una generazione avanti” rende l’idea di come sia chi viene a vedere i nostri spettacoli.

Altro argomento: la scelta degli spazi. Come avviene?
Il fatto di occupare spazi non istituzionali, spingendosi sin nelle piazze, è sicuramente una scelta, ma anche una necessità. Una scelta perché ogni progetto artistico ha una sua specificità e bisogna ragionarci su per trovare la condizione migliore per presentarlo. E però non è semplice riuscirci anche perché spesso non si trovano quelle disponibilità e complicità nelle sedi istituzionali che lo consentirebbero. Prendiamo il Teatro Eliseo, che è stato comprato da un signore e che quindi è privato: viene gestito un po’ come se fosse un appartamento con cui io faccio quello che mi pare. Ma se l’appartamento viene pagato dalla collettività, dato che si rivolge a un pubblico, bisognerebbe capire che quello non è il modo migliore e più coerente di utilizzarlo dandogli un senso. C’è anche il fatto che queste strutture sono state pensate in tempi in cui andare ad uno spettacolo era un po’ un affare di stato, mentre ora ci sono tutta una serie di spazi –più recenti, più freschi, quasi sempre indipendenti e autogestiti e ancora più spesso nemmeno sovvenzionati– che sono molto vivi e vivaci e nei quali non a caso si sta concentrando tutta la produzione giovanile e il pubblico stesso è molto giovane.
Naoko Shirakawa, Bolero - Foto di Etsuko Matsuyama
Quindi stavolta più che portare il pubblico in spazi chiusi avete deciso di essere voi a uscire all’aperto?
Sì, e penso che questo vada fatto sempre di più. Ed è anche per noi l’occasione di capire, ragionare, farsi un’idea di quella che può essere la strada giusta in questo senso.

Interessante è anche questo connubio recente con l’arte contemporanea…
Devo dire che è stato un passaggio che si è fatto quasi naturalmente, perché ci siamo resi conto che già sulla scena c’erano una serie di incontri e di connessioni. Quello che ci interessa è di fare attenzione ad una generazione di artisti un po’ meno conosciuti, e soprattutto instaurare un rapporto molto forte con le nuove tecnologie. L’anno scorso, con la mostra Sensi Sotto Sopra, questa scelta è stata premiata e abbiamo avuto ottime reazioni anche da un pubblico di non-frequentatori. Anche in quel caso non è stato semplice trovare i complici e convincerli; quest’anno abbiamo trovato una bella complicità con le Fendi, e facciamo insieme questo percorso di Partos.

Anticipazioni per il futuro?
Sicuramente continueremo a focalizzare la nostra attenzione su aree geografiche particolari, in cui la questione della modernità si pone con caratteristiche e con urgenze completamente diverse di quanto si possa porre in occidente, o quanto meno in Europa e in America del Nord. Questo è un tema che ci appassiona tantissimo perché ci porta a pensare ad una modernità che si articola in forme a noi estranee ma che abbiamo l’obbligo di riconoscere. Il futuro prossimo di Romaeuropa prevederà esplorazioni che vanno in questo senso, cercando di disegnare una mappa artistica ed espressiva che dal punto di vista geografico può vedere allargarsi il proprio focus o spostarsi in direzioni anche assolutamente inedite.

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Anteprima Romaeuropa 2007
Sensi Sotto Sopra

valeria silvestri

*in alto: Paul-André Fortier, 1×160, foto di Katsu Miyauchi


Romaeuropa Festival 2007
Dal 7 novembre al 15 dicembre. Roma, sedi varie
Info: www.romaeuropa.net  


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