29 agosto 2023

Solares Fondazione delle Arti: intervista ad Andrea Gambetta

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Tutto è cominciato a metà anni ’80 con un’associazione tra amici, poi la fondazione di una cooperativa culturale e quindi, agli inizi del millennio, l'espansione a livello internazionale: Andrea Gambetta ci racconta la storia di Solares

Fondazione Solares, Parma

Solares (o dell’ottimismo) è stato un progetto realizzato per la Biennale d’Arte di Valencia in Spagna e poi ha dato il nome alla Solares Fondazione delle Arti. “Solares” in spagnolo significa luogo pieno di sole e descrive i luoghi della città vecchia svuotati delle vecchie costruzioni, in attesa di una nuova destinazione. Questa mostra d’arte contemporanea, a cura di Lorand Hegyi con la direzione di Luigi Settembrini, portò all’installazione di 40 opere site-specific, fuori dai musei, per essere allestite nei quartieri del centro della città storica, con artisti quali Marina Abramovic, Gilbert & George, Michelangelo Pistoletto, Richard Nonas, Wim Delvoye, Ann e Patrick Poirier, Maurizio Nannucci, solo per citarne alcuni.

Da qui parte la storia di una delle più straordinarie fondazioni culturali italiane, “Parma based”, Solares Fondazione delle Arti. Per saperne di più, abbiamo intervistato in esclusiva il suo vulcanico presidente, Andrea Gambetta.

Andrea Gambetta

Ci può tracciare un suo breve profilo professionale?

«Forse la figura in cui mi identifico di più è quella dell’operatore culturale di zavattiniana memoria, ma anche quella del produttore di progetti originali, sia cinematografici che teatrali ed espositivi. In Italia, spesso abbiamo figure professionali in ambito culturale che sono specializzate nei vari ambiti, esperti in fotografia, cinema, teatro, arte contemporanea, musica. Niente di sbagliato in questo, ci mancherebbe, ma il mio, il nostro approccio, con Solares, è sempre stato di tipo multidisciplinare, con interessi che – quando è possibile – comprendono le contaminazioni fra le diverse discipline artistiche».

Quando e perché nasce la Fondazione?

«Abbiamo iniziato a metà anni ’80 con un’associazione tra amici, poi abbiamo fondato una cooperativa culturale più professionale, fino agli inizi del millennio quando abbiamo cominciato ad operare a livello internazionale e c’è stato bisogno di una forma giuridica che fosse più riconoscibile anche per le istituzioni museali (e non solo), con cui abbiamo cominciato a collaborare per realizzare i progetti e proprio la formula della fondazione ci è sembrata la più adatta».

Ci può descrivere la vostra attuale sede da un punto di vista storico-architettonico?

«Siamo all’interno del Parco Ducale di Parma, il giardino voluto da Maria Luigia, polmone verde della città ed esternamente è un’architettura di forma neoclassica realizzata durante il ventennio per ospitare le fiere campionarie. La struttura ha poi subito, nel corso del tempo, diverse modifiche interne, conservando la facciata, fino a diventare l’attuale Teatro al Parco, con 3 sale di spettacolo e spazi espositivi, per poter ospitare attività teatrali, laboratori, proiezioni e mostre, con dimensioni di accoglienza per le varie manifestazioni: andiamo dalla sala grande con 480 posti, alla sala media da 150 spettatori, fino a dimensioni più intime, con la sala piccola da 70 sedute per le prove ed iniziative di letture di fiabe o presentazioni di libri».

Parliamo della vostra prima anima, quella del Teatro delle Briciole. Come nasce? Quali sono le sue caratteristiche distintive?

«La compagnia teatrale è stata fondata nel 1976 da Maurizio Bercini, Letizia Quintavalla e Bruno Stori e il ramo d’azienda è stato acquisito da Solares nel 2007. Siamo uno dei maggiori centri di produzione per il teatro infanzia e ragazzi, con convenzioni ministeriali, regionali e comunali. Il nome del Teatro delle Briciole è molto conosciuto perché è stata una delle prime compagnie italiane che si sono occupate di spettacoli specifici creati per i bambini e le bambine, e operiamo con le famiglie e con le scuole di ogni ordine e grado.

Ci tengo a citare due spettacoli che abbiamo recentemente prodotto: “Cide” con la regia di Maurizio Bercini e la drammaturgia di Marina Allegri, prodotto in collaborazione con l’Istituto Cervi, sulla storia di papà Alcide Cervi e dei suoi 7 figli e “La Migrazione degli animali” della compagnia Rodisio che è una delle importanti residenze artistiche a Solares, con la regia di Manuela Capece e Davide Doro. Il primo spettacolo racconta una storia di resistenza attraverso i doni fatti a papà Cervi, mentre il secondo riflette su un viaggio degli animali della foresta, metafora degli spostamenti a cui è costretta parte dell’umanità.

L’esperienza teatrale per l’infanzia è importante proprio per la sua partecipazione ad un racconto che li vede testimoni del “messa in scena dal vivo”, su argomenti e riflessioni formative e le reazioni dei bambini agli spettacoli, con commenti in diretta e partecipazione attiva, rimane una delle maggiori soddisfazioni per l’attività teatrale».

Parliamo ora della vostra factory interna. Voi avete un laboratorio di scenotecnica interno. Producete scenografie oltre che per i vostri spettacoli, anche per clienti esterni?

«L’attività del laboratorio di scenotecnica è principalmente rivolta a necessità interne degli spettacoli teatrali o per gli allestimenti espositivi che realizziamo in Italia, ma quando ci sono necessità specifiche legate alla realizzazione di un progetto di artwork con artisti o designer, siamo attrezzati per fornire supporto e professionalità per la lavorazione del legno, dei metalli e delle parti elettriche necessarie.

Per esempio, abbiamo realizzato con Michelangelo Pistoletto un’installazione intitolata “Hunger” per il museo di Busan in Corea o il gruppo scultoreo “Smokestack Buildings with Frozen Fireworks” per l’artista americano Dennis Oppenheim o ancora un grande “Cirro” di Denis Santachiara che è una enorme lampada sospesa a forma di nuvola con tanto di lampi di luce interna, esposta a Mosca per il Salone del Mobile di Cosmit ed alla Biennale del design di Saint-Etienne.

Gli artisti possono lavorare con in nostri tecnici, fino alla piena soddisfazione della realizzazione dell’opera finale. Ricordo lo stupore dei responsabili della Walt Disney per una mostra a cura di Marcello Garofalo, quando abbiamo realizzato – a dimensione reale – la tavolata del thè da “Alice nel paese delle meraviglie”, dai disegni originali di Mary Blair, con tanto di tazze sovrapposte di ceramiche e teiere senza beccuccio».

Oltre alle scenografie, voi avete un curriculum straordinario di installazioni site-specific realizzate per grandi artisti…

«Sì. Per Pistoletto ricoprimmo la facciata di una casa con schegge di specchio ed era bellissima perché rifletteva a pezzi il cielo e la zona circostante, per Richard Nonas, installammo un cortile pieno di traversine di legno per i binari del treno e per Dennis Oppenheim, uno degli artisti con cui abbiamo maggiormente lavorato, abbiamo realizzato sculture site-specific come “Martian Rock”, in metallo e plastiche colorate, in cui il visitatore poteva attraversare la scultura, oppure l’installazione “Black” con pentole e caffettiere in acciaio nero alte tre metri, mentre per la corte open air del museo Riso a Palermo la struttura “Smokestack” con torri in acciaio e macchina del fumo. Ma anche le scritte al neon realizzate per Maurizio Nannucci o le installazioni luminose di un torrione di un vecchio palazzo dell’artista coreana Sooja Kim. Per un’artista francese abbiamo scolpito una scultura in ghiaccio e al museo IVAM abbiamo creato una stanza freezer per Gaetano Pesce».

Tra le vostre realizzazioni ci sono poi molti progetti di cross-over con la fotografia di Wim Wenders, ce li può raccontare?

«Con Wenders abbiamo iniziato la collaborazione nel 1997 per una sua mostra fotografica alla Galleria Nazionale di Parma e una sua retrospettiva cinematografica completa. Abbiamo poi portato le sue opere in molte città italiane e all’estero. La collaborazione si è intensificata con il progetto del documentario “Il Sale della Terra” sul fotografo Sebastião Salgado, film ideato e coprodotto da Solares con Francia, Germania e Brasile. Un film con cui abbiamo vinto il Festival di Cannes e che ci ha portato a essere candidati nella cinquina dei documentari ai premi Oscar di Los Angeles.

La collaborazione è poi proseguita con il film “Papa Francesco – Un uomo di parola”, coprodotto con il Vaticano, con la Svizzera, Germania e Francia, realizzato grazie agli amici produttori Samanta Gandolfi Branca e Alessandro Lo Monaco. Un’esperienza fino a quel momento storico, completamente inedita e davvero toccante, con un Pontefice che, per la prima volta, racconta in un documentario la sua visione del mondo».

E con Emir Kusturica?

«Tutto il progetto musicale della Emir Kusturica & No Smoking Orchestra nasce con noi e anche il film documentario “Super 8 Stories” su quell’esperienza, che è stato presentato al Festival di Berlino. Con Emir – che è anche il presidente onorario della fondazione – ci lega una profonda amicizia di lunga data e sono più di vent’anni che collaboriamo su tanti fronti, dall’organizzazione dei concerti alle mostre di fotografie dai set, dalle master-class di cinema alle presentazioni dei suoi libri. Un uomo forte e di carattere, generoso e propositivo, grande appassionato di Fellini e del cinema italiano».

E le installazioni d’arte contemporanea di Patti Smith?

«Patti Smith ha partecipato – grazie a Rita Zappador – a una mostra intitolata “Diavolo del focolare” alla Triennale di Milano realizzata per Cosmit, con una sua installazione inedita, una stanza rossa in cui aveva appeso dei quadri di Marco Tirelli (con cui è molto amica) e inserito alcuni mobili – tavoli, sedie, un letto, coperti da lenzuoli bianchi –, su cui aveva scritto  di suo pugno poesie, citazioni e racconti. Una straordinaria artista, di rara sensibilità che, contenta del risultato che avevamo realizzato, ha regalato – a sorpresa – una piccola performance concertistica con canto e chitarra, dedicata ai lavoratori che si erano impegnati per la realizzazione dell’esposizione».

E le foto dal set di Full Metal Jacket scattate da Matthew Modine?

«Matthew Modine è stato una delle pochissime persone autorizzate da Stanley Kubrick a scattare le foto sul set del film e, interpretando Joker che da soldato/reporter aveva una macchina fotografica al collo, ha potuto farlo da un punto di vista inedito. Abbiamo scelto 800 foto, poi ne abbiamo selezionate 400, poi le migliori 100, abbiamo digitalizzato e restaurato le immagini e fatto un libro, diario dell’esperienza attoriale di FMJ e una mostra».

Vi occupate anche di riscoprire e valorizzare archivi di grandi autori?

«Collaboriamo con molti collezionisti e archivi per la realizzazione di esposizioni e manifestazioni culturali e in Italia ci sono davvero dei patrimoni culturali da valorizzare, come in pochi altri paesi al mondo. Abbiamo collaborato a lungo con la famiglia Bertolucci e siamo attivi per la promozione del patrimonio con la nuova Fondazione Bernardo Bertolucci, presieduta da Valentina Ricciardelli. Ci hanno anche affidato le opere della collezione Zaru su Nam June Paik, solo per fare un esempio. Tra le raccolte di straordinario valore d’immagine che abbiamo circuitato c’è l’Archivio fotografico di Marcello Geppetti, un grande reporter erroneamente inserito solo nella categoria dei paparazzi, che abbiamo promosso a Londra, a Toronto, a Madrid, a Parigi e al Museo Nazionale del Cinema di Torino in una mostra su La Dolce Vita».

Siete molto attivi anche nella produzione di documentari e film. Ci può parlare dell’incontro con Salgado e della coproduzione del film “Il Sale della Terra”?

«Con Salgado abbiamo realizzato due progetti inediti. Il primo a Parma per ritrarre la città durante le celebrazioni del Centenario Verdiano che ha portato a una mostra e a una pubblicazione con testi di Bernardo Bertolucci, Josè Saramago e Pino Cacucci (adesso è un catalogo ambito dai collezionisti). E un secondo progetto per Valencia dove il tema era la città ideale e Salgado ha affermato che la città ideale non è fatta di palazzi, belle strade, piazze, ma dalle persone, realizzando più di dodicimila ritratti, tra gli abitanti di tutti i ceti sociali e selezionandone poi 100 per l’esposizione.

Quando poi Wenders mi disse che il suo fotografo preferito era Salgado, gli proposi di farne un film e organizzammo con Solares una cena a Parigi a casa di Sebastião. Poi andò tutto in porto anche con il coinvolgimento di Juliano Ribeiro Salgado che lo aveva seguito durante la realizzazione di “Genesis”, nei luoghi più sperduti del mondo, documentando il suo lavoro».

Avete anche prodotto Wim Wenders per un documentario con un protagonista d’eccezione? Ci può raccontare questo progetto, e ha qualche aneddoto al riguardo?

«Il documentario su Papa Francesco è stato distribuito nel mondo da Focus Universal ed è la testimonianza di un incontro straordinario, progetto fortemente voluto da don Dario Viganò. È stato presentato come evento speciale al Festival del Cinema di Cannes. Dopo la prima lunga intervista, papa Francesco ha voluto salutare personalmente tutti i membri della troupe, con un piccolo dono per tutti gli operatori, fino al macchinista. Poi ha detto, scherzando direttamente in spagnolo: “Mi piace molto questo progetto perché può essere che depositi dei piccoli semi buoni dappertutto. E se non sarà così che si disperda nel vento!”. Una grande sua paterna risata ha immediatamente sciolto la tensione e i suoi saluti e la sua benedizione (lo dico da ateo) ci hanno davvero emozionato».

Siete molto attivi anche nell’ideazione di mostre. In particolare, com’è nata quella su Dario Argento?

«La mostra, a cura di Domenico De Gaetano e Marcello Garofalo al Museo del Cinema di Torino, è stata la più importante sull’opera di Dario Argento, analizzando tutti i suoi film attraverso le immagini dai set, i fotogrammi, gli oggetti, i costumi di scena, le sceneggiature, i manifesti e le memorabilia, con un catalogo di notevole pregio e un enorme successo di pubblico, con numeri da pre-pandemia. Siamo molto contenti perché abbiamo realizzato anche un piccolo documentario con la regia di Andrea Dezzi, con una lunga intervista al regista e adesso la mostra proseguirà il suo percorso all’estero».

Avete una collezione d’arte e fotografia. Di quali autori e opere si compone?

«La collezione d’arte di Solares è composta soprattutto degli artisti con cui abbiamo collaborato o di cui abbiamo organizzato degli eventi tra cui, per la fotografia, Wim Wenders,  Sebastião Salgado, Dennis Hopper, Evgenji Chaldej, Bruce Chatwin, Lisetta Carmi, Robert Capa, Guido Harari, Tano D’Amico, Peter Menzel, Tazio Secchiaroli, Michael Nyman, Marcello Geppetti, Beat Presser. Mentre per l’arte conemporanea abbiamo opere e disegni di Dennis Oppenheim, Michelangelo Pistoletto, Cesare Zavattini, Ilja Kabakov, Gaetano Pesce, Francesco Tullio Altan, Roberto Baldazzini, Pascal Pinaud, Bertrand Lavier, Sejla Kameric, Mihail Milunovic, Sandor Pinczehelyi, solo per fare qualche nome».

Prossimi progetti in cantiere?

«Stiamo preparando la nuova stagione teatrale con i nuovi progetti produttivi. Inoltre stiamo progettando una bella mostra, con uno dei maggiori illustratori italiani per gli eroi del fumetto della Marvel che si chiama Simone Bianchi e una grande esposizione dei dipinti di Hermann Nitsch, per il prossimo anno. Poi siamo anche in pre-produzione su un progetto di film di finzione, di cui è in corso la stesura della sceneggiatura, ma non siamo ancora pronti per la comunicazione».

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