23 settembre 2022

Storia e attualità del manifesto pubblicitario: la mostra a Napoli

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La galleria FrameArsArtes presenta una mostra di cartelloni pubblicitari dagli anni ’50 ai giorni nostri, ripercorrendo la storia e l’attualità del rapporto critico tra uomo e immagine

Fortunato Depero, Campari

A Napoli, nella galleria di arte contemporanea FrameArsArtes, al corso Vittorio Emanuele 525, apre “PosterArt”, una mostra, a cura di Paola Pozzi, di cartelloni pubblicitari datati dagli anni ‘50 del secolo scorso ai primi del Duemila, realizzati da artisti, grafici e illustratori come Haring, Warhol, Depero, Basquiat, Gruau, Cappiello, Boccassile, Grignani, Christo, Aslan, Freres, Commarmond, De Felipe, Dudovich, Lichtenstein, Quarez, Tarras, Nara.

Questi cartelloni nacquero a Parigi e si chiamarono affiches, perché venivano affissi sui muri urbani. Nasceva così la pubblicità realizzata attraverso l’immagine, che oggi conosciamo bene nella versione televisiva, di cui l’industria e la politica, supportate dalla conoscenza scientifica della psicologia delle masse, si servono. Ma allora, tra l’Otto e il Novecento, interpretarono il carattere brillante e scanzonato della Belle Époque.

Questi cartelloni sono espressione d’arte? Dipende dall’autore. Lo sono se questi è un vero artista, che esprime con sincerità la sua ricchezza interiore, le osservazioni e il sentimento della vita che gli si svolge intorno e di cui fa parte.

Henri de Toulouse Lautrec, l’artista del cartellone

Tra costoro ci fu un grande artista, Henri de Toulouse Lautrec (1864-1901), che forse non fu il primo ma certo fu uno dei primi cartellonisti europei. Le sue condizioni fisiche – era stato colpito da una malattia genetica alle ossa che lo avevano reso deforme – lo avrebbero portato a una profonda infelicità ma, invece, la gioia di vivere e l’amore per la libertà non lo abbandoneranno mai. Era un sincero contestatore della tradizionale nobiltà alla quale apparteneva e lo dimostrò con la sua vita, che non fu quella comoda tra i castelli di famiglia ma quella da bohemien a Montmartre, la collina alla periferia di Parigi, che aveva cafè chantants, cabarets e locali che rivelavano nel nome le loro origini agresti, come le Moulin de la Galette, Le lapin agile e il famosissimo Moulin Rouge, che diventarono spesso oggetto dei suoi cartelloni.

Lautrec fu l’interprete dello scanzonato demi-monde parigino a lui contemporaneo. Non amava il sentimentalismo né l’amore sentimentale e preferiva il sesso facile, come quello che offriva La Goulue, la golosa, protagonista di tante sue affiches, la ballerina che inventava il can-can, il vivace ballo dal ritmo veloce della vita moderna, rapido come il tratto sintetico e brillante dei suoi dipinti. Henri divenne pubblicitario per accontentare un amico chansonnier, Aristide Bruant, che gli raccontò – era il 1885 – che desiderava cantare a Les Ambassadeurs, un importante locale parigino, i cui padroni, però, per consentire di prestarlo al concerto, pretendevano che l’evento fosse pubblicizzato da un dipinto di Toulouse Lautrec. Fu così che questi realizzò il suo primo manifesto pubblicitario, seguito poi da tanti altri che lo resero famoso e lo portarono a essere considerato come colui che aveva aperto i confini tra arte e pubblicità.

La Francia dell’epoca, dopo la disfatta della guerra franco-prussiana e la caduta del Secondo Impero, quello di Napoleone III, viveva la sua Terza Repubblica. L’Italia, invece, l’imposizione forzata della sua Unità. In pittura, l’Impressionismo rasserenante, allontanandosi dalla sensibilità naturalistica di Claude Monet (1840-1926) e di Edouard Manet (1832-1883), preludeva all’espressionismo, che poi diventerà, nella sua posteriore versione nordica e tedesca, cupo e drammatico. Il sentimentalismo ottocentesco durerà a lungo, divenendo sempre più diffuso ma falso e di maniera nella vita come nell’arte.

L’aprirsi del Novecento sembra presentire la tragedia della catastrofe di due Guerre Mondiali. E l’immagine si affermerà non solo nell’arte figurativa ma anche nella concezione de “la vita come immagine”, nell’estetismo letterario elegantemente sovversivo del dandismo dell’irlandese Oscar Wilde (1854-1900), che si opponeva al severo moralismo della regina Vittoria (1819-1901), regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda nonché Imperatrice d’India. Ma già Charles Baudelaire (1821-1867), l’autore di “Les fleurs du mal”, ostentava il disprezzo per il perbenismo e auspicava la perversione della morale tradizionale, della quale profetizzava nel prossimo futuro il crollo. Tutto era già in fieri ma il mondo non se ne era accorto.

La civilità della pubblicità

Oggi, avanzando il Duemila, la vecchia struttura sociale, ormai in disuso, tende a essere sostituita da una nuova compagine che, tuttavia, viene anch’essa contestata e non offre ancora solidi appigli.

Ci troviamo, frastornati, nella cosiddetta “civiltà dell’immagine”, bombardati da tante immagini che è difficile coordinare in un contesto armonico. L’artigiano creatore sta perdendo il suo ruolo e tende a essere trasformato in quel robot già da tempo rappresentato da Charlie Chaplin in Charlot. Il suo lavoro, e lui stesso, viene a essere meccanizzato, mentre il disegnatore industriale ammannisce al popolo una realtà seriale già pronta, senza la fatica della scelta. Anche la lettura, che comportava l’impegno della immaginazione personale di un fatto, tende a essere sostituita dall’immagine.

La cultura è sempre meno salda e impegnativa e l’istruzione tende a essere facilitata. Nella didattica saranno sempre più diffusi gli schemi grafici già pronti. Oggi sembra che sia stata eliminata l’esigenza della riflessione e che tutto diventi facile apparenza, immagine priva di contenuto. Anche i sentimenti vanno a diventare di maniera, la parola stessa viene a essere svalutata, ridotta nella sua versione calligrafica, anch’essa divenuta immagine, la melodia si perde nel ritmo.

Ancora rimane la piacevolezza nelle immagini pubblicitarie. È il loro mestiere, la loro intrinseca virtù, quella di pubblicizzare la bontà di un prodotto. Aiuta a questo scopo il ricorrere all’immagine della femminilità, della dolcezza e dell’eleganza, quella che forse, nell’oggi più immediato, non potrebbe facilmente trovarsi.

Immagini da salotto

Ma qui, nelle salette della FrameArsArtes, i visitatori potranno ricevere un bagno di colori da queste affiches di pochi anni fa. Colori forti, senza sfumature né incertezze nelle campiture decise, che seguono il disegno netto, vivace e rapido, come il tempo che volevano raffigurare. Le opere non sono pezzi unici ma neanche copie, giacché ognuna è come un elemento di un parto plurigemellare: è un multiplo.

Questi cartelloni non saranno posti nel “salotto buono”, anche perché il “salotto buono” va scomparendo, insieme alla casa tradizionale abitata da un nucleo familiare, che sarà sempre più spesso sostituita da una monocamera semplificata al massimo, strettamente funzionale, in cui l’uomo singolo potrà vivere senza pensieri. Anche perché gli verrà risparmiata la fatica di pensare.

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