12 gennaio 2013

Un’ambasciata che va contemporary

 
Non è la prima volta che l’ambasciata italiana a Berlino si apre alla creatività. Con la mostra “Embassy goes Contemporary” segna una collaborazione con il “vicino” Museion di Bolzano, che nella capitale tedesca ha portato ventotto opere di artisti della propria collezione. Tra gli altri: Arienti, Bonvicini, Cariello, Fliri, Gamper, Francesco Jodice, Roccasalva, Stocker e Vascellari. Ecco la cronaca della visita in compagnia di Letizia Ragaglia

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«È in occasione di una mia visita alla mostra Italiens, dove venivano presentate opere di artisti italiani residenti a Berlino, che è nato il contatto tra l’Ambasciata d’Italia e Museion. Ho aderito con entusiasmo alla richiesta di presentare a Berlino una scelta di opere della nostra collezione ed è sembrato opportuno a tutti mantenere il felice connubio tra opere giovani e ambienti storici del palazzo in via Tiergarten». Così, Letizia Ragaglia direttrice di Museion, il museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano, spiega com’è nata l’idea di curare negli spazi dell’Ambasciata d’Italia a Berlino la mostra “Embassy goes Contemporary” (fino al 28 aprile 2013, per la visita iscrizione obbligatoria presso il sito http://www.ambberlino.esteri.it/). 

Ci troviamo in un luogo istituzionale per eccellenza che rappresenta lo Stato italiano all’estero, dotato di un’architettura in stile marcatamente fascista, voluto da Hitler e finito di costruire durante la guerra, ma inaugurato come sede dell’Ambasciata italiana solo nel 2003. Un arredamento vistoso e saturo, ricco di elementi nel quale non si può seguire un rigoroso criterio di allestimento museale. Le 28 opere in mostra provengono tutte dagli ultimi dieci anni di collezione del Museion. Infatti, il museo cerca di acquisire almeno un’opera per ogni artista che espone: solitamente l’opera che viene prodotta appositamente per la mostra realizzata nel museo. Eppure, alcune opere installate, ci racconta Letizia Ragaglia, «sembrano essere in ambasciata da sempre e solo ad uno sguardo più attento ci si rende conto dello scarto tra antico e contemporaneo. Altre innescano una subitanea “irritazione”, proprio per la voluta tensione che si crea tra i linguaggi di diverse epoche, come per esempio nel caso del neon di Claire Fontaine nella sala degli arazzi».  
  

L’opera realizzata con il neon, Arbeit macht Kapital è un pugno nello stomaco della memoria. Da un lato evoca l’indimenticabile scritta per il popolo tedesco, e impressa nella storia del nazismo, posta sui cancelli dei campi di concentramento e, dall’altro, cita termini ormai onnipresenti nel linguaggio globalizzato delle attuali democrazie (lavoro potere capitale). La si incontra subito dopo aver impegnato il proprio sguardo nell’androne dell’ambasciata attraverso l’opera di Hilario Isola e Matteo Norzi. Parliamo di un piedistallo, fatto di materiale plastico che ingloba un telescopio, in questo caso orientato verso una finestra che porta appena entrati a guardare in un punto fuori dallo spazio. 

L’adattamento dell’opera a qualsiasi situazione espositiva esprime una vulnerabilità e una mobilità senza limiti interpretativi. Si può dire che il suo significato resti aperto proprio per essere elaborato ad ogni occasione, così come il materiale utilizzato (la plastilina nera) non sedimenta né cristallizza mai, essendo continuamente trasformabile ed adattabile. L’opera dichiara un’immaginazione che uscendo dai confini architettonici e mentali, si rinnova continuamente, destinata pertanto ad assumere diverse forme e visioni, come in una metamorfosi continua.
Fotografia e video costituiscono una parte importante della selezione: dai tableaux vivant di Marcello Maloberti alla video animazione in bianco e nero di Philipp Messner, che riporta a ritmo serrato tante immagini quante sono le bandiere riconosciute ufficialmente dall’ONU al momento della realizzazione dell’opera e che azzera il significato intrinseco di ogni singola immagine di bandiera attraverso il mono colore e il ritmo ripetuto, unificandolo in uno sguardo comune ed alterato.

Tagliente e ironica l’idea di posizionare l’opera di goldiechiari, che richiama iconograficamente le celebri Ninfee di Monet, accanto al tavolo usato normalmente per sontuosi buffet (come è stato per l’inaugurazione della mostra). Un vero e proprio trompe l’oeil fotografico, che inganna lo sguardo abituato agli stereotipi dell’immaginario occidentale, svelando ad una più attenta visione, uno stagno popolato da ninfee costituite da sacchetti di plastica galleggianti tra melma e spazzatura.
Con questa iniziativa Museion sfrutta la sua caratteristica di istituzione italiana situata in una area di confine che lavora proponendo idee e percorsi espositivi di qualità, nonostante le difficoltà economiche e politiche legate al nostro Paese attenuate  dall’appartenere a una Provincia autonoma. Non a caso, oltre alla mostra nell’Ambasciata Italiana a Berlino, ha intrecciato molte collaborazioni in Europa. Racconta Letizia Ragaglia: «Le istituzioni con cui abbiamo maggiormente collaborato e che sento particolarmente vicine sono Wiels a Bruxelles e la Kunsthalle Fridericianum a Kassel. In passato il museo MADRE di Napoli ha presentato molti artisti che hanno lavorato anche a Museion: spero che con la nuova direzione di Andrea Viliani si possano fare scelte e progetti comuni». 

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