26 febbraio 2003

fino al 15.IV.2003 Joan Jonas Roma, American Academy

 
Tra sfingi egiziane e gioco d’azzardo, Joan Jonas riporta alla luce il mito di Elena di Troia. Rimescolando abilmente spazio, tempo e registri narrativi, in un video. Con un lieto fine che scagiona l’affascinante eroina...

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L’ombra violetta di Joan Jonas si staglia allungandosi sulla sabbia bianca, mentre la sua mano affusolata traccia lines in the sand. Incidendo la terra, l’artista americana intraprende un viaggio tra statue egizie imponenti ed eterne e smodate riproduzioni delle stesse a Las Vegas; ricordi personali fatti di oggetti d’affezione che ricorrono in luoghi e momenti diversi (come il ritratto di una donna), ma anche memoria storica dell’Egitto che con la sua arte e le sue rocce ancestrali sembra essersi cristallizzata in una dimensione senza tempo. joan jonas, lines in the sand, 2002, still dal video
Il silenzio e la sacralità di una civiltà millenaria si contrappongono allo sfavillante chiasso dei casinò. Ispirandosi all’opera della scrittrice Hilda Doolittle, Jonas colloca la mitica Elena non a Troia ma in Egitto: She was never there recita insistentemente una scritta nel video. In tal modo l’eorina viene deresponsabilizzata dall’aver causato la guerra tra Greci e Troiani e diventa un simulacro che Achille e Paride si illudono di avvistare, evanescente come il drappo bianco agitato da Jonas in un moderno contesto metropolitano. Dunque una poesia che smaschera una realtà fatta di interessi economici e non cerca di edulcorarla con il mito. Ed una maschera insieme ad una sfera di cristallo tornano spesso nel video: forse lo strumento di un veggente, in cui poter vedere passato presente e futuro ma attraverso il quale la visione può anche apparire deformata. Molteplici sono gli strumenti ed i registri utilizzati dall’artista. A cominciare dal corpo, che si produce in azioni fedelmente registrate dalla telecamera, recuperando il concetto di video testimone di fuggevoli perfomance. Le azioni mirano spesso ad imprimere segni sul luogo circostante oppure su oggetti (sabbia, rocce antiche, lastre). Questijoan jonas, lines in the sand, 2002, still dal videogesti trasmettono un desiderio quasi ossessivo di lasciare un’impronta del proprio passaggio, forse una traccia per i posteri. Dissotterrare un televisore, poi, ci riporta ai primordi della videoarte, quando questo oggetto era spesso ironicamente coinvolto nelle performance. Ne emerge un paradosso spazio-temporale: un prodotto moderno rinvenuto al pari di un reperto archeologico! Passato e presente, confondendosi, rendono impossibile stabilire un consequenzialità narrativa. Anche le tecniche di ripresa sono diversificate e ben amalgamate tra loro: si passa dalla sfuggente inquadratura effettuata mentre si viaggia in auto, on the road, tipica della tradizione filmica, a prospettive improbabili e spesso distorte magari dall’interpolazione della sfera di cristallo che crea sorprendenti effetti ottici.
Effimera è la performance, effimero è l’orma lasciata sulla sabbia o su una lastra con il gesso, effimero può essere il ricordo ed anche il mito. Ma Joan Jonas ha fissato tutto ciò su un resistente DVD e ha sottratto Elena di Troia alla sua antica ignominia: she was never there. Elena ha un alibi che la scagiona: è salva!

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Joan Jonas – Lines in the sand, a cura di Cornelia Lauf
American Academy in Rome, via Angelo Masina 5 (Gianicolo), 065810788, www.aarome.org , gio 16-19 sab 15-19


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