26 aprile 2016

Fino al 15.V.2016 Jean-Pierre Velly. L’ombra e la luce Palazzo Poli, Roma

 

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Un pomeriggio di maggio del 1990 l’artista francese Jean-Pierre Velly, uno degli ultimi grandi incisori del Novecento, scompariva a soli 46 anni durante una gita in barca, inghiottito dalle acque del lago di Bracciano. Il suo corpo non sarà mai ritrovato. Così l’opera dell’artista (Audierne 1943 – Trevignano 1990), da sempre pervasa  da un senso di mistero, inquietudine e presagio, appare suggellata da questa fine tragica. Difficile, del resto, sottrarsi al fascino perturbante dell’immaginario, tipicamente «nordico», di Velly, creatore di un mondo notturno e visionario, maturato all’ombra dei maestri del passato, come Bosch, Dürer, Cranach, Grünewald, Rembrandt, Turner e i Simbolisti. Maestro del bulino, certo, Velly non è mai stato un artista popolare, ma ha avuto grandi estimatori in una cerchia ristretta di intenditori, come Balthus, Moravia, Praz, Sciascia e Giuliano de Marsanich, proprietario della galleria romana Don Chisciotte. 
A ventitré anni dall’importante retrospettiva dedicata all’artista da Villa Medici (1993), l’occasione di vedere nuovamente riunite a Roma, nelle sale di Palazzo Poli,  ottanta opere tra incisioni, disegni, acquerelli e olii di questo singolare maestro bretone è offerta ora dalla splendida mostra “Jean-Pierre Velly. L’ombra e la luce” curata in modo impeccabile da Pier Luigi Berto, Ginevra Mariani e Marco Nocca. L’iniziativa è il frutto di un progetto congiunto tra l’Accademia di belle arti di Roma, diretta da Tiziana D’Acchille e l’Istituto centrale per la grafica, guidato da Antonella Fusco. Questa collaborazione esemplare tra due istituzioni ha permesso, tra l’altro, di restaurare le matrici in rame di Velly nel corso di un seminario cui hanno partecipato gli studenti dell’Accademia. La mostra stessa ha poi una spiccata valenza didattica perché i disegni e la grafica di Velly offrono una ricca panoramica sulle antiche tecniche artistiche e una sezione specifica illustra il suo modus operandi. 
Jean-Pierre Velly, Autoritratto, 1988, olio su tela su tavola, collezione Barilla
Introduce al percorso espositivo la celebre incisione Melencolia di Albrecht Dürer, un’icona che ha ossessionato Velly per tutta la vita. L’itinerario è quindi scandito in tre sezioni ispirate al dispiegarsi del processo alchemico (nigredo, albedo, rubedo), che conduce dal buio alla luce. E anche il suo atelier di Formello, piccolo borgo presso Roma, dove l’artista si stabilisce con la famiglia nel 1970, dopo essere giunto in Italia quale vincitore del Grand Prix de Rome (1966), somigliava all’antro di un alchimista. Velly, infatti, oltre a costruirsi da sé gli strumenti del mestiere, disegnava tutto dal vero compresi gli insetti, i ratti e i pipistrelli protagonisti di tanti suoi lavori, animali che amava proprio perché reietti. Nella sua opera si coglie inoltre la preoccupazione per un presente sempre più soffocato dalle cose abbandonate dalla società dei consumi. E la miriade di oggetti (fino a tremila) raffigurati ammassati in certe sue incisioni rivela una sensibilità moderna, in sintonia con le coeve accumulazioni di Arman.
Accompagna la mostra un catalogo, ampiamente illustrato, edito da «L’Erma» di Bretschneider con testi critici, oltre che dei curatori, di Marco Di Capua, Lucia Ghedin, Pierre Higonnet (collezionista appassionato dell’opera di Velly, cui ha consacrato il sito www.velly.org), Giovanna Scaloni, Vittorio Sgarbi, Gabriele Simongini e Catherine Velly, figlia dell’artista.
Flavia Matitti
mostra visitata il 22 marzo
Dal 22 marzo al 15 maggio 2016
Jean-Pierre Velly. L’ombra e la luce
Palazzo Poli, 
Via Poli, 54 Roma
Orari: dal martedì alla domenica dalle 10,00 alle 19,00
Info: www.grafica.beniculturali.it

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