17 febbraio 2006

fino al 2.III.2006 Marco Delogu – Italianità Roma, Temple University

 
Volti che raccontano storie. “Facce di amicizia, di precisione, di prudenza, di dolcezza, di idealità…”, scriveva Whitman. C’è chi ha il viso disegnato da mappature di rughe, chi il sorriso sornione...

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Quello che interessa veramente a Marco Delogu (Roma, 1960) non è tanto l’identità del singolo, che ha comunque un nome e un cognome -non c’è giudizio, o meglio, pregiudizio nei suoi scatti- quanto, piuttosto, il legame che unisce persone diverse nel vivere un’esperienza comune. Un forte coinvolgimento che è prima di tutto emotivo. Ecco allora che lo scenario in cui questi volti/corpi si muovono è del tutto asettico, perché indifferente è la loro collocazione spazio-temporale.
L’Italianità che Delogu racconta in questa mostra è una sorta di compendio di tutti i suoi lavori. Ventiquattro scatti stampati in grande formato, di cui quattro a colori (due sono i ritratti delle carcerate Barbara Ferrandu e Antonietta Pistola). C’è qualche immagine dei carcerati di Rebibbia (sono state realizzate in due tempi diversi, gli uomini nel 1998 e le donne nel 2002/2003), ci sono i contadini veneti che hanno bonificato l’agro pontino (1994), i cardinali (2000), i cacciatori di cinghiali e i pastori sardi emigrati in Maremma (2005), gli operai dei mercati generali e delle officine dei tram (2003), i fantini del palio di Siena (1998), una famiglia rom (1999).
Tutto parte, però, dalle fotografie dei volti di due statue romane del 1988, Salonina e Alessandro Severo. “Il lavoro sulle statue romane nasce da una mia specie di ossessione visiva”, spiega Delogu, “infatti mi capita spesso quando sono sul tram o in metropolitana, o camminando in giro per Roma di soffermarmi a guardare la gente e di ritrovare nei loro volti quelli degli antichi romani, la faccia di Adriano, di Tiberio o di Settimio Severo…”.
Molti dei lavori del fotografo che è stato l’ideatore, cinque anni fa, di FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma, di cui è attualmente il direttore artistico, nascono da un suo vissuto personale: “Il lavoro sui cavalli e sui fantini del Palio di Siena riunisce sia la mia origine sarda, sia la Marco Delogu, Senada, Roma 1999 © Marco Delogu passione che mi ha trasmesso mio padre per i cavalli”, spiega. “Anche quando sono andato a fotografare i contadini della pontina ho avuto modo di percepire quell’appartenenza alla terra, e quel senso di conquista nella sfida alla malaria di cui avevo sentito raccontare in famiglia. Così il lavoro sui cardinali, per via di uno zio di mia madre che era un arcivescovo piuttosto conosciuto. In carcere, poi, parecchi miei amici ci sono finiti per motivi politici, alla fine degli anni ’70. Così quando Edoardo Albinati, che da anni insegna italiano a Rebibbia, mi ha offerto la possibilità di entrarci non in modo retorico né banale, l’ho seguito fidandomi della sua intelligenza e della sua grande esperienza.”
Per ogni volto un nome, una storia. Che sia dei fratelli Michele e Luciano Ardu, di Nazzareno Zambotti, di Anna Furlan, di Sebastiano Deledda detto Legno, della giovane Senada che allatta il suo bimbo. Un solo volto è identificato dalle iniziali: “S.G. sembrava un attore. Mi ricordava Burt Reynolds nel film ‘Quella sporca dozzina’. Stranamente proprio lui, che girava sempre per il carcere con felpe su cui era scritto il suo nome e cognome, è stato l’unico a non volere che fosse indicata la sua identità, se non con le iniziali.”

manuela de leonardis
mostra visitata il 14 febbraio 2006


Marco Delogu. Italianità – a cura di Pia Candinas
Roma, Galleria della Temple University, Lungotevere Arnaldo da Brescia 15
Orario lun.-ven. 10.00-19.30; sab.-dom. 12.00-19.30 (sab. 25 e dom. 26 galleria chiusa) – ingresso libero – per informazioni tel. 06-3202808 (int. 204) – fax 06-3202583  – www.templerome.it


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