31 ottobre 2001

fino al 20.I.2002 Orazio e Artemisia Gentileschi Roma, Palazzo Venezia

 
Probabilmente si rincontrarono a Londra intorno al 1638. Fu l’ultima volta. Ora una mostra racconta, attraverso un’ampia selezione di opere, la vicenda di Orazio e Artemisia Gentileschi. Si conclude oggi la grande rassegna romana...

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A seguirne i viaggi, tracciando gli spostamenti su una cartina geografica, i percorsi di Orazio e Artemisia Gentileschi sembrano allontanarsi con l’ostinazione di volersi mai incrociare. Lei abbandona Roma nel 1613, lui parte alla volta di Genova nel 1621, quindi è in Francia tra il 1624 e il ’26, intanto Artemisia è tornata a Roma, poi si è stabilita a Venezia, quindi i documenti ne attestano la presenza a Napoli (1629). Nemmeno l’ultimo incontro a Londra – dove Orazio lavorava alla corte di Carlo I, dal 1626 – ha la certezza di una conferma: loro, il padre e la figlia più conosciuti della storia dell’arte, dopo i fatti fin troppo noti del processo presero le distanze, lavorarono per committenti diversi, ma continuarono a dialogare. Un legame che la mostra romana, la prima monografica dedicata ai Gentileschi, rende tangibile. Due allestimenti consecutivi (incontriamo prima le opere di Orazio, quindi la sezione dedicata ad Artemisia), ordinati secondo il criterio, apparentemente semplicissimo, dell’ordine cronologico, e una lettura in parallelo per confrontare scelte compositive, soggetti, soluzioni cromatiche.Orazio Gentileschi, david che contempla la testa di golia, olio su tela 1610/12 roma, galleria spada
L’esordio di Orazio sulla scena romana è legato alla decorazione della Biblioteca Sistina in Vaticano (1588 – 89), un retaggio tardo manierista che resta come una filigrana sempre percepibile nella costruzione delle figure, nelle tipologie di volti e nelle posizioni ripetute quasi si trattasse dello stesso cartone riutilizzato. I panneggi sono gonfi, la stoffa si piega ed evoca il volume di un corpo, piuttosto che poggiarsi o scivolarci sopra; di Caravaggio ha ripreso più volte l’impianto luminoso delle prime opere, come in quel Riposo durante la fuga d’Egitto (1625 – 26) dove le linee orizzontali che sono l’ossatura della composizione sono l’espediente per rendere quasi insostenibile il peso dei corpi abbandonati.Artemisia Gentileschi, maddalena penitente, olio su tela, 1615/6 firenze, palazzo pitti
L’opera di Artemisia resta legata ad alcune figure da Salomè, a Susanna, a Cleopatra, a Betsabea o alla Maddalena penitente, talvolta sono davvero autoritratti, più spesso si è preteso il riferimento alle drammatiche vicende biografiche. Il rapporto con Orazio è stretto, le donne di Artemisia prepotentemente offrono il corpo nudo, o esaltato dalle vesti alla superficie della tela, in composizioni controllate da una geometria occulta. Fino alle ultime opere proposte, dove la pennellata perde compattezza e il colore si sfalda, sembra frangersi.

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maria cristina bastante
mostra vista il 19.X.2001


“Orazio e Artemisia Gentileschi” a cura di Keith Christiansen, Judith Mann e Rossella Vodret
Palazzo Venezia, via del Plebiscito 118
Tutti i giorni 9 – 19. Lunedì chiuso
Ingresso intero L. 16.000, ridotto L. 12.000
Informazioni e prenotazioni 0632810.
Didattica a cura dell’Associazione Culturale Palladio, tel 0668132260
Catalogo Skira L. 120.000
Fino al 20.I.2002
Orazio e Artemisia Gentileschi
Roma, Palazzo Venezia


[exibart]

7 Commenti

  1. La mostra è davvero bella, semplice nell’allestimento ma ariosa e a “misura d’uomo”. Artemisia sfigura quasi di fronte alla perfezione tecnica e compositiva di Orazio. Finalmente una mostra sul Seicento che non presenta nemmeno un quadro di Caravaggio (anche se il suo spirito aleggia…)!

  2. La prosa di Maria Cristina è purissima poesia; leggendoti, sembra che il gesto di scegliere e legare le parole ti venga facile…
    E’ un incanto il tuo segreto…
    Grazie di esserci.

  3. Il suggerimento di Giulia di Bologna è stato quanto mai felice.
    Anche se i testi presenti in quel sito sono così accademici da far venire il latte alle ginocchia, vi è raccolta un’antologia di opere davvero apprezzabile.
    Per questo ti ringrazio Giulia; la tua segnalazione è stata utilissima.
    L’articolo di Maria Cristina Bastante ci ha illuminato con uno stile ed una competenza davvero ammirevoli.
    Anche in quel sito Janaz non sarebbe soddisfatto della qualità delle immagini, ma a mio modestissimo giudizio Janaz non è un cretino.
    Qui non ho mai incontrato veri cretini, e spero le cose restino così.
    Piuttosto devo confessare che sento l’alone di una certa emulazione sofisticata e lontana dalle cose serie.
    “La stoltezza, l’errore, il peccato, l’avarizia, abitano i nostri spiriti e agitano i nostri corpi; noi nutriamo amabili rimorsi come i mendicanti alimentano i loro insetti.
    I nostri peccati sono testardi, vili i nostri pentimenti; ci facciamo pagare lautamente le nostre confessioni e ritorniamo gai pel sentiero melmoso, convinti d’aver lavato con lagrime miserevoli tutte le nostre macchie.
    È Satana Trismegisto che culla a lungo sul cuscino del male il nostro spirito stregato, svaporando, dotto chimico, il ricco metallo della nostra volontà.
    Il Diavolo regge i fili che ci muovono! Gli oggetti ripugnanti ci affascinano; ogni giorno discendiamo d’un passo verso l’Inferno, senza provare orrore, attraversando tenebre mefitiche.
    Come un vizioso povero che bacia e tetta il seno martoriato d’un’antica puttana, noi al volo rubiamo un piacere clandestino e lo spremiamo con forza, quasi fosse una vecchia arancia.
    Serrato, brulicante come un milione di vermi, un popolo di demoni gavazza nei nostri cervelli, e quando respiriamo, la morte ci scende nei polmoni quale un fiume invisibile dai cupi lamenti.
    Se lo stupro, il veleno, il pugnale, l’incendio, non hanno ancora ricamato con le loro forme piacevoli il canovaccio banale dei nostri miseri destini, è perché non abbiamo, ahimé, un’anima sufficientemente ardita.
    Ma in mezzo agli sciacalli, le pantere, le cagne, le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti, fra i mostri che guaiscono, urlano, grugniscono entro il serraglio infame dei nostri vizi,
    uno ve n’è, più laido, più cattivo, più immondo. Sebbene non faccia grandi gesti, né lanci acute strida, ridurrebbe volentieri la terra a una rovina e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo.
    È la Noia! L’occhio gravato da una lagrima involontaria, sogna patiboli fumando la sua pipa. Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato – tu, ipocrita lettore – mio simile e fratello!
    (Baudelaire – Al lettore dei Fiori del Male)
    Ciao a tutti, Biz.

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