28 gennaio 2009

fino al 21.II.2009 Gilad Efrat Roma, Oredaria

 
A quattro anni di distanza, torna a Roma l’artista israeliano che ha fatto del mondo la sua casa. E presenta un ciclo di nuovi lavori, in cui sottrae il colore alla tela dipinta. Per disegnare strani paesaggi...

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La Galleria Oredaria è diventata il punto di riferimento romano per Gilad Efrat (Beer-Sheva, 1963; vive a New York e Tel Aviv), che qui presentò, quattro anni fa, la personale No man’s land. Ora torna sul tema dei luoghi, ma non intesi come paesaggi dell’anima, bensì come spazi astratti, che potrebbero essere ovunque. Common Places, come recita il titolo della mostra.
Le linee morbide degli ambienti di Oredaria accolgono come nicchie le opere di Efrat, organizzate secondo tre unità narrative e culminanti nella prigione di Ansaar, dove sono reclusi i fondamentalisti dell’omonimo movimento jihadista (Ansaar VII, 2007), unico luogo certo esistente eppure quasi inconsistente, galleggiante in uno spazio monocromatico. Il massimo del silenzio, lungamente cercato in un Medio Oriente invaso dal fragore delle bombe. Ma l’artista israeliano non offre il proprio punto di vista sulla “questione terrorismo”; la sua urgenza è ben altra.
Il colore è il vero protagonista dell’azione di Efrat che, come Michelangelo in scultura, esfolia la tela precedentemente dipinta, quasi a voler dare nuova vita e valore agli strati sottostanti o, come scrive Laura Cherubini, “ridare un presente al passato”, utilizzando la metafora fotografica del negativo, che permette di risalire all’originale.
Gilad Efrat - Untitled II - 2006 - olio su tela - cm 150x250 - courtesy Oredaria Arti Contemporanee, Roma
Ciò che colpisce, soprattutto nella serie dedicata alle scimmie, dipinte in primissimo piano (Looking IV-VIII, 2008), è l’incredibile effetto di frottage che surrealisti come Max Ernst ottenevano per contatto con superfici scabre e che Efrat ottiene solo con i colori. Rossi in tutte le gradazioni, fino al rosa della pelle umana, per i deserti (Stones and sand IV-VI, 2008), grigi sfumati per i paesaggi lunari (Untitled II-III, 2006). In tutte le opere si ritrova questa sovrapposizione di pennellate che, attraverso un vero e proprio “scavo”, subiscono il proprio disvelamento, mettendo a nudo i mezzi del “fare il quadro”, tocco dopo tocco.
Tutti questi paesaggi – “in cui il soggetto è assente, non c’è traccia di storia, di contenuto, solo un pezzo di terreno, una superficie semplice. Senza nome o identità, sono luoghi di astinenza, di contemplazione, luoghi di una possibili intimità” – sprofondano nel buco nero dell’intimismo. In questa prospettiva, la serie delle scimmie dall’aspetto straniante assume un valore diverso, quasi più connotativo e personale rispetto alle lande desolate che, verrebbe da dire, hanno un po’ lo stesso scopo dell’abbaino da cui l’artista, lui che sa vedere, guarda dall’alto la città.
Gilad Efrat - Stones and sand V - 2008 - olio su tela - cm 110x110 - courtesy Oredaria Arti Contemporanee, Roma
Tuttavia, a restare è l’impressione della vera necessità della pittura in anni in cui, citando Arthur C. Danto, “l’arte può fare tutto quello che vuole”.

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dal 9 dicembre 2008 al 21 febbraio 2009
Gilad Efrat – Common Places
Galleria Oredaria Arti Contemporanee
Via Reggio Emilia, 22-24 (zona Porta Pia) – 00198 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 10-13 e 16-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0697601689; info@oredaria.it; www.oredaria.it

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