28 giugno 2010

fino al 7.XI.2010 Gino De Dominicis Roma, Maxxi

 
Un paradosso inaugurare il Maxxi con un artista ostile ai sistemi museali? È sanabile il dissidio tra contenitore e contenuto? Una mostra piena d’interrogativi e che si rivela sorprendente...

di

Le mie opere spesso si sono rifiutate di partecipare
alle grandi mostre
”,
scriveva Gino De Dominicis
(Ancona, 1947 – Roma, 1998). Ostile alla diffusione di
massa dell’arte come merce caduca, praticata dai grandi sistemi museali,
riteneva quel mondo una minaccia per la sua concezione artistica.

Sembrerebbe paradossale, allorché Roma con il Maxxi
esibisce la sua cattedrale del contemporaneo, splendido involucro
auto-celebrativo dell’iperconsumo, che proprio “Gino” sia il clou di questa
spettacolare apertura. Come non notare, poi, le piccole-grandi magagne
dell’allestimento che rischiano d’incrinare l’aura di sacrale perfezionismo
pretesa dall’artista nelle sue installazioni. Opere affastellate, modifica del
grande scheletro riverniciato per l’occasione, fili visibili nelle magiche aste
appese ai soffitti, spessi pannelli bianchi che in certi casi spezzano
l’andamento fluido dell’architettura di Zaha Hadid
.
Eppure, nonostante tutti i difetti – sarà che i paradossi,
smagliature d’assurdo nel tessuto della conoscenza, ci obbligano a dubitare
delle nostre opinioni per poi ridefinirle – la mostra nella cornice del Maxxi
si rivela un’esperienza straordinaria, emozionante. Il curatore, Achille Bonito
Oliva, che conosceva bene De Dominicis e la sua propensione per il pensiero
magico, prelogico, è riuscito a impaginare le 130 opere esposte in un percorso
quasi iniziatico.

Gino De Dominicis - Calamita Cosmica - 1989 - gesso, polistirolo, resina sintetica, anima in ferro, collante vinilico - cm 870x2400x630 - Mole Vanvitelliana, Ancona
Che parte dal cortile, con il gigantesco scheletro di Calamita
cosmica
, si apre
al piano terra e avvolgendosi con discutibili teche lungo il vano oscuro delle
scale – simbolo ermetico d’ascesa verso la materia sublimata dal caos – si
conclude nella luce rifulgente della galleria all’ultimo piano.

Nel manufatto del cortile, se il
gigantismo celebra il mito dell’eroe, lo scheletro rappresenta sì il memento
mori,
ma anche la
riduzione all’essenza necessaria nel processo di sviluppo coscienziale.
Nella Sala Gian Ferrari, ecco le
opere degli anni ‘60 e ‘70. Si delineano: volontà d’indagare l’inafferrabile,
l’invisibile, l’ubiquo; ossessione per l’inevitabile entropia della materia
alla quale può opporsi solo l’immortale creazione artistica. Ne Il tempo, lo
sbaglio, lo spazio
,
l’errore è illudersi di correre sui pattini lungo una linea temporale. Invece
(come spiegava De Dominicis nella Lettera sull’immortalità
del 1969), “per esistere
veramente dovremmo fermarci nel tempo
”.
Non
manca
qualche
caustico guizzo d’ironia: nella tautologica Mozzarella in carrozza
, l’artista, concettuale
eccentrico, si prende gioco dei concettuali ortodossi.
Gino De Dominicis - Senza titolo (Silhouette au chapeau) - 1988 - olio su tavola convessa - cm 68x59x15 - coll. privata, Italia
La seconda sezione coniuga la
potenza visionaria delle opere con la spazialità del museo. Un percorso
infinitamente percorribile rafforza il senso onirico e a-gravitazionale delle
opere che si manifestano al visitatore come apparizioni.
Nella Galleria 5, un’ideale bellezza atipica e
antinaturalistica: dalle Giocondine
sulla lezione di Leonardo, passando per schizzi a matita
ombreggiati con precisione accademica, fino a figure emerse da manciate di
feroci linee nere. Ogni quadro possiede un silenzioso carisma ermetico. Alcune
opere raccontano un altrove spazio-temporale, Prospettive rovesciate
, Pianeti; o un passato originario e
universale: l’epopea di Gilgamesh come (ri)unificazione del maschile/femminile.
Ecco allora in scena il misterioso personaggio dal lungo naso a becco,
l’uomo-uccello emissario del divino, sorta di alter ego dell’artista.

L’alchimia è infine nei colori: rossi profondi, blu
vibranti, neri cangianti, ori spessi come bassorilievi, ma anche, negli
straordinari monocromi: grigio su grigio, blu su blu, bianco su bianco. Qui, il
contenuto valorizza il contenitore e viceversa, creando linee invisibili,
sguardi inediti e spiazzanti che si amplificano all’infinito.

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Dominicis alla Fondazione Merz

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mostra visitata il 28 maggio 2010


dal 28 maggio al 7 novembre 2010
Gino De Dominicis – L’immortale
a cura di Achille Bonito Oliva
MAXXI – Museo delle Arti del XXI secolo
Via Guido Reni, 6 (zona Flaminio) – 00196 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 11-19; giovedì ore
11-22 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Ingresso: intero €11; ridotto € 7
Catalogo Electa
Info: tel. +39 063210181; fax +39
0632101829;
info@fondazionemaxxi.it; www.fondazionemaxxi.it

[exibart]

2 Commenti

  1. Gino De Dominicis è il più grande artista italiano della seconda metà del 900 quindi il Maxxi ha fatto molto bene ad aprire la sua attività con una mostra di Gino a dimostrazione che il nuovo museo vuole essere, come lo è sempre stato De Dominicis, in netto contrasto con l’arrogante squallore che caratterizza il sistema dei musei pubblici in Italia. A proposito, chiedo: ma cosa ci sta a fare Sgarbi nello staff del Maxxi ? Mi piacerebbe avere una risposta da qualcuno, magari dal Ministro Bondi…….

  2. MAXXI: una brutta copia dei Guggenheim di New York e Bilbao, un /”vorrei ma non posso/” penoso, povero e squallido, da parrocchietta,senza infrastrutture e pessimamente inserito nel contesto urbano. Che si sbrighino a migliorare il migliorabile. De Dominicis: un qualunque cialtrone, senza emozioni, afflato artistico, estetica e profondità, spazzatura insomma, che avvilisce ancora di più il MAXXI di quanto non lo sia già per conto suo. Solo quell’incompetente di Bonito Oliva poteva dargli fama.

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