24 settembre 2018

Katarina Janeckova Galleria Richter Fine Art, Roma

 

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Come piccoli teatrini dove l’intimità lascia il posto all’alterità per trasformare i “vizi privati” in “pubbliche virtù”, i lavori presentati da Katarina Janeckova (Bratislava, 1988) negli spazi della Galleria Richter Fine Art di Roma sono metafora felice di un viaggio che si chiama vita, scoperta, passione, incontro, sessualità. 
Quasi a indicare un lessico familiare, il titolo della mostra – Chi cerca trova – è parte di una storia che accompagna l’artista sin da quando era ragazza ansiosa di vertigini, di precipizi, di scoperte. «Chi cerca trova», rivela infatti Janeckova in un testo scritto appositamente per questa sua nuova personale italiana (nel 2016 era presente con How To Make a Bear Fall in Love, allo Studio Raffaelli di Trento), «è stata la prima frase che ho imparato in italiano. Mio padre, scomparso sette anni fa, mi ha insegnato questa frase prima del mio primo viaggio in Italia, quando avevo dodici anni, e non l’ho mai dimenticata. Da allora l’ho usata nella mia vita. Appena trasferita in Texas mi ci è voluto un po’ per smettere di compatirmi e rendermi conto che vivere qui può essere un’opportunità per guardare la vita in modo diverso. Ogni giorno di più i soggetti che dipingo diventavano una ricca fonte di divertimento, ispirazione, e infine ammirazione, finché ho capito di aver trovato quello che stavo cercando».
Con una pittura cremosa e croccante, Katarina Janeckova mette in campo uno scenario simbolico che si aggrappa alle pareti della galleria per farsi narrazione di una vita (l’artista «documenta la sua vita a tal punto che le sue opere possono essere percepite quasi come le voci di un diario», appunta Tommaso Richter), di un percorso in cui è possibile perdersi tra spazi assolati e deserti, tra figure della cultura texana (cowboy e cowgirl, ad esempio), tra orsi – simboli di virilità – e nudi femminili che si mostrano in tutto il loro rilassato, erotico splendore.
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Katarina Janeckova, vista della mostra, Galleria Richter Fine Art, Roma
Varcata la soglia d’ingresso si è quasi avvolti dalla pittura che come una installazione concava attrae a sé lo spettatore per introdurlo in una selva linguistica che è registrazione costante della realtà. Accanto a due tele significative – Checkmate e Visitor, ambedue del 2018 – c’è infatti una grande opera pittorica che ricopre interamente le pareti e si svincola dal telaio per scendere a mo’ di cortina, di tendaggio che offre altissimi effetti di suspence e di allucinazione, anche mediante circostanze di assoluta semplicità.
Per scendere al piano inferiore della galleria, dove ad accogliere lo spettatore è una parabola di disegni installati tra pelli di serpente vaganti sulle pareti, bisogna attraversare la pittura, spingersi oltre la tela, spostare un drappo d’una tonalità che ricorda il violetto minerale chiaro – almeno se si tiene presente la gamma storica della Ferrario (l’indimenticabile Van Dyck), dove questa tinta era posizionata se non erro al numero 46 – e spingersi nell’abisso della pittura, in un ventre caldo, irrequieto, carnale, passionale.
Se lungo le scale una piccola tela – Curiosity killed the cat, but satisfaction brought in back (2018) – fa da trait-d’union, da nodo felice tra i due momenti della mostra, al piano inferiore lo spettatore entra finalmente in contatto con il mondo dell’artista, con uno sguardo che ricorda tanto la canzone 323 del canzoniere di Petrarca – Standomi un giorno solo a la fenestra – dove tutto appare scandito dal desiderio, dalla perfezione di un’altezza metafisica. In uno dei tanti disegni che popolano questo secondo ambiente è presente una ragazza nuda (è l’artista, sempre, anancasticamente presente nel suo lavoro) nell’atto di spiare se stessa che prende il sole sul terrazzo d’un anonimo palazzo di città: nello stesso disegno c’è anche una terza immagine, e sempre della stessa ragazza, ma questa volta in primo piano, sul boccascena della tela, che guarda lo spettatore e lo invita a partecipare, a entrare, a giocare, a leggere il mondo della vita da una angolazione nuova, con una cintura di sicurezza che si chiama sogno, sogno di un sogno.
Antonello Tolve
Mostra visitata il 20 luglio
Katarina Janeckova 
Galleria Richter Fine Art 
vicolo del Curato 3 00186 Roma
Orari: dalle 13:00 alle 19:30 dal martedì al venerdì e il sabato dalle 09:00 alle 20:00. Chiuso domenica
Info: tommaso.richter.85@gmail.com – www.galleriarichter.com

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