04 maggio 2013

Ritratto del curatore da giovane

 
Incontro con Ilaria Gianni, curatrice e critica d’arte, attualmente co-direttrice artistica della Nomas Foundation. Ma lasciamo che sia lei a raccontarci di più.
di Manuela Valentini

di

Ilaria, quanti anni hai? Dove vivi e lavori?
«Sono nata a Roma trentatrè anni fa e al momento vivo e lavoro a Roma, dove dirigo e curo il programma di Nomas Foundation insieme a Cecilia Canziani».
Qual è il tuo percorso formativo?
«Mi sono laureata all’Università «La Sapienza» di Roma, con un triennale in storia dell’arte contemporanea e una specialistica (definita oggi magistrale) in semiologia dell’arte. Durante il periodo universitario ho sempre cercato il confronto con il mondo professionale, oltre che con quello accademico, e ho avuto la fortuna di condividere questo percorso con un gruppo di persone con cui ho approfondito i miei interessi nei confronti dei linguaggi artistici contemporanei e della curatela. Ci siamo stimolati a vicenda e siamo cresciuti insieme. Dopo un lungo periodo, molto formativo, di stage, collaborazioni e assistenze, ho pensato che potesse essere giusto mettermi alla prova; ho dunque iniziato a fare i primi passi indipendenti nel mondo della curatela e a dialogare direttamente con gli artisti, il pubblico e lo spazio espositivo. Sono poi andata a Londra – città che mi ha ospitato per quasi tre anni – per frequentare il MFA in Curating alla Goldsmiths School. Nonostante sia convinta che sia difficile “insegnare” a curare una mostra, credo di dovere molto a questa esperienza, che mi ha permesso di approfondire le mie ricerche per due anni (l’accesso a musei, collezioni, archivi, emeroteche, mediateche: risorse senza pari), di confrontarmi con delle professionalità che non avrei avuto modo di incontrare altrimenti, con un gruppo di colleghi che condividevano la mia stessa voglia di imparare e di scambiare opinioni realmente e in maniera costruttiva. Tutto questo mi ha portato verso la presa di coscienza del percorso che stavo iniziando a intraprendere».
Behind, installation view a Monitor, Roma, 2008, materiale di: Nina Beier & Marie Lund, Sue Tompkins, Bedwyr Williams
Come è avvenuto il tuo ingresso nel mondo della curatela d’arte?
«Credo sia avvenuto in primo luogo attraverso l’osservazione e l’ascolto di tutti quei curatori o direttori di musei e fondazioni con cui ho avuto la fortuna di confrontarmi quando ero ancora alla ricerca di una metodologia. La prima esperienza di responsabilità diretta nella curatela, non è stata una mostra ma un workshop a Montescaglioso in Basilicata nel 2004. Garba – Giovani artisti in residenza in Basilicata, era un programma di residenza europea nata sulla scia di Oreste (progetto di libera organizzazione culturale e residenza d’artista presentato alla 48 Biennale di Venezia, attivo dal 1997 al 2002). Garba mi ha permesso di comprendere l’idea di collaborazione, di rispetto e di cura. La prima vera mostra curata è stata invece una rassegna intitolata Step in step out, presso la Fondazione Adriano Olivetti tra il 2006 e il 2007, che si poneva come obiettivo quello di esplorare le differenti modalità attraverso cui la ricerca artistica stava in quel momento utilizzando il linguaggio cinematografico. Considerando i possibili scambi tra i due universi, la rassegna nei suoi cinque episodi ha visto coinvolti, Linda Fregni Nagler, Gianluca e Massimiliano De Serio, Marinella Senatore, Astrid Nippoldt e Alexandra Navratil, e ha cercato di analizzare in maniera approfondita il dialogo tra i due codici visivi e le molteplici potenzialità dell’immagine in movimento. La mia prima mostra collettiva, nasce invece da una ricerca intrapresa a Londra. I desired what you were, I need what you are, inaugurata dal 2008 alla Galleria Maze di Torino, rifletteva sull’interpretazione di elementi culturali residuali, rimasti dominanti nella cultura odierna. La mostra si proponeva di analizzare alcuni aspetti culturali legittimati da una presenza continuativa, che assumono la forma di “residuo”, inteso, secondo l’accezione del sociologo Raymond Williams, come qualcosa che: “in realtà è stato creato nel passato, ma che è ancora attivo nel processo culturale, non solo e spesso non del tutto come un elemento del passato, ma come un concreto elemento del presente”. Le opere in mostra sottolineavano come molti artisti partissero nel loro percorso creativo dal ri-uso di ideologie culturali e materiale iconico del passato, dalle influenze ereditate e sopravvissute, adottate e fatte proprie. Il progetto intendeva porre l’accento su come il mito potesse rappresentare ciò in cui il residuale si è trasformato. I desired what you were, I need what you are, che poi ha visto una futura espansione in Desiring Necessities, alla John Hansard Gallery, Southampton (2009), è stato un passo importante per la mia crescita. Mi ha permesso di capire come curare una mostra fosse un autentico atto di scrittura, di stesura di una partitura in cui tutte le voci dovevano essere in dialogo».
A performance cycle, 2010 - Nomas Foundation all’Accademia di belle Arti di Roma Patrizio Di Massimo, Untitled (Thoroughbred), 2010 24 marzo, 2010 A performance cycle, 2010 - Nomas Foundation all’Accademia di belle Arti di Roma Ryan Gander, As loose as anything, 2010 3 marzo, 2010

Come già hai accennato sopra, dal 2009 sei la direttrice artistica della Nomas Foundation di Roma insieme a Cecilia Canziani, Di cosa si tratta e qual è il suo obiettivo? In che direzione si muove la ricerca della Fondazione?

«Nomas Foundation è un spazio indipendente dedicato all’arte contemporanea, fondato a Roma nel 2008 dai collezionisti Stefano e Raffaella Sciarretta. La fondazione si pone come centro di ricerca, di collaborazione e di produzione dedicata all’arte contemporanea. Il programma riflette sullo stato attuale del linguaggio dell’arte e delle sue strutture attraverso l’analisi di pratiche artistiche critiche ed emergenti a livello internazionale.  La programmazione si divide in diverse sezioni che intendono mettere in primo piano le idee di mobilità, flessibilità e ricerca come termini primari per uno sviluppo culturale. “Nomas Projects” si rivolge alla pratica espositiva come occasione per attivare un dialogo con luoghi, soggetti e pubblici differenti. “Nomas Lab” è un contenitore all’interno del quale vengono sviluppati progetti che nascono dal dialogo con realtà legate alla formazione come accademie, università e istituti d’arte. “Nomas Reading Room” è  un archivio in continua evoluzione, ma anche una struttura attraverso la quale rileggere il processo creativo che porta alla realizzazione di un’esposizione. “Nomas Residency” invita ogni anno un artista o un curatore a leggere in maniera critica aspetti specifici della scena culturale italiana. Priorità della fondazione è di contribuire alla costruzione di un pubblico dell’arte, attraverso un confronto con il territorio, un dialogo con realtà per vocazione simile alla nostra, un programma di formazione orizzontale e attraverso progetti che ripercorrono una storia e analizzano un presente, spesso fuori dalle solite mura riconosciute dal sistema arte».
Fig. 1 Paesaggio, 2013 veduta della mostra / exhibition view Courtesy SpazioA, Pistoia
Prima di co-dirigere la Nomas, hai lavorato come curatrice indipendente di mostre d’arte. Puoi raccontarci un po’ di questa esperienza? 
«Più che elencare le mostre curate, cercherei di formulare il mio percorso attraverso un discorso e una metodologia che sto cercando di mettere in pratica. Attraverso i progetti che tento di elaborare (espositivi, editoriali, didattici), intendo affrontare il modo in cui la storia dell’arte viene costruita, custodita e resa. Se, infatti, il racconto storico viene restituito in parte dalle immagini che il tempo trasmette, ed è a partire dalla percezione visiva che viene rilasciata la memoria, la responsabilità di un critico d’arte e di un curatore è di agire da filtro: autore di un possibile e potenziale racconto di una produzione visiva. È possibile avere una distanza critica sufficiente per narrare un presente o per lo meno per posizionare il vocabolario da esso prodotto in quel linguaggio universale elaborato dalla storia? Da autori del presente, come vorremmo scrivere la cronaca del nostro tempo? Cosa vogliamo consegnare al futuro del presente? E perché? Queste sono alcune delle domande che mi pongo costantemente quando tento di osservare ciò che mi circonda, interpretarlo e poi restituirlo attraverso i progetti espositivi».
Progetti futuri?
«Al momento Cecilia e io siamo molto concentrate su “A Theatre Cycle”, progetto di Nomas Foundation in collaborazione con il Teatro Valle Occupato di Roma. Nell’arco di tre mesi e declinato in tre eventi dal vivo e due laboratori, “A Theatre Cycle” intende riflettere sulle reciproche influenze, somiglianze e differenze tra arti visive e teatro, attraverso il lavoro di una selezione di artisti la cui ricerca si focalizza sulla specificità del linguaggio teatrale nelle sue diverse sfumature. Dopo questa complessa ma ricchissima esperienza, nel futuro di Nomas Foundation sono previste esperienze di collaborazione e di condivisione progettuale sempre più frequenti. Poi ho tanti altri progetti che prenderanno vita fuori dalle mura di Nomas Foundation».

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