14 novembre 2012

Ritratto del curatore da giovane

 
Con questa intervista inauguriamo una nuova rubrica dedicata a giovani, a volte giovanissimi, curatori. Il primo incontro è con Eleonora Farina, 31 anni. Di Manuela Valentini

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Eleonora Farina è una curatrice indipendente. Subito dopo la laurea in storia dell’arte contemporanea a La Sapienza di Roma, città in cui ha sempre vissuto, ha deciso di trasferirsi all’estero. Ecco il suo racconto.

Nel 2006 hai concluso i tuoi studi universitari a Roma. Poi?

«Ho scritto la mia tesi di laurea specialistica sul Portikus, lo spazio espositivo dell’Accademia d’Arte Städelschule di Francoforte; nel 2004, ai tempi della direzione di Daniel Birnbaum, avevo infatti avuto la possibilità di lavorare all’interno di questa stimolante struttura in qualità di stagista. Trasferitami a Berlino subito dopo la laurea, nel 2010 mi sono iscritta alla Freie Universität per conseguire un dottorato di tre anni con lo scopo di utilizzare in seguito questa qualifica per lavorare presso un’istituzione pubblica d’arte contemporanea. In realtà, in questo momento mi trovo a Bucarest e per quattro mesi porterò avanti qui la mia ricerca sul cinema sperimentale e la videoarte in Romania fino al 1993».

Perché proprio questo Paese?

«Nel 2008 avevo lavorato per un anno come assistente della direttrice artistica del Museo Nazionale d’Arte Contemporanea (MNAC) di Bucarest, Ruxandra Balaci. Grazie a questa esperienza ho potuto allargare la mia cultura in materia artistica a una realtà per me nuova e, con il tempo, credo di aver raggiunto una buona padronanza del panorama contemporaneo est-europeo. Ancora adesso il mio lavoro è orientato in questa direzione, perciò ho deciso di tornare qui».

C’è molto fermento artistico in Romania?

«Moltissimo. La crisi ha avuto una serie di difficili risvolti anche qua, ma ciò nonostante la vita culturale romena rimane effervescente. Non vorrei esagerare, ma mi sento di poter dire che a Bucarest c’è una carica creativa maggiore rispetto a Berlino, una città che al contrario si sta lentamente arrestando».

Come mai hai deciso di andare all’estero? Hai avuto maggiori opportunità lavorative rispetto all’Italia?

«Penso di sì; o forse, e meglio, è stato il motivo per cui ho scelto di rimanerci. Inizialmente avevo optato per Francoforte, perché in quel momento mi consentiva un approccio al mondo del lavoro molto più internazionale rispetto a Roma. Una volta ambientata in terra tedesca, non ho però più sentito l’esigenza di tornare indietro. Ben presto mi sono resa conto che quello che mi stava dando la Germania (con Francoforte prima e con Berlino poi), non l’avrei potuto trovare da nessun’altra parte in Italia, Roma compresa».

A dir la verità a Roma ci sei tornata…

«Sì, temporaneamente a maggio di quest’anno, perché ho curato il progetto ‘Spazi Aperti X’ presso l’Accademia di Romania di Roma, una piattaforma che ha visto coinvolte importanti istituzioni della Capitale. È stato proprio in questa occasione che ho potuto rendermi conto di quanto Roma fosse cambiata negli ultimi dieci anni. Sicuramente sono stati fatti grandi passi in avanti quanto a cultura del contemporaneo; personalmente però mi si è aperta una strada che non intendo abbandonare».

La prima mostra che hai curato?

«Nel 2006 ho co-curato con Maria Garzia (una mia ex collega di università) una mostra di arte pubblica a Spello dal titolo ‘L’Impercettibilità della Visione’. Il progetto consisteva nella creazione di un’installazione dell’artista bolognese Marina Fulgeri, quale risultato di un workshop frequentato da un gruppo di studenti universitari (non necessariamente provenienti da indirizzi artistici) che avevano risposto a una nostra open call».

Avete trovato delle difficoltà nell’organizzazione?

«Direi di no. Siamo infatti state invitate e appoggiate dall’associazione Wunderkammern, dal comune cittadino e dalla Galleria Continua, che a quel tempo rappresentava Marina. È stata una bellissima esperienza, e soprattutto gratificante. Sicuramente il fatto di doverci confrontare con una piccola realtà come quella di Spello ci è stato d’aiuto. In definitiva, questa mostra ha rappresentato un input positivo e importante per continuare».

Al momento cosa bolle in pentola?

«Attualmente mi sto dedicando alla mia tesi di dottorato. Per quanto riguarda invece i miei progetti curatoriali, è appena terminata una personale di Elena Bellantoni alla galleria Muratcentoventidue di Bari. Proprio in questi giorni sto poi lavorando a un progetto che si terrà a Copenaghen il primo di marzo nello spazio no profit Toves Galleri. L’artista che mi ha invitato, Jacob Jessen, è lo stesso che a mia volta invitai io a maggio a esporre, tra gli altri, nella mostra ‘Spazi Aperti X’. Insieme, abbiamo deciso di proseguire un discorso sulla fotografia cominciato allora. In Danimarca presenteremo il nostro punto di vista su cosa intendiamo per processo fotografico; in esposizione ci saranno video, installazioni e performance di artisti che hanno utilizzato il modo di vedere e agire della fotografia senza, di fatto, realizzarne alcuna».

Quali i vantaggi e quali gli svantaggi per un curatore indipendente?

«Per me il più grande dono di questo lavoro è il contatto diretto con gli artisti. Cerco sempre di creare con loro un rapporto umano profondo, che si basi su valori consolidati oltre che su uno scambio intellettuale che ogni giorno arricchisce entrambi. Poi ci sono i compromessi, tanti, ai quali purtroppo bisogna scendere per mettere d’accordo tutte le persone con le quali ci si deve relazionare per l’organizzazione di una mostra, soprattutto se grande: istituzioni, finanziatori, galleristi etc. È un equilibrio estremamente difficile da raggiungere».

Dal punto di vista della retribuzione sei soddisfatta? Riesci a mantenerti o hai bisogno del sostegno della tua famiglia?

«Se penso agli artisti che, per realizzare una mostra, spesso e volentieri non ricevono alcun gettone di presenza per non parlare poi di un onorario, allora sì, mi ritengo soddisfatta. Questo non significa però che un aiuto da parte della mia famiglia non sia fondamentale e per questo ben accetto!»

Quindi sei contenta della tua scelta? Consiglieresti ad uno studente di intraprendere la tua stessa professione?

«Sì, sono molto contenta della mia situazione attuale. Consiglio però questo mestiere a una persona estremamente determinata, perché di momenti difficili ce ne saranno sempre. Anch’io ne ho vissuti, soprattutto negli ultimi due anni, ma per fortuna vado avanti grazie a felici incontri e grandi soddisfazioni».

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