28 luglio 2021

La Francia celebra l’arte di Apichatpong Weerasethakul

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All'Institut d’Art Contemporain di Villeurbanne un'occasione estiva per conoscere il linguaggio e il background dell'artista e regista thailandese Apichatpong Weerasethakul, che oscilla tra realtà, onirismo, e accenni autobiografici

Apichatpong Weerasethakul, Sadka (Rousseau), 2012 © Kick the Machine

Apichatpong Weerasethakul presenta “Periphery of the Night” un’importante monografia presso l’Institut d’Art Contemporain a Villeurbanne, nei pressi di Lione, fino al 28 novembre. Curata da Nathalie Ergino e Elli Humbert, la mostra presenta una ventina di opere tra cortometraggi, fotografie e installazioni, che come in una lunga sequenza al buio svelano un universo immersivo e magico. Qui s’incontrano animali, umani e fantasmi che vagano ora in città inquiete ora in foreste rigogliose dai magnifici suoni naturali alterati da spazi di puro silenzio o da fortuite parole. La mostra è una buona occasione per conoscere il linguaggio e il background dell’artista e regista thailandese che oscilla tra realtà, onirismo, e accenni autobiografici. Classe 1970, Weerasethakul nasce a Bangkok e cresce a Khon Kaen dove si laurea in architettura. Rappresentante della nouvelle vague del cinema thailandese, nel 1999 fonda Kick the Machine per supportare i suoi progetti nonché la creazione indipendente thailandese. Regista di fama, il suo film Memoria è stato selezionato per la 74esima edizione del Festival di Cannes, con due interpreti d’eccezione quali Tilda Swinton e Jeanne Balibar, Weerasethakul ha ricevuto il premio della giuria ex aequo con Nadav Lapid, regista di Le Genou d’Ahed. Presentato lo scorso venerdì, Memoria si è concluso con una lunga ovazione e delle critiche molto positive.

Portrait Apichatpong Weerasethakul © Kick The Machine

L’uscita nelle sale francesi è prevista per il 17 novembre. Ricordiamo che Weerasethakul ha ricevuto la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 2010 per il suo film Uncle Boonmee. Torniamo all’esposizione per incrociare Tilda Swinton in Durmiente (2021, video, 11′), che vede l’attrice britannica assopirsi mentre i suoi sogni sembrano incarnarsi nelle immagini di un tramonto in un video diametralmente opposto, quale Async-first light (2017, 11’3”), creando così una sorta di dittico. Non intercorre un filo narrativo tra i due filmati ma possibili trait d’union visivi. Il regista lascia così lo spettatore libero di creare lui stesso eventuali intrecci. Il dormiveglia, il sonno e il sogno si rivelano, in un crescendo percepibile lungo il percorso espositivo, più palesemente in Durmiente o intrecciati nel periplo del bel cortometraggio Ashes (2012, video digitale HD, colore, 20’18”), girato in Thailandia, come la maggior parte dei suoi lavori. Il giorno si alterna alla notte, in questo filmato in cui passiamo da un uomo che porta a spasso il cane, a uno spettacolo pirotecnico, a una manifestazione di protesta contro l’articolo 112 sulla lesa maestà, che mette l’accento sulla difficile situazione politica thailandese, e non solo.

Apichatpong Weerasethakul, Power Boy (Villeurbanne), 2021 © Kick the Machine

È antinarrativo, poiché lo schema tradizionale della narrazione non è rispettato, e dove immagini porose, tra sogno e realtà, lasciano intuire altri scenari, grazie anche a un montaggio che va oltre i limiti attesi. Troviamo tra i cortometraggi l’incantevole Blue (2018, video HD, colori,12 ” 16′), interpretato da Jenjira Pongpas-Widner, girato per 12 notti nella foresta thailandese dove la magia dei suoni naturali accompagna l’insonnia di una donna; Sadka (Rousseau) del 2012, interpretato da Sakda Kaewbuadee, è stato realizzato in occasione del tricentenario della nascita di Jean-Jacques Rousseau. Un orecchiabile pezzo musicale fa da sottofondo in questo video, che vede l’attore Sakda, reincarnazione del filosofo, sussurrare a un microfono parole che provengono da altrove ossia da un registratore piazzato sulle rive del fiume Mekong; ci parla qui della memoria e della paura dell’oblio. L’esposizione presenta formati e mezzi diversi, come il dittico Invisibility (2016, due canali sincronizzati), mentre per Video Diaries (2017), una serie inedita di una decina di videodiari realizzati liberamente, usa un dispositivo che tiene costantemente vicino, per catturare il suo quotidiano, frammenti di vita o stralci di altre sue opere, come Father (2001), qui presentato. Questo filmato familiare è stato girato dal fratello mentre il padre era sotto dialisi renale, è diventato parte di un’importante scena nel film Uncle Boonmee (2010). Incrociamo poi, Teem (Thailandia/Giappone 2007), un’installazione su tre schermi, in cui filma col cellulare Chaisiri Jiwarangsan, tra sonno e dormiveglia. Questi stati non sono momenti di assenza ma bensì di coscienza, dove non ci sono messaggi da scoprire ma piuttosto sensazioni da cogliere.

Apichatpong Weerasethakul, The Palace (still), 2007 © Kick the Machine

Sono presenti tre video della serie The Palace (2017), senza contorni netti e su uno sfondo nero, ognuno di questi vede una silhouette di un cane rosso muoversi pacatamente, come una sorta di guardiano che veglia su un palazzo senza memoria, né tempo e né spazio. Imperdibile è Ghosts of Asia (2005, 9′ 11”), realizzato in collaborazione con Christelle Lheureux, la storia si sviluppa lungo due video, uno con bambini che dettano mansioni a un adulto che li esegue come un burattino nell’altro video. I diversi compiti eseguiti dall’uomo subiscono una progressiva accelerazione del ritmo restituendo un effetto esilarante al tutto. Un’opera dedicata alle vittime dello Tsunami. Il montaggio filmico in Weerasethakul è sperimentale, messo a nudo, e quanto mai innovativo. Si va dai piani fissi in Blue, alla sovrapposizione di due o tre immagini in uno schermo diviso orizzontale e di formato extra large in Ashes, o gli stock-shot di Video Diaries. Nei film di Weerasethakul non mancano comunque piani sequenza, profondità di campo, e via dicendo. Ogni immagine è comunque un’opera a sé, che come sospesa in un tempo e spazio indefinibile apre la nostra percezione, qui accresciuta grazie all’oscurità che ci lascia liberi di vagare tra le sale. Le belle immagini di Weerasethakul ci affascinano e ci ipnotizzano come un gioco caleidoscopico dalle infinite possibilità.

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