11 dicembre 2019

Aspettando la strada, Biancoshock ci racconta la sua mostra a Milano

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In occasione della mostra presentata alla Wunderkammern di Milano, lo street artist Biancoshock ci parla della sua ricerca e dell’arte della contemporaneità

Biancoshock, BANK OF DREAMS, Milano, 2017

Si chiama “Disturbe” la personale di Biancoshock allestita presso la Wunderkammern di Milano, a cura di Giuseppe Pizzuto. Conosciuto a livello internazionale per i suoi interventi di Arte Pubblica, dopo aver esposto al MACRO di Roma, alla Saatchi Gallery di Londra e in tutti i principali festival di street art mondiali, Biancoshock (1982) torna a Milano, la sua città natale, per una antologica ironica e profondamente lucida sui temi più delicati della nostra contemporaneità.

Come mai, dopo anni passati in strada a trasformare spazi e disturbare ignari passanti, sei tornato a presentare i tuoi lavori in galleria? Quanto ha a che fare con un generale cambiamento della street art e quanto con un desiderio di diversa fruizione del tuo lavoro?
«Per me intraprendere una personale è stato uno step delicato, faticoso ed emotivamente impattante. Erano passati cinque anni dalla mia ultima personale a Milano, in cui decisi di definire il mio progetto artistico attraverso un concetto, Ephemeralism, che riassumesse la tipologia dei miei interventi. Negli ultimi due anni avevo rinunciato ad un paio di proposte: non ero interessato ad una mostra che proponesse i miei lavori più conosciuti sotto forma di opere fotografiche. Poi è arrivata la chiamata della Wunderkammern, una chiamata che mi ha messo un po’ di agitazione. È il loro approccio che ha acceso la scintilla: “Non vogliamo portare nello spazio indoor ciò che vive outdoor, non vogliamo solo i best-known, vogliamo raccontare il tuo percorso, con il tuo stile e con la nostra professionalità”, mi hanno detto.
Il 2019 è l’anno in cui ho superato un migliaio opere pubbliche indipendenti, non autorizzate, non commissionate, realizzate in più di quindici anni. Era un segnale. Negli ultimi due anni mi sono concentrato su progetti diversi, mai pubblicati o mai realizzati, che raccontano quella dicotomia mai rivelata, ma ormai evidente: il bianco e lo shock. Era il momento di mettersi in gioco e fare un punto, per presentare tutti quei lavori che, pur mantenendo la mia poetica espressiva, necessitavano di uno spazio in cui spiegarli, documentarli. La più grande soddisfazione è stata quella di vedere il pubblico rifare più volte il percorso espositivo. Quello desideravo, così come succede in strada: colpire da subito l’attenzione per poi cercare di offrire diversi livelli di lettura».

Biancoshock, FRUTTI DELLA CRISI, Milano, 2019

In effetti, appena si varca la soglia della mostra, si ha la sensazione di avere a che fare con due tipologie di lavori molto diversi: alcuni senza filtri, immediati, provocatori, come E Tacendo Morir. Altri, invece, più complessi. Penso, ad esempio, a Vantablack: un’opera in cui hai riscritto in un’unica pagina un’intera tesi di laurea, scaricata da internet, su Anish Kapoor, fino a ottenere un nero che richiama quello che Kapoor stesso acquistò, limitandone l’uso open source. Un lavoro certosino, instancabile, per arrivare a un segno di sintesi. Sono decisamente lavori non instagrammabili, a differenza di quelli del tuo passato. Che cosa sta accadendo?
«È la conseguenza di una necessità maturata negli ultimi anni di sperimentare altre forme di espressione artistica. Come ha spiegato Pietro Rivasi nel testo critico di Dipòlo (monografia sul mio lavoro presentata in occasione di Disturbe) la parte Shock della mia attività è quella che funge da valvola di sfogo: l’intervento urbano, indipendente, non commissionato, in strada, mi aiuta, da un lato, a veicolare i miei messaggi; dall’altro placa quello stato di ansia che vivo quotidianamente. È la parte che mi ha fatto ‘emergere’ in questo settore dell’arte pubblica. Parallelamente ho sempre studiato diverse forme di espressione, più concettuali, più profonde ed impegnative, non necessariamente realizzate nel contesto urbano, ma che mantenessero i codici espressivi del mio percorso».

Biancoshock, GRAFFITI CCTV, Roma, 2018. Credits Carmelo Battaglia

Il tuo lavoro, oltre che per una forte valenza estetica, si contraddistingue, più di quello di molti street artist, per sollevare questioni politiche ed etiche sulle quali desideri che il pubblico ponga l’attenzione. Quali sono le sfide sociali più urgenti che ci troviamo ad affrontare oggi come esseri umani e qual è, a tuo avviso, il ruolo che un artista può avere nel dibattito al di fuori del mondo dell’arte?
«Mi piace parlare dei problemi di oggi, di quei temi che coinvolgono la quotidianità di tutti. Ho sempre cercato di approfondire una mia conoscenza personale prima di dire la mia su qualsiasi questione. Ho lavorato per tre anni ad un progetto sulla crisi migratoria a Malta (Identity Malta) e, a mio avviso, la parte più difficile è stata quella della raccolta di documentazione, di incontro con i migranti, di trovare una lettura da offrire al pubblico senza rischiare di essere banale, o peggio, impreciso. Io credo fermamente che un artista possa scegliere liberamente se trattare certi argomenti, se offrire un messaggio o meno, se concentrarsi sull’estetica invece che orientarsi a progetti che abbiano una possibile valenza sociale. L’arte è la dimensione umana più libera e sregolata che esista, per cui un artista può decidere come e se esprimersi.

Poi ovviamente ho i miei valori ed i miei gusti e prediligo quel tipo di artista che sfrutta la propria inclinazione ed il proprio talento per comunicare messaggi ad un pubblico eterogeneo, spesso utilizzando nuovi codici e stimolando l’attenzione del fruitore.

Ci sono tante sfide sociali oggi: la prima che mi viene in mente è quella del mondo digitale, delle sue piattaforme e di come condizionano la nostra vita, le nostre relazioni, il nostro modo di approcciarci al mondo reale. Vedo pochi veri approfondimenti in merito, sebbene sia un topic che sta cambiando il mondo intero silenziosamente, con dei semplici ‘Acconsento’».

Biancoshock, WEB 0.0, Civitacampomarano, 2016

Parliamo di futuro. Che progetti hai in cantiere per il 2020?
«Sono molto entusiasta per l’anno che verrà, ho tra le mani possibili progetti diversi tra di loro per contesto, ambito e località, e la cosa mi fa davvero molto felice.

Ad oggi mi attende un progetto molto importante in Italia, in collaborazione con l’artista Rub Kandy, che ci vedrà impegnati per i prossimi tre anni: un’iniziativa molto sfidante; poi un progetto sociale a Milano all’interno di una realtà incredibile, difficile e spesso dimenticata; un workshop a Malta con un’università italiana, dove presenterò il mio progetto indipendente Identity Malta, realizzato nei centri di immigrazione maltesi e, sicuramente, un festival internazionale a cui tengo molto. Ma soprattutto, dopo esser stato chiuso in studio per Disturbe, la strada: lei mi aspetta sempre, e non voglio assolutamente arrivare in ritardo».

La mostra di Biancoshock alla Wunderkammern di Milano, in via Edmondo de Amicis 43, sarà visitabile fino al 21 dicembre 2019.

Biancoshock, HORIZONS, Ulm,, 2017

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