08 gennaio 2024

In Scena: gli spettacoli e i festival della settimana, dall’8 al 14 gennaio

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Una selezione degli spettacoli e dei festival più interessanti della settimana, dall'8 al 14 gennaio, in scena nei teatri di tutta Italia

Prove, Ho paura torero, © Masiar Pasquali

In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dall’8 al 14 gennaio.

Teatro e danza

HO PAURA TORERO, AL PICCOLO DI MILANO

Primavera 1986. Alle cinque della sera…Santiago è una città di mezza tacca, schiacciata dai pattugliamenti e tutta intenta a spidocchiarsi tra la disoccupazione e il quarto di zucchero preso in prestito all’emporio. Nell’arena tumultuosa di notti marimbe e vagabonde, squarciate dai lampi dei blackout per i cavi elettrici scoperti e cullata dal gracchiare radiofonico di languide canzoni al miele e dulce de leche di “Al ritmo del cuore”, la Fata dell’angolo (travestito passionale), lo studente Carlos (militante del Fronte patriottico Manuel Rodríguez), il generale Augusto José Ramón Pinochet Ugarte e la sua fedelissima donna Lucia, persi nel coro scomposto della città indolente e febbricitante, danzano, sinuosi o impettiti, il loro fatale e grottesco bolero col destino…

Scivolando tra le pagine chiassose e taciturne, arrabbiate e struggenti, ciniche e innamorate di Ho paura torero (2001), cupo e prezioso smeraldo della letteratura romanzesca ispano-americana, Claudio Longhi e Lino Guanciale, in questa nuova tappa del loro lungo sodalizio, compongono un murale rutilante di storie incrociate. Uno spettacolo in bilico tra sogno e storia, fuga fantastica e violenta quotidianità, che è anche un omaggio alla penna ironica e appassionata, graffiante e visionaria, scandalosa e sovversiva di Pedro Lemebel (1952-2015), icona della letteratura queer e pop camp del Sud del mondo. Per raccontare, tra eros e politica, la parabola ineluttabile del desiderio. Ho paura torero, ho paura che stasera il tuo sorriso svanisca.

Prove, Ho paura torero, © Masiar Pasquali

“Ho paura torero”, di Pedro Lemebel, traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi, trasposizione teatrale Alejandro Tantanian, regia Claudio Longhi, scene Guia Buzzi, costumi Gianluca Sbicca, luci Max Mugnai, visual design Riccardo Frati, dramaturg Lino Guanciale, assistente alla regia Giulia Sangiorgio, con Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Arianna Scommegna, Giulia Trivero. Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa. A Milano, Teatro Grassi, dall’11 gennaio all’11 febbraio.

OTTO ATTI UNICI DI CECHOV

Nel 1880 Anton Čechov è uno studente di medicina al verde; inizia a scrivere storie per sette copeche a riga, per sbarcare il lunario: «La medicina è moglie legittima, la letteratura un’amante», dirà… È proprio con gli occhi chirurgici del medico e uno sguardo di affettuosa compassione che, tra il 1884 e il 1891, scrive gli Atti unici, studi drammatici e scherzi per lo più legati all’universo del vaudeville e a una dimensione farsesca. Gli Atti unici sono piccoli lampi di genialità drammaturgica che conservano in nuce le scintille di quella rivoluzione teatrale che esploderà con Il Gabbiano, Zio Vanja, Le tre sorelle e Il giardino dei ciliegi.

Ora questi Atti unici sono il cuore del nuovo progetto teatrale di Fondazione Teatro Due che ne mette in scena otto, presentandoli a coppie di due, da inizio gennaio fino a fine febbraio. La prima coppia a debuttare sarà Tragico suo malgrado e l’Orso il 9 gennaio, poi Sulla strada maestra e I danni del tabacco il 23 gennaio, Una domanda di matrimonio e L’anniversario il 3 febbraio e infine Il canto del cigno e Le nozze il 15 febbraio. Tutto il Teatro Due verrà letteralmente invaso da questi piccoli capolavori e dai 24 attori e attrici che di volta volta li porteranno in scena.

Cechov, prove, tragico suo malgrado

ANTONIO E CLEOPATRA

Opera raramente rappresentata in Italia, ma tra le vette poetiche del corpus drammatico di William Shakespeare, Antonio e Cleopatra è ora proposta grazie alla nuova traduzione italiana in versi di Nadia Fusini e Valter Malosti anche in scena e regista. La storia d’amore tra Antonio e Cleopatra permette a Shakespeare di raccontare l’incontro e il conflitto tra Oriente e Occidente, un conflitto politico ma anche scientifico.

«I due straripanti protagonisti – spiega Malosti – eccedono ogni misura per affermare la loro infinita libertà. Politicamente scorretti e pericolosamente vitali, al ritmo misterioso e furente di un baccanale egiziano vanno oltre la ragione e ai giochi della politica. Inimitabili e impareggiabili, neanche la morte li può contenere. Di Antonio e Cleopatra – prosegue il regista – la mia generazione ha impresso nella memoria soprattutto l’immagine, ai confini con il kitsch, e vista attraverso la lente d’ingrandimento del grande cinema di Joseph L. Mankieviczcon la coppia Richard Burton / Liz Taylor. Ma su quest’opera disincantata e misteriosa, che mescola tragico, comico, sacro e grottesco, su questo meraviglioso poema filosofico e mistico (e alchemico) che santifica l’eros, che gioca con l’alto e il basso, scritto in versi che sono tra i più alti ed evocativi di tutta l’opera shakespeariana, aleggia, per più di uno studioso, a dimostrarne la profonda complessità, l’ombra del nostro grande filosofo Giordano Bruno: un teatro della mente».

Antonio e Cleopatra, Ph Tommaso Le Pera

“Antonio e Cleopatra” di William Shakespeare, uno spettacolo di Valter Malosti, traduzione e adattamento Nadia Fusini e Valter Malosti, con Anna Della Rosa, Valter Malosti, Danilo Nigrelli, Dario Battaglia, Massimo Verdastro, Paolo Giangrasso, Noemi Grasso, Ivan Graziano, Dario Guidi, Flavio Pieralice, Gabriele Rametta, Carla Vukmirovic; scene Margherita Palli, costumi Carlo Poggioli, luci Cesare Accetta, progetto sonoro GUP Alcaro. Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura. A Modena, Teatro Storchi, dal 10 al 14 gennaio; Teatro Arena del Sole, Bologna, dal 7 al 21; Teatro Asioli, Correggio, il 23, e in tournée.

LA CLITENNESTRA DI ISABELLA RAGONESE

Clitennestra vive per vendicare la morte della figlia, Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone agli dèi. La sua vendetta ne innescherà un’altra, e a compierla su di lei saranno i figli Elettra e Oreste. Ma le antiche divinità stanno scomparendo, e la casa un tempo popolata dei loro nomi risuona ormai a vuoto.

In questo testo di Colm Tóibín il mito classico della regina assassina e del vendicatore matricida diventa cosí una tragedia di passioni e debolezze profondamente umane. Tóibín fa rivivere le figure classiche della casata di Atreo e, intaccando la loro mitica intangibilità, le rende personaggi di carne e sangue, dotati di psicologia, motivazioni e tonalità. La Clitennestra di Tóibín è ancora la rancorosa regina del mito, ma è anche una donna alle prese con la gestione modernamente complessa del potere e con un amante, Egisto, su cui modulare desiderio e controllo. La sua Elettra è la figlia fedele che pretende la retribuzione del sangue, ma è anche la vittima di abbandono che cerca nelle ombre un sollievo dalla solitudine. Per tutti loro il processo di umanizzazione è reso particolarmente efficace dalla scomparsa di un orizzonte divino a cui ubbidire e delegare. Nel mondo della Casa dei nomi gli antichi dèi stanno svanendo e la loro legge vacilla.

Clitennestra, regia Roberto Andò, Ph Lia Pasqualino

“Clitennestra”, da La casa dei nomi di Colm Tóibín, adattamento e regia Roberto Andò, con Isabella Ragonese, Ivan Alovisio, Arianna Becheroni, Denis Fasolo, Katia Gargano, Federico Lima Roque, Cristina Parku, Anita Serafini; scene e luci Gianni Carluccio, costumi Daniela Cernigliaro, musiche e direzione del coro Pasquale Scialò, suono Hubert Westkemper, coreografie Luna Cenere. Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival. A Roma, Teatro Argentina, dal 10 al 21 gennaio.

VORREI UNA VOCE

Uno spettacolo in forma di monologo che fonda la sua drammaturgia dall’incontro di Tindaro Granata con le detenute di alta sicurezza della Casa Circondariale di Messina che attraverso alcune canzoni di Mina raccontano il proprio mondo. Ispirato dal lungo percorso teatrale che l’autore e attore siciliano ha realizzato al teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina con la sezione femminile di alta sicurezza, Vorrei una voce nasce grazie al progetto Il Teatro per Sognare ideato e organizzato da Daniela Ursino, direttrice artistica del teatro nel penitenziario.

Le canzoni di Mina, che Granata interpreta in playback, diventano la materia dei sogni, appartengono alla memoria collettiva di tutti noi e si sono rivelate essere materiale ideale per lavorare con persone non professioniste. Il fulcro della drammaturgia è il sogno: perdere la capacità di sognare, significa far morire una parte di sé. Lo spettacolo è dedicato a coloro i quali hanno perso la capacità di farlo.

«Grazie a queste persone – racconta Granata – racconterò storie di persone che dalla vita vogliono un riscatto importante: vogliono l’amore. Non l’amore idealizzato e romantico, ma l’amore per la vita, quella spinta forte, irruente, a volte violenta e apparentemente insensata che ti permette di riuscire a sopportare tutto, a fare tutto affinché si possa realizzare un sogno. Entrerò e uscirò da ogni storia grazie alle canzoni, come a creare un concerto immaginario fatto di anime diverse, tutte con un’unica voce. Così come facevo quando ero poco più che un bambino ed ero libero di immaginarmi il futuro e non avevo paura».

Vorrei una voce di e con Tindaro Granata

“Vorrei una voce” di e con Tindaro Granata, luci Luigi Biondi, costumi Aurora Damanti, assistente alla regia Alessandro Bandini. Produzione LAC Lugano Arte e Cultura in collaborazione con Proxima Res. A Lugano, Teatro Foce, dall’11 al 13 gennaio.

PASOLINACCI E PASOLINI

Fondatori del Teatro delle Albe, Marco Martinelli ed Ermanna Montanari sono legati alla figura e all’opera di Pier Paolo Pasolini a doppio filo. Un «Incontro in assenza», spiegano, un dialogo artistico iniziato in età giovanile che trova oggi espressione attraverso il linguaggio del teatro, con un testo nato in forma di reading radiofonico per Rai Radio3. Con Pasolinacci e Pasolini (A Brescia, Teatro Mina Mezzadri, dal 12 al 17 gennaio), essi raccontano il “loro” Pasolini, componendo la narrazione di come la sua poesia e il suo cinema abbiano illuminato il loro teatro. Un racconto che si nutre di tratti contraddittori: una relazione definita da Montanari come «Urticante e santa», mentre Martinelli ne coglie «La non separabilità del sacro dalla ragione, il tenere insieme la spinta critica nei confronti del mondo e il mistero che lo abita».

Il titolo rimanda a Uccellacci e uccellini, pellicola del 1966 nella quale i due artisti vedono il “testamento spirituale” di Pasolini. Allo specchiarsi del duo Martinelli-Montanari nella vocazione “eretica” e “corsara” di Pasolini, farà da controcanto Una disperata vitalità, poemetto innestato nel testo scritto a quattro mani dalla coppia di artisti. Accanto a loro sul palcoscenico, la musica dal vivo del contrabbassista Daniele Roccato, che contribuisce all’intarsio tra parola teatrale e musica reinventando la tradizione, con brani tratti dal repertorio di Johan Sebastian Bach fino a Bella Ciao.

Pasolinacci e Pasolini

CORPI E PAROLE DI WONDERLAND

Ispirandosi ad Alice in Wonderland, un cast multidisciplinare di attrici e performer dà vita ad un luogo abitato da giochi collettivi e significanti fluttuanti, in cui corpi e parole si muovono liberi da aspettative di logica e senso. A Wonderland i confini tra cose, corpi e identità si confondono, tutto è ciò che sembra e contemporaneamente qualcos’altro. Wonderland è uno spazio queer.

Il lavoro del Collettivo EFFE si muove alla ricerca di modalità performative che uniscono al lavoro sul corpo e sulla parola, l’uso del video in presa diretta, con l’obiettivo di creare atmosfere percettive che trasportano il pubblico in mondi alternativi. Il lavoro drammaturgico e compositivo parte dai quadri attraversati dalla Alice di Carroll, dalle situazioni e i personaggi che incontra, riscrivendoli in una composizione che segue la logica-non-logica del mondo onirico, secondo un criterio di montaggio non gerarchico, un metodo di associazione libero dalla razionalità per creare un concatenamento di situazioni sceniche che possano essere riconosciute piuttosto che comprese.

Wonderland, prove, ph Andrea Macchia

“Wonderland”, ispirato a Alice in Wonderland di Lewis Carroll, adattamento di Giulia Odetto, Antonio Careddu, con Lav Gilardoni, Marta Pizzigallo, Camilla Soave, Alice Spisa, Francesca Turrini, regia Giulia Odetto, dramaturg Antonio Careddu, scene e costumi Gregorio Zurla, luci Giulia Pastore, suono Lorenzo Abattoir, video Camilla Soave. Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, in collaborazione con Collettivo EFFE. A Torino, Teatro Gobetti, dal 9 al 21 gennaio.

RITRATTO DI UN PAESE IN CONTINUO DISEQUILIBRIO

Un percorso a piedi attraverso l’Italia, nato quasi per gioco, si trasforma in una narrazione incalzante e rapsodica dove le voci delle persone incontrate da Umberto Petranca restituiscono il ritratto di un Paese in continuo disequilibrio, alla ricerca di una identità possibile. Un “pellegrinaggio” sui generis che trova, nel riverbero delle parole, l’orizzonte di una possibile evoluzione personale intorno alle domande più importanti: cosa significa trovare sé stessi? Come è possibile credere? Perché andare avanti? Un percorso di due mesi durante il quale, attraverso un piccolo registratore portatile, sono state raccolte le voci, i dialoghi, i sogni e le delusioni delle persone incontrate.

«Un collage di segni – sottolinea la regista – una recitazione asciutta e ironica e un incalzante montaggio ritmico, contribuiscano a trasportarci in un viaggio non solo attraverso i kilometri, ma in primis interiore, dove una domanda rimane costante: proseguire o fermarsi qui?».

Una polifonia amara ed ironica per attore solo, in viaggio, in ascolto.

Io mi fermo qui, di e con Umberto Petranca, Ph Luca Del Pia

Io mi fermo qui”, di e con Umberto Petranca, regia Chiara Callegari, scene Chiara Callegari e Marina Conti, luci Michele Ceglia, suono Emanuele Martina, video di Luca Grazioli. Produzione Teatro dell’Elfo. A Milano, teatro Elfo Puccini, dal 9 al 28 gennaio.

HIP HOP, MANGA E VIDEOGAMES

È «Un ipnotico gioco di luci». Con queste parole il settimanale culturale francese Télérama definisce Lights in The Dark, lo spettacolo della Compagnia di danza hip hop E.L Squad, Electro-Luminescence Squad (al Teatro Celebrazioni di Bologna l’11 gennaio) dove cultura popolare giapponese e moderna tecnologia si intersecano fondendo danza urbana e contemporanea, manga e videogames. Lo spettacolo, andato in scena in oltre 20 Paesi del mondo e ora in Italia per la prima volta, è stato ideato in Giappone da Yokoi, considerato uno dei maggiori ballerini e coreografi orientali e punto di riferimento della scena hip hop internazionale.

Lights in The Dark è uno show fantasmagorico in cui un personaggio si perde in un mondo parallelo, onirico e fantastico, e si trova catapultato in un’avventura popolata da personaggi stilizzati, che svelano le sfaccettature più luminose e le fratture più oscure delle loro personalità. Grazie all’utilizzo della tecnologia, i ballerini in scena si esibiscono nell’oscurità totale e creano effetti luminosi tramite innovativi costumi luminescenti, con i quali compongono figure sorprendenti e illusioni ottiche. appassionati di danza urbana e contemporanea o amanti dei manga e dei videogames, ma non solo. Il pubblico verrà proiettato idealmente in un mondo surreale accompagnato da espedienti immaginari.

E.L. Squad, Lights in The Dark

TONI SERVILLO E GIUSEPPE MONTESANTO

Tre modi per non morire. Baudelaire, Dante, i Greci è un viaggio teatrale attraverso tre testi dello scrittore e traduttore Giuseppe Montesano, per riscoprire alcuni poeti che ci hanno insegnato a cercare la vita: Baudelaire, Dante e i Greci. Toni Servillo accompagna il pubblico in un viaggio in tre tappe, un percorso che vuole essere un antidoto alla paralisi del pensiero, alla non-vita che tenta di ingoiarci.

La serata si apre con i versi di Baudelaire che, in Monsieur Baudelaire, quando finirà la notte? racconta come la bellezza combatta la depressione e l’ingiustizia; prosegue con Le voci di Dante, dove i celebri personaggi della Commedia ci appaiono legati tra loro da un racconto che li illumina a partire dal presente; approda infine a Il Fuoco sapiente dei Greci, in cui poesia e filosofia accendono una visione capace di immaginare il futuro.

In questo lavoro il tessuto drammaturgico dello spettacolo affianca ai versi, alle parole, alle scene dei testi originali, l’esegesi e le considerazioni di Giuseppe Montesano, che ne mettono in risalto le tematiche fondamentali e invitano a una comune riflessione sui concetti espressi dagli autori. A Bologna, Arena del Sole, dal 10 al 14 gennaio.

Toni Servillo, Tre modi per non morire, © Masiar Pasquali

LA SORELLA DI GESUCRISTO

Una ragazza prende in mano una pistola Smith & Wesson 9 millimetri e attraversa tutto il paese per andare a sparare al ragazzo che la sera prima, il Venerdì Santo della Passione, l’ha costretta a subire una violenza. La protagonista, Maria, è quasi assente dal monologo: il vero protagonista è la folla di persone comuni che Maria incontra durante il suo tragitto: il primo fidanzatino, l’amica, la maestra delle elementari, la sua famiglia e persino la madre del carnefice. Ognuno ha una reazione diversa, ma alla fine tutti si convincono di comprendere e si schierano con lei, impugnando perfino il fucile.

Peccato che lo facciano per se stessi, soprattutto gli uomini che devono dimostrare di essere tali. Per riprendersi il suo corpo privato, è costretta a farlo pubblico, a darlo in pasto alla folla, ad assumere su di sé il suo stesso corpo sessualizzato dai maschi e dalla società, quella di un’Italietta convinta di un progresso automatico e tesa all’infinito degli anni ’80. Uno spettacolo di Oscar De Summa, di teatro contemporaneo su una storia tanto semplice quanto terribile.

LA SORELLA DI GESUCRISTO, di e con Oscar De Summa

“La sorella di gesucristo”, di e con Oscar De Summa, terzo capitolo della “Trilogia della provincia”, progetto luci e scena Matteo Gozzi, disegni Massimo Pastore. Produzione La Corte Ospitale, Attodue, Armunia – Castiglioncello. A Milano, Teatro PimOff, il 13 e 14 gennaio.

LA VERTIGINE DI ORBITA

Al via, il 12 gennaio, Vertigine, la terza edizione della stagione danza di Orbita | Spellbound curata dalla co-direttrice del Centro Valentina Marini, che si snoderà fino al 23 maggio fra il Teatro Palladium, il Teatro Biblioteca Quarticciolo e lo Spazio Rossellini di Roma. I grandi protagonisti della scena contemporanea nazionale come Virgilio Sieni, Abbondanza Bertoni, Alessandro Sciarroni, Cristina Rizzo, Mauro Astolfi, Simona Bertozzi, Compagnia Zappalà Danza, al fianco dei nuovi esponenti della danza contemporanea internazionale come il franco-libanese Omar Rajeh, l’israeliano Sharon Fridman e l’inglese di nascita ma spagnolo d’adozione Thomas Noone. Soprattutto, una fortissima attenzione verso la giovane coreografia e la new wave italiana.

Vertigine si apre il 12 gennaio al Teatro Palladium con la prima nazionale di Dance is not for us, nuova creazione solista del coreografo e danzatore francese Omar Rajeh che ci accompagna nel suo universo autobiografico, viaggiando nel passato inteso come tempo intimo, cristallizzato. Rajeh indaga così la relazione fra memoria e presente e, al tempo stesso, il conflitto fra corpo come speranza e progettualità e corpo disciplinato e normalizzato dal Potere.

Omar Rajeh, Dance Is not for Us

LE AMAREZZE DI BERNARD-MARIE KOLTÈS

Un ragazzo al centro di un vortice di relazioni familiari e sociali, come in un sogno oscuro e indecifrabile, lacerato dai conflitti, dagli slanci dell’esistenza e dai presagi di morte: così il 22enne Bernard-Marie Koltès, nel 1970, ricostruiva per il teatro il romanzo autobiografico di Maksim Gor’kijInfanzia. Dovevano passare ancora sette anni prima che lo sconvolgente debutto di La notte poco prima della foresta ad Avignone off lo lanciasse come uno dei più importanti drammaturghi francesi, prima di morire di Aids nel 1989, a soli 41 anni.

Andrea Adriatico è stato il primo regista a portare in scena in Italia le sue opere, in una lunga e intensa frequentazione che arriva ora, ancora per la prima volta in Italia, a esplorare il cantiere teatrale adolescenziale del 22enne Koltès con Le amarezze. Titolo ambiguo, spiegato così dall’autore: «Come l’acido sul metallo, come la luce in una camera oscura, le amarezze si sono abbattute su Alexis Peskov”, il protagonista muto dell’opera». E così concludeva: «L’hanno aggredito con la violenza e la rapidità della grandine e del vento, senza che un tratto del suo volto abbia avuto un fremito. Stracciato, bruciato, in piedi finalmente, ha fermato gli elementi come si soffia su una candela. E la sua voce ha trafitto il silenzio».

Le amarezze, Teatri di Vita

“Le amarezze”, di Bernard-Marie Koltès, traduzione di Marco Calvani, uno spettacolo di Andrea Adriatico, con Olga Durano e Marco Cavicchioli, e Anas Arqawi, Michele Balducci, Innocenzo Capriuoli, Rita Castaldo, Ludovico Cinalli, Nicolò Collivignarelli, Alessio Genchi, Giorgio Ronco, Myriam Sokoloff, scena Andrea Barberini, Giovanni Santecchia. Produzione Teatri di Vita. A Bologna, Teatri di Vita, dal 10 al 14 gennaio, e dal 17 al 21.

VOODOO, ABITARE LA BUIA LUCE

L’ipnotico assolo Voodoo della danzatrice e coreografa Eleonora Sedioli, con l’ideazione di Lorenzo Bazzocchi (produzione Masque Teatro, in scena al Teatro Felix Guattari di Forlì il 14 gennaio), descrive lo stato di grazia che l’attore vive nell’affrontare la temibile lotta con l’inconosciuto in sé e nel fuori.

Così nelle note di regia: «La necessità di una lucida trance sembra essere la costante indicazione che ci viene consegnata quando si cerca di decifrare l’ardua lotta che sta alla base del cominciamento. Affrontare il vuoto e scontrarsi con esso abbisogna di tenacia, soprattutto di uno strumento che funga da catalizzatore ossia che triggheri lo stato di quiete e lo trasporti al di là delle barriere erette, non dall’Es come banalmente si potrebbe affermare, ma dalla biochimica dell’esistenza che fabbrica continuamente gli enzimi della normalità. È solo attraverso l’alterazione indotta che si può sperare di essere catapultati nella verità del proprio essere. L’alterazione produce simulacri. A questi ci affidiamo per recuperare le forze necessarie ad imbastire la costruzione di un altro mondo nel quale sopravvivere. Col voodoo accogliamo tutti i nostri divenire. Col voodoo veniamo scagliati nel vortice della vera vita. Col voodoo abitiamo la buia luce».

VOODOO, di Masque Teatro

L’ULTIMO ANIMALE

Un cast tutto al femminile per l’allestimento del testo di Caterina Filograno che firma anche la regia, e in scena con Francesca Porrini, Alessia Spinelli, Emilia Tiburzi, Anahì Traversi. Cristi vive in affitto a casa di Giudi, sua migliore amica. La prima passa le giornate allenandosi, la seconda sperimentando nuove ricette. C’è un buco su una parete della camera di Cristi, e Giudi non ha mai tempo di farlo riparare. A insaputa di Giudi però, nel buco abitano due procioni – Proc e Chino – e un bruco di nome Bruka. Gli animali vengono nutriti e accuditi da Cristi, unico tramite con l’esterno, che promette continuamente loro un futuro migliore. Ma alle parole non seguitano mai i fatti. Ed è proprio quel bosco, promessa non mantenuta, a fungere da motore della storia.

La natura delle relazioni tra gli abitanti di questa casa viene fuori nel rapporto con il cibo. Cristi spesso lo nega agli animali, per disattenzione più che per volontà, privandosene lei stessa nel corso delle giornate per seguire una dieta ossessiva. Il cibo però, sotto forma di creazioni culinarie di stampo americano, le viene incessantemente offerto da Giudi, che vive un bisogno costante di provare nuovi piatti. È attraverso il cibo che tutti si definiscono. Il cibo è ciò che dà e toglie potere all’interno del testo: chi ce l’ha non ne ha bisogno, chi non lo ha lo desidera. Esso è la merce di valore all’interno dell’ecosistema ed è ciò che muove all’azione.

L’ultimo animale, ph Lorenza Daverio

A Firenze, Teatro Cantiere Florida, dal 12 al 14 gennaio.

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