19 ottobre 2001

Fino al 17.XI.2001 David Simpson Verona, Galleria Studio la Città

 
Ci sono artisti che con la loro opera riescono a creare fratture, ponendosi come termini ante quem post quem l’arte era o sarà diversa.
Io non so se questa fortuna toccherà anche a David Simpson,...

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…cui la Galleria Studio la Città di Verona dedica l’odierna personale; di certo se le riflessioni che seguiranno fossero condivise, Simpson si candiderebbe ad essere ritenuto come colui che, partendo dagli esiti della ricerca minimal, seppe trarla fuori dal labirinto concettuale nella quale rischiava di esaurirsi, ridonandole nuova vita e nuove aspirazioni ed accompagnandola per mano nel terzo millennio.
Una constatazione preliminare deve essere posta: a molti non sarà sfuggito che una parte delle ultime generazioni di artisti proprio delle istanze minimaliste degli anni ’60 hanno fatti propri certi ideali formali e tecniche. Intendo riferirmi alla prassi di riduzione radicale delle forme, alla sintesi rigorosa del messaggio artistico, allo studio degli effetti della luce, all’utilizzo di materiali industriali, alla tendenza all’iconoclastia geometrica e monocroma. Simpson_David_Event_Horizon_2001_acrilico_su_tela_2000_cm_183x183
Alle teorie concettuali di un tempo altre motivazioni si sono sostituite dimostrando, anche nell’età attuale, la validità degli ideali sopra citati (e leggere il nuovissimo contributo di David Batchelor dal titolo “Cromofobia” può essere utile ad approfondire questa tendenza).
Guardiamoci intorno: non si tratta solo di una parte dell’arte, ma nel design, nella moda, nell’arredamento e nell’architettura quelle inclinazioni sono quanto mai eclatanti.
In un mondo che aspira a farsi il più possibile garante delle libertà individuali e di espressione, la neutralità, la geometrica semplicità, le forme primarie ed i cromatismi essenziali rappresentano l’alfabeto di canoni estetici unanimemente condivisibili ma anche la ricapitolazione sintetica (quasi una “liofilizzazione”) della storia del bello in ogni cultura ed in ogni epoca.
Già, il bello, perché proprio in questa parola sta racchiusa la caratteristica inedita, rispetto alle sue origini, di questa corrente che qualcuno ha definito “Minimalismo intimista”.
Di tutto quanto detto David Simpson può essere considerato un caposcuola. E se alcuni si meraviglieranno che nel 2001 si debba assistere al riscatto della pittura, quelli stessi si troveranno a dover fare i conti anche col riscatto dell’arte da W. Benjamin che, nella sua opera più famosa, aveva quasi procrastinato la morte dell’arte nell’epoca della sua riproducibilità (significativo che proprio le sue teorie abbiano determinato l’insorgere delle istanze concettuali delle quali si nutrì lo stesso Minimalismo e che oggi paiono, in molti casi, segnare il passo).
Simpson_David_Blue_Rosa_2001_acrilico_su_tela_cm_86.5x86.5__Alpine_Summer_1998
La tecnica di Simpson si fonda sull’impiego di vernici industriali che vengono però manipolate artigianalmente attraverso elaborati dosaggi e aggiunte di mica (composto di micro particelle riflettenti la luce). Le molte velature di strati monocromi vengono stese dall’artista a spatole con gesto lento e delicatissimo, e le superfici tradiscono le tracce di questo paziente intervento manuale.
Ne escono opere di una suggestione cromatica straordinaria che intransigentemente stabiliscono alcune regole “fisiche” nuove per la poetica pittorica. E per primo che la pittura sia vista alla luce naturale, giacché il calore del sole accende i colori di una forza sorgiva; per secondo che la vera pittura, contrariamente a ciò che dice Benjamin, non è riproducibile, né per l’osservatore è possibile comprenderla tutta, giacché ai suoi occhi continuamente si rinnova e si offre a nuove prospettive.
Le tele di Simpson sono come caleidoscopi che mutano tonalità e sfumature in base al punto di osservazione, e quella che a prima vista appare una superficie invasa da un grigio lunare d’un tratto si fa verde del bronzo ossidato e poi indaco come il cielo d’autunno, nell’istante che separa il tramonto dalla sera. Sono superfici che stabiliscono una relazione empatica con lo spettatore, divenendo ora concave ora convesse, ora di una plasticità scultorea ora di una impalpabilità e di un’inconsistenza quasi gassosa, quasi sembrando campi di forze magnetiche del cosmo del bello.
David Simpson è un distinto signore di 73 anni e solo in tempi recenti, dopo anni di ricerca, è giunto a livelli di bellezza che sono quanto di più vicino al sacro sia dato di vedere nell’arte contemporanea.
All’inaugurazione della mostra era presente un folto pubblico, tra cui il Conte Panza di Biumo, affezionato collezionista dell’artista e che recentemente lo ha incaricato dell’allestimento della “stanza della pittura” dello storico Palazzo Ducale di Sassuolo (e non a caso).
Informazioni di mercato: i prezzi delle opere di Simpson nonostante l’origine americana e la presenza nei più importanti musei e collezioni riescono ad essere ancora relativamente contenuti,.
Si va dai 5,8 milioni delle cose più piccole (30×30) ai 41,5 milioni per le grandi tele 183×183; tra i 13 ed i 20 milioni le medie misure (a seconda che ci si trovi, rispettivamente, sotto o sopra il metro).
Date la qualità dell’artista e l’illustre promozione di uno dei maggiori collezionisti contemporanei le opere di Simpson si offrono come interessante investimento. La galleria Studio la Città porterà una significativa selezione di opere di Simpson alla prossima Art Cologne (31.X-4.XI).



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Alfredo Sigolo



“David Simpson”
Dal 13.X.2001 al 17.XI.2001.
Verona, Galleria Studio la Città, via Dietro Filippini 2.
Ingresso: gratuito.
Orari: dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.30. Chiuso domenica e lunedì; catalogo in galleria con testi di Kenneth Baker: € 7,75 (£ 15.000).
Tel: 045/597549 e 045/8003708 Fax: 045/597028 E–mail: lacitta@sis.it
Web: www.artnet.com/citta.html e www.studiolacitta.it.



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2 Commenti

  1. Trovo molto interessante il lavoro e il percorso di questo artista, che non conoscevo.
    Grazie anche ad Alfredo Sigolo per i suoi sempre preziosi articoli.

  2. Confesso che questo è uno degli artisti che mi ha più colpito durante la mia, pur breve, frequentazione dell’arte contemporanea. Il maggior difetto di quest’artista è anche uno dei suoi pregi: le foto non riescono a restituire neppure un barlume del fascino e della qualità di queste opere. Ricordo la folla, di amanti dell’arte ma anche di semplici curiosi, che transitava per le sale di Palazzo Ducale a Sassuolo osservando talvolta con perplessità e incertezza le opere degli artisti monocromatici della collezione Panza; alla ricerca del bello che sapesse confrontarsi con il contesto barocco del palazzo, incredibilmente la stanza di Simpson metteva d’accordo tutti: lì il miracolo si era compiuto, agli occhi di tutti.

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