25 maggio 2017

SPECIALE VENEZIA

 
La Biennale non è finita. E noi continuiamo a raccontarvi cosa vedere a Venezia. La nuova galleria di Alberta Pane, per esempio
di Chiara Vedovetto

di

Le Désir
Galleria Alberta Pane 
Calle dei Guardiani 2403/h 
30123 Venezia
Il desiderio come materia d’indagine, motore propulsivo della creatività e il desiderio di tornare a Venezia. La veneziana Alberta Pane, è una delle significative “new entry” (o re-entry) nell’isola: titolare di una galleria a Parigi, a due passi dal Centre Pompidou, da dieci anni punto di riferimento per l’arte contemporanea nella capitale francese, Alberta Pane torna a scommettere su Venezia come città pronta ad accogliere permanentemente spazi di ricerca, anche al di fuori dei tempi scanditi dai grandi eventi dell’arte contemporanea.
La Gallerie approda quindi a Dorsoduro, in Calle dei Guardiani, trasformando una spettacolare ex falegnameria di 300 mq (già legata all’arte, dato che il titolare Umberto Pensa ha collaborato con artisti e realizzato il mobilio del Padiglione Francese, in una passata Biennale) in uno spazio moderno, versatile, di ampio respiro, con enorme potenziale. 
La mostra inaugurale è una collettiva che propone una riflessione sul desiderio, come spinta alla creatività più precisamente, sul desiderio definito da Gilles Deleuze come “una produzione di agitazione intermittente”. Questo fil rouge lega i lavori di sette artisti, già rappresentati dalla galleria. Un desiderio è costruire. Tutti passiamo il nostro tempo a costruire. Per me quando qualcuno dice ‘desidero la tal cosa’ significa che sta costruendo un concatenamento”. Così Gayle Chong Kwan, Romina De Novellis, Marie Denis, Christian Fogarolli, Marcos Lutyens, Ivan Moudov, Michelangelo Penso, hanno avuto come obbiettivo quello di costruire, tessere una rete di libere congiunzioni tra loro esprimendosi in relazione allo spazio espositivo, concentrarsi sulla propria ricerca estetica attuale. 
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Una mostra quindi profondamente legata allo spazio ma, che in realtà oltrepassa le mura della galleria entrando in città; Romina De Novellis come una Venere o una Madonna in processione, gira su di una barca ricoperta di fiori e bandiere dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, evocando lo spirito di una Venezia come cerniera tra Oriente e Occidente, il Mare Nostrum come bacino di vita e morte di culture. La scozzese Gayle Chong Kwan pone la questione sul ruolo e la condizione della donna-artista, chiamando in causa la convenzione secondo cui la creazione artistica non sia conciliabile con la pro-creazione, mediante un giornale distribuito nel corso di una performance, nelle strade di Venezia e in galleria.
Una perfomance che valica, invece, i confini della coscienza quella di Marcos Lutyens, che utilizza tecniche cognitive come l’ipnosi, le tecnologie come la robotica e altri strumenti sensoriali per creare performance, sculture ed installazioni; la sera dell’opening ha accompagnato i singoli visitatori dentro una seduta ipnotica, le cui tracce saranno visibili durante tutto il periodo della mostra. L’indagine cognitiva e scientifica è parte del pensiero di Christian Fogarolli che propone in due lavori la sua riflessione sul rapporto tra arte, scienza medica e terapia, condotta la attraverso la ricerca in istituzioni mediche e case di cura mentale. Ivan Moudov partecipa con un lavoro tagliente e ironico; un contratto stipulato tra collezionista ed artista dove quest’ultimo si impegna a far aumentare il valore dell’opera negli anni.
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Si gioca e si dialoga con uno spazio che appare come una fucina, continuamente work in progress che si presta ad opere di grandi dimensioni, site specific, come l’installazione sospesa dell’artista veneziano Michelangelo Penso una composizione geometrica ispirata alla biologia, al mondo microscopico di batteri e virus. Le vaste pareti si trasformano in grandi fogli, per accogliere le monumentali grafie vegetali di Marie Denis; rami di Clematis e foglie di palma Phoenix “fossilizzate”, stabilizzate con una intensa patina nera, creata da lei stessa, diventano sofisticati segni calligrafici, segni di pennello scultorei. 
Il percorso espositivo si conclude, ma non lo spazio, che si apre con una grande e luminosa porta sull’acqua verso il canale, per riportarci con la mente e con il desiderio a Venezia. 
Chiara Vedovetto

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