01 gennaio 2015

Basquiat, profeta in patria. Dopo i trionfi in asta, anche il Brooklyn museum annuncia un 2015 con il bad boy del writing

 

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Profeta in patria, è proprio il caso di dirlo. Perché non bastano i milioni di dollari raccolti con le aste da ogni parte del globo occidentale, ma qualsiasi cimelio o mirabilia arrivano a infuocare il pubblico (e gli addetti ai lavori) dei musei. Perché stiamo parlando di Basquiat, il più famoso graffitista di tutti i tempi. E che al Brooklyn Museum sarà di nuovo in scena da aprile ad agosto 2015, con otto taccuini pieni di testi e disegni scritti a mano dell’artista, insieme ad una trentina di dipinti connessi, disegni e opere mixed-media provenienti da collezioni private e lasciti dell’artista. 
Morto nel 1988, all’età di ventisette anni, figlio padre haitiano e madre portoricana, dalla fine degli anni ’70 Basquiat è stato vorticosamente sulla cresta dell’onda, prendendo ispirazione dai fumetti, dai disegni dei bambini, dalla pubblicità e dalla Pop art, delle forme d’arte popolari azteche, africane, caraibiche, greche e dalla vita di strada. In questo caso gli otto quaderni in mostra e molte altre opere provengono dalla collezione di Larry Warsh, editore di New York e collezionista della prima ora di Basquiat, che in precedenza è stato membro del comitato di autenticazione del Fondo Basquiat. 
I quaderni hanno una caratteristica: sono scritti solo sulle pagine di destra, lasciando ai lati inversi il vuoto, e sono decisamente poco colorati. In mezzo, incorporati tra lettering e parole, ci sono segnaletica stradale, notizie e riferimenti della letteratura e del Vecchio Testamento. Insomma, almeno per lui, si prevede un altro anno di record. 

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